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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-06302016-185413


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
GIANNINI, CLAUDIO
URN
etd-06302016-185413
Titolo
Il percorso diagnostico-terapeutico ortopedico nel Myeloma Bone Disease: dall'analisi istopatologica alla chirurgia.
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Lisanti, Michele
Parole chiave
  • Myeloma Bone Disease
Data inizio appello
19/07/2016
Consultabilità
Completa
Riassunto
Introduzione

Il Mieloma Multiplo è una neoplasia caratterizzata dalla proliferazione neoplastica di un singolo clone plasmacellulare che, nella maggior parte dei casi, si accompagna all’ iperproduzione di una immunoglobulina monoclonale. E’ inoltre caratterizzata dall’ interessamento multifocale dello scheletro: le plasmacellule, proliferando all’interno del midollo osseo, determinano un danno a causa dello sviluppo di lesioni osteolitiche e/o fratture patologiche. Sebbene la patologia ossea sia dominante, la neoplasia può diffondere, nelle sue fasi avanzate, ai linfonodi e a sedi extranodali come la cute e gli organi viscerali.1-3


Epidemiologia

Il Mieloma Multiplo rappresenta la neoplasia che più frequentemente determina un coinvolgimento osseo tra tutte le neoplasie maligne: quadri radiografici patologici sono ritrovati in circa l’80% dei pazienti con una nuova diagnosi di mieloma multiplo.4
Il MM costituisce circa l’1% di tutte le neoplasie maligne e circa il 10% di tutti i tumori ematologici, rappresentando la seconda neoplasia ematologica più frequente negli USA. L’incidenza stimata in Italia è di circa 5000 casi/anno. La sua incidenza è più elevata negli uomini, con un rapporto di 1.4:1 ed è più elevata nelle persone di discendenza africana. E’ principalmente una malattia dell’anziano, con un picco di incidenza intorno a 66 anni: solo il 10% dei pazienti lo sviluppa sotto i 50 anni e solo il 2% dei pazienti lo sviluppa sotto i 40 anni. Rispetto alla popolazione generale, il rischio di sviluppare la neoplasia è circa è circa 3.7 volte più alto nelle persone che hanno un parente di primo grado affetto.3


Eziopatogenesi

Nella patogenesi della malattia partecipa sia la predisposizione genetica che l’esposizione ambientale. Il modo in cui la predisposizione genetica agisce sulla patogenesi della malattia è in gran parte sconosciuto, ma l’importanza del suo ruolo è sostenuto dal fatto che, ad esempio, ci sono notevoli differenze razziali con tassi maggiori registrati nella popolazione nera, rispetto ai soggetti di discendenza europea, ma soprattutto rispetto ai soggetti di discendenza giapponese e ispanica. L’esposizione ambientale a radiazioni ionizzanti e ad agenti chimici è stata associata ad un evidente incremento dell’incidenza di mieloma; tuttavia, anche in questo caso, la correlazione non è chiara. Studi condotti sui sopravvissuti esposti a radiazioni atomiche hanno mostrato un aumento dell’incidenza di mieloma anche dopo 20 anni dall’esposizione; inoltre, studi epidemiologici mostrano un aumento dell’incidenza nei pazienti affetti da patologie autoimmuni, patologie infiammatorie croniche o con malattie infettive: questi tre fattori sembrerebbero avere un ruolo di trigger nell’insorgenza della malattia.5
Le plasmacellule maligne possono produrre immunoglobuline complete, solo catene leggere o nessuna delle due. Nel 99% dei pazienti con MM, le analisi di laboratorio mostrano aumentati livelli di Ig nel sangue e/o di catene leggere (proteine di Bence-Jones) nelle urine. In circa il 70% di tutti i pazienti affetti da mieloma si riscontrano sia la proteina M sierica che la proteinuria di Bence-Jones. Tuttavia, in circa il 20% dei pazienti la proteinuria di Bence-Jones è presente come reperto isolato. Circa l’1% dei mielomi non è secernente. Quindi l’assenza di proteine M nel siero e/o nelle urine non permette di escludere una diagnosi di mieloma.
Le immunoglobuline monoclonali sono dapprima evidenziate come picchi proteici anomali all’elettroforesi sierica o urinaria e successivamente caratterizzate dall’immunofissazione che ne conferma la presenza e determina il tipo di immunoglobulina. Raramente possono essere presenti 2 proteine M: in tal caso si parla di gammopatia biclonale, che si verifica nel 2% dei pazienti affetti da MM.
Nella maggior parte dei pazienti affetti da mieloma si ritrovano livelli di Ig sieriche superiori a 3 g/dl e/o livelli di proteina di Bence-Jones urinaria maggiori di 6 g/dl. In circa il 5% dei casi, ci possono anche essere casi di mieloma multiplo oligosecernente, cioè con concentrazione di proteina M sierica < 1g/dl e proteina M urinaria < 200 mg/24 ore.
La più frequente Ig monoclonale (proteina M) è una IgG (circa 55% dei pazienti), seguita da IgA (25%). I mielomi che esprimono IgM, IgD, IgE sono rari. L’eccessiva produzione e aggregazione di proteine M porta a sintomi da iperviscosità ematica in circa il 7% dei pazienti.
La catena leggera Kappa è prodotta maggiormente rispetto a quella Lambda, con un rapporto di 2:1. La catena leggera lambda viene prodotta maggiormente nell’ mieloma IgD secernente e nel mieloma associato ad amiloidosi.
La concentrazione di una o entrambe le classi principali di immunoglobuline non coinvolte nell’ipersecrezione monoclonale (ad esempio, IgM ed IgA nel caso di mieloma secernente IgG) è ridotta in oltre il 90% dei casi; entrambe sono ridotte in circa il 70% dei casi. Un’analisi retrospettiva ha dimostrato come livelli normali delle immunoglobuline non coinvolte nell’ipersecrezione si associno ad una tasso di sopravvivenza maggiore, indipendentemente dal trattamento ricevuto.6
Nella maggior parte dei casi di mieloma sintomatico, la malattia evolve da una condizione precedente, benigna, detta Gammopatia Monoclonale Essenziale o di Significato Incerto (MGUS). La MGUS è la più frequente discrasia plasmacellulare, riscontrata in circa il 3% delle persone al di sopra dei 50 anni di età e in circa il 5% delle persone al di sopra dei 70 anni di età. Per definizione questi pazienti sono asintomatici e il livello sierico di proteina M è inferiore a 3 g/dl. Ogni anno circa l’1% dei pazienti affetti da MGUS sviluppa una neoplasia plasmacellulare sintomatica, generalmente un mieloma multiplo. Infatti, anche da un punto di vista patogenetico, nelle plasmacellule clonali che caratterizzano la MGUS spesso si ritrovano le stesse traslocazioni e delezioni che si riscontrano nel mieloma multiplo conclamato, supportando l’ipotesi che l’MGUS sia uno stadio iniziale del MM. Infatti è dimostrato come l’80% dei pazienti con MM abbia sviluppato, negli 8 anni precedenti, l’ MGUS. La gammopatia monoclonale essenziale può evolvere anche in linfoma e amiloidosi. Il rischio per la progressione da MGUS a MM include:

1. Elevati livelli sierici di proteina M;
2. Tipo di proteina M (IgG, IgM, IgA);
3. Rapporto anormale tra le catene leggere Kappa e Lambda (<0.26 o > 1.26);
4. Presenza di > 95% di plasma-cellule monoclonali all’interno del midollo osseo;
5. Presenza di plasmacellule circolanti monoclonali.

Nel paziente con MGUS, la presenza di 3 o più fattori di rischio conferisce una probabilità di progressione del 58% a 20 anni; con 2 fattori di rischio del 37%; con 1 fattore di rischio del 21%; in assenza di fattori di rischio del 5%. Nonostante il paziente con MGUS sia asintomatico, è dimostrato statisticamente come esso abbia comunque un rischio aumentato di frattura. Secondo una recente teoria, pare che, trattando la perdita ossea nella fase di MGUS, non solo si diminuisca il rischio di frattura, ma si possa anche ritardare l’insorgenza del mieloma multiplo.
Spesso, nel passaggio tra MGUS e MM conclamato, si attraversa una fase di indolenza, in cui la malattia prende il nome di Mieloma Smoldering. Le plasmacellule costituiscono dal 10 al 30% della cellularità midollare e il livello di proteina M sierica è maggiore di 3 g/dl, ma i pazienti sono asintomatici. Circa il 75% di questi pazienti progrediscono verso il mieloma multiplo nell’arco di 15 anni.
Si pensa inoltre che le cellule mielomatose, inizialmente, determinino la formazione di un plasmocitoma (un tumore singolo) e che successivamente determinino la formazione di lesioni multiple le quali caratterizzeranno, per l’appunto, il mieloma multiplo. In fase terminale, il MM può progredire verso una malattia aggressiva, indipendente dal midollo osseo, conosciuta come Leucemia Plasmacellulare (PCL). In questa fase, le cellule mielomatose proliferano e si riversano all’interno del circolo sistemico, determinando un incremento delle plasmacellule circolanti > 20% e spesso inducendo la formazione di plasmocitomi extramidollari che possono localizzarsi in qualsiasi parte del corpo.5


Patogenesi molecolare

I geni delle immunoglobuline nelle cellule del mieloma mostrano sempre evidenza di ipermutazione somatica. Partendo da tale presupposto, la cellula di origine del mieloma viene considerata una cellula B post-centro germinativo che si localizza nel midollo osseo e che si è differenziata in plasmacellula. 1
Una delle caratteristiche distintive del mieloma multiplo è la presenza di molteplici aberrazioni cromosomiche e di numerose mutazioni geniche, che in parte spiegano la notevole resistenza della malattia alle terapie. Infatti è ormai chiaro come il MM sia spesso caratterizzato dalla presenza di mutazioni come KRAS, NRAS, BRAF, FAM46C e TP53.7
La proliferazione e la sopravvivenza delle cellule del mieloma dipendono da diverse citochine, la più importante delle quali è IL-6. Essa è un importante fattore di crescita per le plasmacellule che viene prodotta dalle stesse cellule neoplastiche e dalle cellule stromali residenti nel midollo. Alti livelli di IL-6 si osservano in pazienti con malattia in fase attiva e sono associati a prognosi sfavorevole.
Le mutazioni somatiche associate al MM possono determinare lo sviluppo sia di una malattia non iper-diploide (NHD) sia iperdiploide (HD). Entrambe la classi di mutazioni determinano degli importanti riarrangiamenti a livello cromosomico che provocano la disregolazione del passaggio dalla fase G1 alla fase S e della trascrizione della Ciclina D.7 La NHD è caratterizzata dalla presenza di traslocazioni cromosomiche che coinvolgono il 14q32 il quale determina anche la traslocazione del gene delle catene pesanti delle immunoglobuline (IgH). Questo causa un’iperespressione dell’IgH nella presentazione clinica del mieloma. La NHD si caratterizza come una malattia che progredisce velocemente, con una prognosi infausta per il paziente. Di contro, la HD è caratterizzata dalla presenza di trisomie che coinvolgono i cromosomi 3, 5, 7, 9, 11, 15, 19 e 21. L’eccesso di Ciclina D in assenza di elevati livelli di IgH è la caratteristica principale dell’ HD.


Il modello del Myeloma bone disease

Le lesioni ossee, segno caratteristico del mieloma multiplo, colpiscono la maggior parte dei pazienti affetti e sono associate a dolore osseo, fratture e ipercalcemia. Oltre al fatto che le complicazioni a livello scheletrico determinano dolore e morbilità, compromettendo la vita quotidiana del paziente, è stato dimostrato come il riassorbimento osseo sia un fattore di rischio indipendente per la sopravvivenza del paziente con mieloma sintomatico. 4
Il mieloma è caratterizzato da una forma unica di danno osseo, in cui la lesioni litica non viene seguita dalla deposizione reattiva di osso che caratterizza la maggior parte delle metastasi ossee. Il principio che sta alla base della malattia ossea nel MM è la presenza di uno squilibrio nel normale turnover osseo, con un aumento del riassorbimento e diminuzione della neoformazione ossea. Tale fenomeno deriva direttamente dalla presenza delle cellule mielomatose che stimolano l’attività osteoclastica e, allo stesso tempo, sopprimono la differenziazione e la funzionalità osteoblastica. L’incremento del numero e dell’attività osteoclastica, inoltre, promuove la progressione del mieloma sia direttamente, tramite il contatto cellula-cellula, che indirettamente, tramite il rilascio di citochine da parte del microambiente del midollo osseo. Si instaura così un circolo vizioso tra la distruzione ossea e la sopravvivenza delle cellule tumorali.8, 9

• Aumento dell’attività osteoclastica: un reperto istologico caratteristico nel “Myeloma Bone Disease” è il riscontro di un accumulo di osteoclasti con conseguente riassorbimento osseo, nelle porzioni ossee in cui sono presenti le cellule mielomatose; il fenomeno non si osserva nei segmenti ossei in cui non è presente la neoplasia. Recentemente si sono infatti individuati 3 gruppi principali di fattori in grado di determinare la stimolazione degli osteoclasti: il ligando del recettore attivatore del fattore nucleare NF-kB (RANK-L); le chemochine macrofagiche infiammatorie (MIP 1 e MIP 1); i fattori di derivazione stromale 1 (SDF-1).
Le cellule mielomatose determinano uno sbilanciamento tra RANKL- OPG (Osteoprotegerina). RANKL, espresso principalmente dalle cellule osteoblastiche e dalle cellule stromali, rappresenta il principale fattore in grado di stimolare gli osteoclasti, in quanto il suo recettore, RANK, è espresso a livello della superficie dei precursori degli osteoclasti e degli osteoclasti maturi. RANKL induce la differenziazione e la sopravvivenza dei preosteoclasti, oltre ad aumentare la funzionalità degli osteoclasti maturi.
OPG agisce come recettore esca antagonista di RANKL ed è prodotto prevalentemente dalle cellule osteoblastiche e dalle cellule stromali. Un corretto bilanciamento tra RANKL e OPG è fondamentale per un normale turnover osseo. Inoltre, proprio il rapporto tra i livelli sierici di RANKL e OPG è stato dimostrato essere un fattore prognostico per la sopravvivenza del paziente.10 Le cellule mielomatose agiscono stimolando l’espressione di RANKL e riducendo la disponibilità di OPG all’interno del microambiente del midollo osseo. Inoltre, le cellule mielomatose producono e secernono anche Syndencan-1 (CD-138), un proteoglicano che favorisce la degradazione di OPG.
Il meccanismo mediato da RANKL rappresenta la via principale che induce il riassorbimento osseo: particolarmente importante è anche il MIP-1 mieloma-derivato che stimola direttamente la maturazione dei pre-osteoclasti e regola positivamente l’espressione di RANKL.
Inoltre, i meccanismi molecolari sarebbero, in realtà, molto più complessi, comprendendo anche MIP 1, IL-6, IL-11, etc.
RANK-L e OPG sono importanti per comprendere le caratteristiche del Myeloma Bone Disease e sono anche strettamente connessi all’outcome clinico, confermando la stretta inter-relazione tra la progressione della malattia e le varie componenti che costituiscono il micro-ambiente del midollo osseo.


• Soppressione dell’attività osteoblastica: mentre molti studi si sono focalizzati sull’attivazione osteoclastica come meccanismo patogenetico del Myeloma Bone Disease, l’influenza delle cellule mielomatose sugli osteoblasti è stata caratterizzata più recentemente11. Al contrario della maggior parte delle altre metastasi ossee, il MM causa una distruzione ossea senza che ci sia la normale reazione osteoblastica con neodeposizione ossea. Infatti è stato dimostrato tramite biopsie come, nelle zone limitrofe alla aree contenenti le cellule mielomatose, ci sia un ridotto numero di osteoblasti con funzionalità diminuita. 12 La via di segnalazione WNT (Wingless-type) si è dimostrata essere una delle più importanti per quanto riguarda l’attivazione e la differenziazione osteoblastica. Le cellule mielomatose iperesprimono geni che codificano per antagonisti extracellulari di WNT come DDK-1. Con studi genetici, Tian et al. 13 hanno dimostrato l’ iperespressione del gene DKK-1 nei pazienti con lesioni ossee multiple. E’ stato anche evidenziato che i pazienti senza lesioni ossee litiche alla radiografia tradizionale hanno livelli significativamente più bassi di DKK-1 rispetto ai pazienti con lesioni ossee. Non a caso, i livelli sierici di DDK-1 sono più alti nei pazienti con MM di recente diagnosi, rispetto a quelli con MGUS. Inoltre, i livelli sierici di DDK-1 sono correlati al numero di lesioni ossee e tendono ad abbassarsi nei pazienti che rispondono alla terapia. Tutto questo sostiene il fatto che le cellule mielomatose siano la principale fonte di DDK-1 circolante. Inoltre, da recenti studi, pare che DDK-1 sia in grado di determinare un ulteriore stimolo all’attività osteoclastica, incrementando il rapporto RANKL/OPG.
Altri meccanismi che inibiscono ulteriormente l’attività osteoblastica sono rappresentati dall’iperproduzione di IL-6, di IL-3 e dalla down-regulation dell’mRNA dell’OPG.



Clinica

Le caratteristiche cliniche del MM derivano dagli effetti della crescita delle plasmacellule nei tessuti, in particolare nelle ossa; dall’eccessiva produzione di immunoglobuline, che spesso hanno anomale proprietà fisico-chimiche; dalla soppressione della normale immunità umorale.
In generale, i sintomi/segni che si possono presentare alla diagnosi sono riassunti nella tabella sottostante3:

Sintomi e caratteristiche di laboratorio Frequenza (%)
Picco monoclonale (Ig) all’immunofissazione del siero o delle urine 97
Plasmocitosi nel midollo osseo > 10% 90
Picco monoclonale (Ig) nell’elettroforesi del siero 80
Presenza di catene leggere monoclonali nelle urine 75
Dolore osseo (colonna vertebrale, torace, meno comune nelle ossa lunghe) 65
Anemia 65
Debolezza e affaticamento 50
IgG monoclonali 50
IgA monoclonali 20
Presenza di sole catene leggere monoclonali 20
Ipercalcemia 20
Insufficienza renale 20

Sintomi e segni presenti nel 5% dei pazienti o in una frazione minore comprendono: parestesie, epatomegalia, splenomegalia, linfoadenopatia e febbre. Il Plasmocitoma extramidollare (EP) è osservato in circa il 7% dei pazienti al momento della diagnosi e la sua presenza è associata ad un tasso di sopravvivenza minore rispetto ai pazienti che non lo presentano. Un ulteriore 6% svilupperà il EP nel corso della malattia.

Nello specifico:

Dolore osseo - Il mieloma multiplo si presenta, di regola, con masse neoplastiche destruenti composte da plasmacellule (plasmocitomi) che coinvolgono soprattutto lo scheletro assiale. Le ossa più frequentemente interessate (in ordine decrescente di frequenza) sono: la colonna vertebrale, le coste, il cranio, la pelvi, il femore, la clavicola e la scapola. Le lesioni hanno inizio nella cavità midollare, erodono l’osso spongioso e distruggono progressivamente l’osso corticale, spesso causando fratture patologiche; queste ultime sono più comuni nella colonna vertebrale, ma possono verificarsi in qualsiasi sede. Le lesioni ossee appaiono radiograficamente come difetti a margini netti, generalmente di diametro da 1 a 4 cm. Meno frequentemente il MM può associarsi a fenomeni di diffusa demineralizzazione ossea (osteopenia) piuttosto che a difetti focali. Il dolore che deriva dal riassorbimento osseo si localizza spesso a livello della schiena o a livello toracico e più raramente alle estremità. E’ generalmente esacerbato dai movimenti e non è presente la notte, se non nei cambi di posizione. Inoltre, l’altezza del paziente si può ridurre di diversi centimetri a causa del collasso dei corpi vertebrali. Non sono infrequenti i plasmocitomi delle coste che possono comportarsi sia come lesioni litiche ossee, sia come masse che si espandono all’interno dei tessuti molli.
La procedura standard per identificare il coinvolgimento osseo è la radiografia convenzionale che, tuttavia, non è particolarmente sensibile, in quanto richiede una perdita di osso trabecolare di circa il 30-50% per evidenziare la presenza di una lesioni litica. La scintigrafia ossea non viene utilizzata, in quanto riflette l’attività osteoblastica e tende perciò a sottostimare la malattia ossea. La TC total body a bassa dose si è proposta come una valida alternativa all’utilizzo della radiografia standard. La RMN è la tecnica di scelta per lo studio di eventuali complicanze che coinvolgono il midollo osseo, come una compressione midollare. Una RMN con segni di interessamento osseo in pazienti asintomatici rappresenta un fattore prognostico negativo, mentre nei pazienti con MM sintomatico rappresenta un fattore di rischio indipendente per la sua sopravvivenza.

Anemia – Si presenta come un’anemia normocromica-normocitica. Compare nel 65% dei pazienti alla diagnosi, ma arriva fino al 73% nel corso della malattia. Ha un’eziopatogenesi multifattoriale, essendo dovuta principalmente sia alla sostituzione midollare da parte delle cellule neoplastiche, sia al danno renale. L’anemia spesso determina facile faticabilità, stanchezza e pallore. Talvolta può essere accompagnata da leucopenia e/o trombocitopenia.

Danno renale – I livelli di creatinina nel siero sono aumentati in più del 50% dei pazienti (sono > 2 mg/dl in circa il 20% dei pazienti). Ci sono due cause principali in grado di determinare danno renale: la nefropatia da deposito di catene leggere (chiamata anche “Rene da mieloma”) e l’ ipercalcemia. Le catene leggere escrete sono infatti tossiche per le cellule tubulari renali. In assenza di altre cause di insufficienza renale, un sospetto di diagnosi di “Rene da mieloma” deve venire quando c’è una concentrazione sierica di catene leggere elevata (> 1500 mg/l). Altre cause di insufficienza renale nel paziente con MM sono: l’amiloidosi AL (malattia da deposizione di catene leggere) e l’uso cronico di farmaci nefrotossici.

Ipercalcemia – Può dare origine a manifestazioni neurologiche (confusione, debolezza, letargia, costipazione, poliuria) e contribuire alla disfunzione renale. In circa il 13% dei pazienti il livello di calcio può essere tale da richiedere un trattamento d’ emergenza.

Disturbi neurologici – Le radiculopatie dell’area toracica e/o lombosacrale sono tra le complicanze più comuni del MM. Possono derivare dalla compressione del nervo da parte di un plasmocitoma paravertebrale, oppure, più raramente, dal cedimento della vertebra. Si può osservare anche la compressione del midollo spinale per un plasmocitoma extramidollare o per un frammento osseo derivante da una frattura del corpo vertebrale. La compressione del midollo deve essere sempre sospettata nei pazienti in cui insorge un dolore alla schiena severo, accompagnato da debolezza, parestesie della parte inferiore degli arti o da disfunzione vescicale e/o intestinale. La presenza di questi sintomi depone per un’emergenza medica: deve essere fatta immediatamente una RMN dell’intera colonna vertebrale, seguita dall’eventuale trattamento con chemioterapia, radioterapia o neurochirurgia per evitare il rischio di paraplegia permanente. Può comparire anche una neuropatia periferica, poco frequente e generalmente correlata ad amiloidosi. Un’eccezione rara a questa stretta correlazione è rappresentata dallo sviluppo della cosiddetta “ POET Syndrome” (Mieloma Osteosclerotico) in cui la neuropatia insorge in quasi il 100% dei pazienti. La patogenesi della neuropatia non è chiara, ma sembra essere legata ad un meccanismo paraneoplastico.
Il coinvolgimento del SNC, invece, è raro. Può essere dovuto alla presenza di plasmocitomi intracraniali che sono quasi sempre un’estensione delle lesioni mielomatose del cranio. La Mielomatosi Leptomeningea è un fenomeno raro che si può verificare nelle fasi avanzate della malattia e che rappresenta un indice di cattiva prognos. Ci sono anche rari casi di encefalopatia che può essere dovuta sia all’iperviscosità del sangue che alla presenza di ammoniemia elevata, in assenza di coinvolgimento epatico. In alcuni pazienti le cellule di mieloma diventano capaci di secernere grandi quantità di ammoniaca, le quali possono essere controllate solo se la neoplasia risponde alla chemioterapia.

Infezioni – Questi pazienti hanno un rischio aumentato di contrarre infezioni batteriche ricorrenti, dovuto sia alla diminuita produzione di immunoglobuline normali, sia a fattori fisici (come l’ipoventilazione secondaria a fratture patologiche e/o a dolore a livello vertebrale). L’immunità cellulare di solito non è interessata. Streptococcus Pneumoniae e Batteri Gram – sono i patogeni più frequentemente isolati.


Tecniche di Imaging

Uno studio con radiografia convenzionale che includa entrambi gli omeri e i femori è una componente fondamentale per la valutazione del paziente con sospetto MM. La TC, la RMN e la PET sono indagini più sensibili rispetto alla radiografia convenzionale per individuare un eventuale coinvolgimento osseo e devono includere cranio, pelvi, sterno, colonna vertebrale toraco-lombare. Le linee guida proposte dal Myeloma Working Group 14 stabiliscono che la TC, la RMN e la PET/TC devono essere riservate a pazienti selezionati, quali:
- pazienti con dolore osseo e con immagini radiografiche normali;
- pazienti con fratture da compressione;
- pazienti con deficit neurologici che potrebbero essere legati a compressione midollare;
- pazienti nei quali c’è incertezza riguardo la reale estensione della malattia ossea.

Sia la RMN che la PET/TC devono essere sempre effettuate di routine prima di fare diagnosi di Plasmocitoma o Mieloma Smoldering. Questi esami sono inoltre indicati nei pazienti che ricevono terapie specifiche per la malattia al fine di monitorare la sua risposta.
La scintigrafia ossea (che individua per prima cosa le lesioni osteoblastiche) ha una sensibilità inferiore alla radiografia convenzionale e per questo non deve essere usata. La radiografia convenzionale permette di rivelare la presenza di lesioni litiche, osteopenia diffusa o di fratture in circa l’80% dei pazienti con MM alla diagnosi. La RMN può individuare lesioni ossee che non sono visibili alla radiografia, così come la radiografia può individuare lesioni non visibili alla RMN. Generalmente la RMN permette di evidenziare meglio la presenza di lesioni a livello di colonna vertebrale, pelvi e sterno, mentre la radiografia convenzionale supera la RMN nello studio delle coste e delle ossa lunghe. Infine, la PET/TC con FDG può individuare lesioni che non erano state evidenziate con le tecniche precedenti, mostrando un’ ipercaptazione del tracciante a livello della lesione osteolitica.
Lesioni litiche focali sono ritrovate in circa il 60% dei pazienti; osteoporosi, fratture patologiche o fratture da compressione della colonna sono riscontrate in circa il 20% dei casi. Le lesioni osteosclerotiche sono molto rare e possono essere legate, ad esempio, alla presenza di una POEMS Syndrome.


Diagnosi

La diagnosi di MM è spesso derivante da una o più delle seguenti presentazioni cliniche:
- Dolore osseo in presenza di lesioni litiche, riscontrate in esami effettuati di routine;
- Un incremento della concentrazione totale di proteine sieriche e/o la presenza di proteine monoclonali all’interno delle urine o del siero;
- Segni o sintomi sistemici di malattia neoplastica, come un’anemia non spiegabile;
- Ipercalcemia sintomatica o asintomatica;
- Insufficienza renale acuta o, più raramente, sindrome nefrotica per la presenza di una concomitante amiloidosi.

La diagnosi deve cominciare con un’accurata anamnesi che indaghi riguardo l’eventuale presenza di dolore osseo, di sintomi sistemici, di sintomi neurologici e di infezioni. E’ importante effettuare anche un esame obiettivo completo che includa anche quello neurologico. Inoltre, è importante programmare una serie di esami come: emocromo completo con misurazione di calcio, creatinina, LDH, beta-2-microglobulina, PCR, dosaggio delle catene leggere delle immunoglobuline, elettroforesi sierica con immunofissazione e quantificazione delle immunoglobuline, analisi delle urine e raccolta nelle 24 ore per elettroforesi ed immunofissazione, eventuale biopsia midollare.
L’ IMWG (International Myeloma Working Group) ha pubblicato i seguenti criteri per fare diagnosi di MGUS, Mieloma Smoldering e di Mieloma sintomatico: 15, 16

Diagnosi Criteri diagnostici
MGUS Devono essere riscontrati tutti e 3 i seguenti criteri:
1. Concentrazione sierica di proteine monoclonali (IgG o IgA) < 3g/dl
2. Percentuale di plasmacellule nel midollo osseo < 10%
3. Assenza di danno d’organo caratteristico del mieloma (CRAB)
Mieloma Smoldering Devono essere riscontrati entrambi i criteri:
1. Concentrazione sierica di proteine monoclonali (IgG o IgA)  3 g/dl e/o percentuale di plasmacellule all’interno del midollo osseo  10%;
2. Assenza di danno d’organo caratteristico del mieloma (CRAB)
MM (sintomatico) Devono essere riscontrati tutti e 3 i seguenti criteri:
1. Percentuale di plasmacellule nel midollo osseo  10%
2. Presenza di proteine monoclonali nel sangue o nelle urine (eccetto per i pazienti con MM non secernente vero);
3. Presenza di danni d’organi caratteristici del MM (CRAB), specificatamente:
• Ipercalcemia – calcio plasmatico > 11.5 mg/dl
• Insufficienza renale – Creatinina plasmatica > 1.73 mmol/l
• Anemia – normocromica, normocitica con un valore di Hb > 2 g/dl sotto il limite inferiore del range ritenuto normale o < 10 g/dl;
• Presenza di lesioni ossee: lesioni litiche, osteopenia, fratture patologiche.

La diagnosi clinico-patologica si basa su riscontri radiografici e di laboratorio. Può essere fortemente sospettata quando sono presenti le caratteristiche lesioni radiografiche, ma la diagnosi definitiva richiede sempre la biopsia del midollo osseo. La grande maggioranza dei pazienti affetti presenta una percentuale di plasmacellule uguale o maggiore del 10% all’interno del midollo osseo; tuttavia circa un 4% dei pazienti affetti può presentare una percentuale inferiore. In tal caso la diagnosi verrà fatto in caso di soddisfazione degli altri criteri diagnostici e dopo conferma istopatologica su un tessuto molle o su un plasmocitoma osseo.
Le principali condizioni cliniche che entrano in diagnosi differenziale con il MM sono: la Gammopatia di Significato Incerto (MGUS), il Mieloma Multiplo Smoldering (SMM), la Macroglobulinemia di Waldenstrom, il Plasmocitoma solitario, l’ Amiloidosi Primaria, la Sindrome POEMS e le metastasi da carcinomi.


Prognosi e Stadiazione

La prognosi è molto variabile, ma generalmente infausta. La sopravvivenza media va da 4 a 6 anni e non sono ancora state registrate guarigioni complete. I pazienti con lesioni ossee multiple, se non trattati, sopravvivono raramente per più di 6-12 mesi, mentre i pazienti con Mieloma Smoldering possono restare asintomatici per diversi anni. La prognosi, come per tutte le neoplasie, dipende da diversi fattori chiave: lo stadio del tumore, le caratteristiche del paziente, le caratteristiche biologiche della malattia e la sua aggressività, la risposta alle terapie.
Esistono due principali sistemi di stadiazione: l’ International Staging System (ISS) e il Durie -Salmon Staging System. Tra questi due, il primo viene preferito per la sua semplicità e oggettività. E’ importante sottolineare che essi si usano più che altro per stratificare e confrontare pazienti arruolati all’interno di trials clinici, permettendo ai medici di interpretare facilmente i risultati ottenuti.
Altri studi prognostici, come lo studio citogenetico del midollo osseo e lo studio delle traslocazioni cromosomiche, sono usati più frequentemente per decidere il trattamento.
Gli studi citogenetici standard permettono di evidenziare alterazioni del cariotipo solo nel 30% dei casi, mentre l’utilizzo della FISH permette di evidenziare alterazioni genetiche in oltre il 90% dei pazienti. Ad esempio, tra le alterazioni più frequentemente riscontrate ci sono le traslocazioni t(4;14), t(14;16) e la delezione 17p- che si associano ad una prognosi negativa.

L’International Staging System (ISS) si basa sui valori di B2 – Microglobulina (B2M) e di albumina sierica per dividere la patologia in 3 stadi con significato prognostico differente:

- Stage I: B2M < 3.5 mg/l e albumina sierica  3.5 g/dl
- Stage II: né stadio I né stadio III
- Stage III: B2M  5.5 mg/l

La sopravvivenza media per i pazienti dello stadio ISS I, II e III è di rispettivamente 62, 44 e 29 mesi. L’ISS deve essere usato solo per il mieloma multiplo sintomatico, non può essere usato né per il Mieloma Smoldering, né per l’ MGUS. Inoltre, i valori su cui si basa, come B2M e albumina, sono parametri che possono dipendere anche da altri fattori del paziente, quali l’insufficienza renale e la presenza di eventuali comorbidità. Per questo motivo è stato proposto anche l’R-ISS (Revised ISS) che, oltre ai fattori precedenti (B2M e Albumina) aggiunge i valori di LDH e la presenza di anormalità cromosomiche “ad alto rischio” individuate mediante FISH (Interphase Fluorescent in Situ Hybridization). I pazienti vengono stratificati in 3 stadi, ciascuno con un tasso differente di sopravvivenza globale (OS- overall survival) e di progressione libera da malattia (PFS – progression free survival) a 5 anni.

Lo Staging di Durie – Salmon è un metodo rapido per stimare il “tumor burden” (numero di cellule metastatiche e dimensioni del tumore). Conoscendo la quantità di Ig prodotte da ciascuna plasmacellula e l’emivita delle Ig circolanti, è possibile calcolare matematicamente il numero totale delle cellule del tumore e le sue dimensioni. Questi parametri sono poi correlati alla caratteristiche cliniche individuali, di laboratorio, alle caratteristiche delle immagini, ai livelli di emoglobina, al livello di calcio sierico e al numero e alle dimensioni delle lesioni ossee.15, 17


Stadio I
Scarsa densità cellulare (< 0.6 x 1012 cellule/m2) + tutti i seguenti:
• Hb > 10 g/dl
• IgG sieriche < 5 g/dl
• IgA sieriche < 3 g/dl
• Livelli di calcio sierico normali
• Escrezione urinaria di di proteine monoclonali < 4 g/die
• Assenza di lesioni litiche ossee generalizzate

Stadio 2
Densità cellulare intermedia con parametri che non rientrano né nello stadio I né nello stadio III.


Stadio 3
Elevata densità cellulare (> 1.2 x 1012 cellule/m2) + almeno 1 dei seguenti:
• Hb < 8.5 g/dl
• IgG sieriche > 7 g/dl
• IgA sieriche > 5 g/dl
• Concentrazione di calcio sierico > 12 mg/dl
• Escrezione urinaria di proteine monoclonali > 12 g/die
• Presenza di lesioni litiche ossee gravi

Lo Stadio 3 viene ulteriormente suddiviso in IIIA e IIIB, in base alla concentrazione sierica di creatinina:
A. Creatinina sierica < 2 mg/dl
B. Creatinina sierica  2 mg/dl

Pur rappresentando un ottimo sistema per la classificazione del MM, la stadiazione di Durie – Salmon ha il problema di considerare parametri soggettivi (in particolare, il numero e la grandezza delle lesioni ossee) che fanno decrescere l’oggettività nel predire la prognosi e la sopravvivenza del paziente.


Trattamento non chirurgico del Myeloma Bone Disease (MBD)
La terapia medica viene utilizzata essenzialmente per due motivi: il controllo delle progressione tumorale tramite antiblastici e la prevenzione delle complicanze scheletriche come fratture, ipercalcemia maligna, compressione del midollo spinale, necessità di radioterapia antalgica e chirurgia ossea decompressiva.
La gestione del MBD necessita di un approccio multidiscplinare che include la chemioterapia specifica per il mieloma, oltre all’utilizzo di altre classi farmacologiche come: Bifosfonati, Inibitori dei Proteasomi, DKK-1 antagonisti, RANKL antagonisti.

BIFOSFONATI. Rappresentano il perno del trattamento del Myeloma Bone Disease e in generale delle metastasi ossee. Sono risultati efficaci nel controllo del dolore e ciò è direttamente correlato alla riduzione dell’osteolisi, attraverso l’inibizione dell’attività osteoclastica. Il controllo del dolore in questi pazienti rappresenta un obiettivo primario e la qualità di vita rappresenta l’end-point del trattamento delle metastasi ossee. I farmaci più utilizzati sono il Pamidronato e.v., l’ Acido Zoledronico per os e il Clodronato per os. I bifosfonati e.v. sono da preferire nel trattamento del MM, tuttavia possono determinare insufficienza renale cronica e osteonecrosi della mandibola.
Nel caso specifico del mieloma multiplo, i pazienti con una insufficienza renale lieve-moderata (valori di clearance della creatina compresi tra 30 e 60 ml/min) devono ricevere una riduzione del dosaggio di bifosfonato. Il trattamento è invece precluso ai pazienti con insufficienza renale grave. E’ consigliato iniziare la terapia al momento dell’evidenza radiologica di malattia metastatica ossea, anche se asintomatica. La durata ottimale del trattamento con bifosfonati è ancora argomento di dibattito. L’IMWG suggerisce di interrompere il trattamento dopo un anno se i pazienti hanno raggiunto la remissione completa (CR) o la very good partial remission (VGPR) e in assenza di malattia ossea attiva; se il paziente non ha raggiunto almeno la VGPR o mostra segni di malattia ossea attiva, deve effettuare la terapia per due anni. Dopo due anni il la terapia può essere interrotta nel paziente che non mostra lesioni ossee attiva. Il proseguimento del trattamento è consigliato tenendo conto degli effetti collaterali e, allo stesso tempo, del rischio di sviluppo di eventi scheletrici, della tollerabilità e delle condizioni generali del paziente. Le tossicità più frequenti sono: sindrome simil-influenzale (9%), febbre (7.2%), dolore osseo (9%), astenia (4%) e rigidità (2.9%). L’osteonecrosi della mandibola (ONJ) è una complicanza rara, ma potenzialmente seria della terapia. Si stima che colpisca circa lo 0.83% dei pazienti trattati. Tra i fattori di rischio individuati abbiamo: trattamento radiante dei tumori testa-collo, malattia periodontale, chirurgia dell’osso mascellare, presenza di edentulia e protesi, trattamento prolungato con bifosfonati. La chirurgia dento-alveolare e i processi infiammatori del cavo orale aumentano il rischio di ONJ di 7 volte. Vi è anche un aumentato rischio in base all’istotipo del tumore: il mieloma multiplo è più spesso associato a ONJ. La diagnosi è posta in base all’evidenza clinica, ossia all’osso esposto nell’area maxillo-facciale che si presenta spontaneamente o in seguito ad interventi chirurgici del cavo orale, senza evidenza di riparo della mucosa ed in assenza di metastasi alla mandibola o di osteoradionecrosi. Segni e sintomi di sono il dolore localizzato, la difficoltà a nutrirsi e a parlare, il gonfiore, l’infiammazione dei tessuti molli, la perdita di elementi dentari stabili, la presenza di pus ed osso esposto nel sito di precedenti interventi di chirurgia orale. La terapia dell’ ONJ prevede il controllo del dolore, il controllo delle eventuali infezioni associate con terapia antibiotica, possibilmente dopo isolamento dei germi patogeni. Non ci sono attualmente evidenze che indichino come la sospensione della terapia con bifosfonati influisca sull’evoluzione della ONJ. La prevenzione si effettua sostanzialmente tramite una visita odontoiatrica preventiva e, nel caso vi sia la necessità di procedura dento-alveolari, queste devono essere effettuate prima dell’inizio del trattamento con bifosfonati. E’ indicata la pulizia del cavo orale e tutti gli interventi effettuati devono essere accompagnati da antibiotico terapia.
Infine, poiché nel paziente oncologico è frequente l’ipovitaminosi di tipo D, si raccomanda, durante la terapia con bifosfonati, una supplementazione di calcio e vitamina D. Le dosi consigliate sono 1000-1200 mg di calcio e 800 UI di vitamina D. Il paziente in terapia con bifosfonati e ipovitaminosi D può andare incontro ad ipocalcemia e quindi a iperparatiroidismo secondario. Il paratormone induce l’attività osteoclastica , contrastando l’attività dei bifosfonati nel prevenire gli SREs (eventi scheletrici avversi).18

INIBITORI DEL PROTEASOMA (Bortezomib). Si tratta di farmaci che hanno dimostrato di essere efficaci nei pazienti in cui i bifosfonati non hanno dato risultati. La loro azione si basa sull’inibizione dell’attività osteoclastica. Inoltre, con il loro utilizzo, si è osservato un aumento nel plasma della concentrazione di due marker di attività osteoblastica: BAP (Bone Specific Alkaline Phosphatase) e Osteocalcina. Questo effetto sembrerebbe essere legato alla capacità del Bortezomib di indurre la differenziazione osteoblastica.

DDK1- ANTAGONISTI. Sono una classe che di farmaci che permette di stimolare l’attività osteoblastica e di ridurre quella osteoclastica, tramite l’inibizione di DDK-1.

RANKL-ANTAGONISTI. RANKL è un fattore chiave nella patogenesi del Myeloma Bone Disease. Il Denosumab è un anticorpo umanizzato diretto contro RANKL, che impedisce il legame RANKL-RANK, determinando così l’inibizione del riassorbimento osseo.
I RANKL-ANTAGONISTI sono una classe di farmaci che permettono di ottenere risultati simili a quelli ottenuti tramite bifosfonati e.v..

RADIOTERAPIA. Rappresenta il trattamento di scelta per il plasmocitoma osseo solitario ed in certi casi si è dimostrata addirittura curativa. L’indicazione più frequente è rappresentata dal controllo di lesioni ossee dolorose, dove la ha un tasso di successo di circa il 90%. Altre indicazioni sono: la compressione midollare, le fratture patologiche, i plasmocitomi dei tessuti molli, il controllo dei sintomi neurologici focali. Il rischio principale è il danno permanente del midollo osseo.
































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