ETD

Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-06302012-095613


Tipo di tesi
Tesi di specializzazione
Autore
BAMONTE, FRANCESCA
URN
etd-06302012-095613
Titolo
CELIACHIA: NUOVE OPPORTUNITA' DIAGNOSTICHE.
Dipartimento
FARMACIA
Corso di studi
BIOCHIMICA CLINICA
Relatori
correlatore Dott. Boffardi, Massimo
relatore Prof. Lucacchini, Antonio
Parole chiave
  • transglutaminasi
  • gliadine
  • immunoenzimatica
  • DQ
  • celiachia
Data inizio appello
26/07/2012
Consultabilità
Completa
Riassunto
CAPITOLO 1

1.1 LA CELIACHIA
La celiachia è una enteropatia immuno-mediata caratterizzata da atrofia dei villi intestinali, ipertrofia delle cripte e infiltrazione della mucosa da parte di cellule infiammatorie, causata, in individui geneticamente predisposti, dall’ingestione di glutine. L’eliminazione del glutine dalla dieta porta alla normalizzazione del quadro istologico.
Si tratta di una delle più comuni intolleranze alimentari. Una condizione simile alla moderna MC (malattia celiaca) fu descritta già nel I secolo d.C. da Areteo di Cappodocia dove elencava i sintomi di una sindrome clinica caratterizzata da diarrea cronica. Nel 1888 il dottor Samuel Gee descrisse la malattia nei bambini affermando che la dieta era l'aspetto principale per una corretta terapia. Nel 1918 Still segnalò, in certe forme di malassorbimenti intestinali, l’azione dannosa dell'alimentazione con pane, e nel 1926 Hass descrisse l’utilizzo della dieta a base di banana nel trattamento dei bambini affetti da anoressia e diarrea. Fu poi nel 1932 che l’olandese Thjsend osservò che l’alimentazione coatta con tuberi (per guerre e carestia) faceva guarire i celiaci, e nel 1950 Dicke osservò una riduzione dei casi di malattia celiaca nei bambini in Olanda durante la seconda guerra mondiale, legata alla carenza del pane e cereali. Questi stessi bambini mostravano un peggioramento clinico, quando gli aerei alleati in seguito lasciavano cadere il pane nei Paesi Bassi. Egli quindi collegò la malattia all’alimentazione con il pane. Nello stesso decennio il componente incriminato del grano fu identificato da Charlotte Anderson come "massa di glutine", estratto dal grano, e successivamente da Kamer alle gliadine del frumento. Negli anni ’60 si cominciò ad effettuare piccole biopsie intestinali come supporto alla diagnosi della Malattia Celiaca e, infine, nel 1997, l’enzima transglutaminasi tissutale (tTG o TTG2) è stata identificata come l'autoantigene nella malattia celiaca (1-2).
Queste osservazioni hanno costituito la base per la nostra attuale comprensione della malattia celiaca e il suo trattamento con una dieta priva di glutine. In passato la MC veniva diagnosticata per di più nei bambini e solo in presenza di sintomi indicativi di una sindrome di malassorbimento. L’avvento dei test di screening sierologici (dosaggio di AGA, EMA, anticorpi anti-transglutaminasi) immunoenzimatici e immunometrici, cambiando il vecchio iter diagnostico della MC, hanno mostrato che la condizione è molto più frequente di quanto si pensasse. In Italia attualmente si ritiene che la prevalenza della MC è intorno a 1:100. Dovunque siano stati ricercati attivamente celiaci, si è riscontrato un tasso di incidenza di 1 :150, tasso cumulativo più realistico per tutte le popolazioni occidentali.
In passato si riteneva che la celiachia fosse appannaggio esclusivo delle popolazioni europee. Anche i caratteri somatici, quali i capelli biondi e gli occhi azzurri, venivano descritti come tipici dei soggetti affetti da malattia celiaca, ed era pressoché sconosciuta tra i neri di America ed in oriente. Attualmente questo quadro epidemiologico si sta modificando. La celiachia si presenta con un’elevata incidenza nella popolazione occidentale, e sta emergendo anche nei paesi in via di sviluppo o che comunque osservano una dieta alimentare “occidentale”. Nei paesi occidentali la celiachia è attualmente considerata una comune causa di malassorbimento intestinale, con differenze nell’incidenza geografica che possono essere messe in relazione, per esempio, all’età di introduzione del glutine nella dieta. Nel continente asiatico vi è invece un incidenza inferiore, forse riconducibile al diverso tipo di dieta.
Grazie ai nuovi test ematochimici, la frequenza di riscontro della celiachia si sta modificando anche in aree del mondo quali l’Africa del nord, il Medio Oriente e l’India in cui precedentemente si riteneva fosse poco frequente. Si assiste in questi anni a quella che possiamo chiamare la “globalizzazione” della celiachia e la diffusione geografica della malattia ricalca quella dei cereali contenenti glutine (3). L’utilizzo del frumento nei paesi in via di sviluppo è notevolmente aumentato negli ultimi anni: attualmente il consumo medio di frumento in questi paesi è di 63,4 Kg/anno contro 29,3 Kg/anno del 1961; tale aumento potrebbe, quindi, essere la fase iniziale di una “pandemia” celiaca legata alla progressiva occidentalizzazione, dal punto di vista alimentare, della popolazione mondiale.
La celiachia rappresenta, in realtà, un modello particolare di malattia autoimmune e multifattoriale di cui, a differenza delle altre patologie del sistema immunitario, sono noti i fattori patogenetici responsabili della sua insorgenza che si identificano in tre elementi essenziali:
­ Il fattore ambientale, o estrinseco, scatenante: la gliadina;
­ L’associazione genetica con le glicoproteine del complesso di istocompatibilità HLA DQ-2, DQ-8;
­ L’autoantigene verso cui è diretta la risposta autoanticorpale : l’enzima transglutaminasi tissutale.


1.2. IMMUNOPATOGENESI DELLA CELIACHIA
Per comprendere i meccanismi patogenetici della malattia celiaca occorre esaminare il ruolo di ciascuno dei tre fattori responsabili della sua insorgenza e precedentemente elencati.


Meccanismo infiammatorio

Il Glutine
Il fattore “ambientale” scatenante la celiachia è rappresentato dal glutine, complesso proteico contenuto in alcuni cereali (frumento, orzo, segale), e costituito principalmente da due componenti: le prolammine e le glutenine (figura 1) (4).


Fig.1 Composizione del glutine

Le prolammine sono definite così perché rappresentano quella componente del glutine ricca in prolina e in glutammina, aminoacidi insolubili in acqua; esse si distinguono in gliadine nel frumento, orzeine nell’orzo e segaline nella segale. Le gliadine rappresentano la principale componente proteica e sono le responsabili dell’innesco della risposta infiammatoria verso il glutine. Sono caratterizzate da alcune differenze nell’organizzazione strutturale, ovvero da regioni di microeterogenicità in base alle quali possono essere distinte in quattro frazioni elettroforetiche: alfa-gliadina, beta-gliadina, gamma-gliadina e omega-gliadina (figura 2) (5). Le gliadine rappresentano la frazione alcol-solubile del glutine, sono costituite da singole catene polipeptidiche, di peso molecolare compreso tra i 30 e i 75 kDa, e sono caratterizzate dalla presenza di sequenze ripetute costituite da 32-56 residui di glutammina e 15-30 residui di prolina ogni 100 residui amminoacidici.


Fig.2: Dal chicco di grano alla gliadina: in questa immagine sono schematizzate le componenti
della farina dei cereali e le frazioni alfa, beta, gamma e omega della gliadina.

La componente tossica del glutine deriva proprio dalle gliadine, ed è stata identificata in un peptide di 33 amminoacidi dell’alfa-gliadina (corrispondente alla regione 56-88 dell’α-gliadina), la cui sequenza è riportata di seguito:
LQLQPFPQPQLPYPQPQLPYPQPQLPYPQPQPF. (6)
Questo peptide conferisce le seguenti proprietà antigeniche al glutine:
­ Gli epitopi antigenici del glutine sono localizzati nelle regioni ricche di residui di prolina;
­ Gli epitopi ricchi in prolina sono, inoltre, resistenti alla proteolisi dei succhi gastrici e del succo pancreatico; ciò determina, un accumulo di questi peptidi “tossici” nel lume intestinale (cioè rimangono intatti per tutto il processo digestivo e agiscono anche come potenziale antigene per la proliferazione dei linfociti T);
­ Tali epitopi sono, inoltre, il substrato principale della transglutaminasi tissutale.
La transglutaminasi tissutale (tTG), infatti, catalizza una reazione di deamidazione a livello dei residui di glutammina (Q) con la conseguente formazione di residui di acido glutammico che comporta un aumento dell’affinità di questi epitopi per il complesso maggiore di istocompatibilità (HLA) sulla superficie delle cellule presentanti l’antigene (APC). Anche le prolamine contenute in cereali tassonomicamente affini al frumento, quali l'orzo e la segale, simili alle gliadine per la solubilità in alcol e l’alto contenuto di glutammine e proline, risultano tossiche per l’intestino dei celiaci. Il diverso grado di tossicità delle prolammine di cereali diversi può essere correlato alle relazioni filogenetiche fra le specie.
Il glutine se dal punto di vista nutrizionale è una proteina povera per l’uomo, assume molta importanza nella lavorazione delle farine in quanto conferisce elasticità e viscosità all’impasto proprio per le sue caratteristiche chimico-fisiche. Le glutenine formano un complesso reticolo nelle cui maglie vengono intrappolate le gliadine che a loro volta trattengono le molecole d’acqua rendendo l’impasto nello stesso tempo soffice ed elastico (7).

La Genetica
La celiachia si sviluppa in soggetti geneticamente predisposti. I geni implicati nell’insorgenza della celiachia sono situati sul braccio corto del cromosoma 6 e codificano per il complesso maggiore di istocompatibilità, HLA (Human Leukocyte Antigen) il quale risulta di particolare importanza per il corretto controllo della risposta immunitaria. Le molecole HLA di II° classe, eterodimeri formati da 2 catene  e da 2 catene  codificate da tali geni, ed esposte in forma di calice sulla superficie delle cellule presentanti l’antigene (APC), legano i peptidi antigenici derivati dal glutine, riconosciuti dal recettore (TCR) posto sulla superficie dei linfociti T CD4+ (figura 3).


Fig. 3 Meccanismo patogenetico della risposta immune alla gliadina.

La celiachia è associata a diversi gruppi di geni (DQ, DR), ma principalmente ai geni codificanti la molecola HLA di II° classe del sottogruppo DQ A e DQ B. La predisposizione alla patologia celiaca è limitata ai soggetti portatori dell’allele DQA1*0501 insieme al DQB1*0201, i quali codificano rispettivamente per una proteina alfa (dal gene DQ A) e per una proteina beta (dal gene DQ B), che formano un eterodimero HLA DQ2 alfa-beta capace di riconoscere gli epitopi antigenici del glutine (figura 4).


Fig4. HLA DQ2 nella risposta immune

L’eterodimero DQ2 è presente nel 95% dei soggetti celiaci. Il rischio di ammalarsi di celiachia per i soggetti portatori di questo gene è di uno su cento. La maggior parte dei celiaci che non esprimono il DQ2 presentano l’allele DQA1*0301/DQB1*0302 che codifica l’eterodimero DQ8. Il rischio di ammalarsi di celiachia nei soggetti che presentano il DQ8 ma non il DQ2 è di uno su duemila (8).
In particolare, i geni DQ2 e DQ8 determinerebbero, rispettivamente, la sostituzione di un acido aspartico in posizione 57 della catena beta e la presenza di una serina in posizione 75 della catena alfa degli eterodimeri codificati tali da alterare il legame con l'antigene. Questo comporterebbe una non corretta presentazione dei peptidi della gliadina al TCR dei linfociti T scatenando una alterata risposta immunologica nei suoi confronti. Il 10% dei familiari di primo grado di soggetti celiaci è affetto in modo silente o manifesto dalla stessa condizione, e la prevalenza sale al 30% quando si considerano fratelli e sorelle HLA identici; esiste inoltre una concordanza molto elevata ma non assoluta (70%) tra gemelli monozigoti e ciò conferma l’importanza dei fattori ambientali nell’insorgenza della malattia celiaca (9). E’ noto, inoltre, che il 25-30% dei familiari sani di pazienti celiaci ha i geni predisponenti la malattia ma non è intollerante al glutine (10). Da quanto descritto risulta che i geni HLA sono essenziali per l’intolleranza, ma non spiegano il completo meccanismo della risposta immunitaria. Senza questi geni specifici non si sviluppa la celiachia, e chi possiede i geni ma non produce anticorpi anti-gliadina (AGA) e anti-endomisio (EMA) non è escluso dalla possibilità di sviluppare l’intolleranza in futuro. La presenza degli alleli che codificano il DQ2 ed il DQ8 è quindi condizione necessaria ma non sufficiente allo sviluppo della malattia. L’analisi dei geni HLA serve, pertanto, ad escludere l’intolleranza al glutine ma non a confermare la diagnosi.

La Transglutaminasi
La transglutaminasi tissutale (tTG) è un enzima di membrana calcio-dipendente che catalizza la formazione di legami isopeptidici tra residui di glutammina e lisina di varie proteine. Essa è implicata in numerosi processi biologici tra cui il differenziamento cellulare, l’apoptosi e il metabolismo del glutine (11). A livello intestinale, quando non vi sono ammine accettrici disponibili, la transglutaminasi catalizza la trasformazione della glutammina in acido glutammico, carico negativamente, attraverso la reazione di deamidazione (figura 5) (12). L’acquisizione di cariche elettronegative da parte dei peptidi di gliadina, modificati dalla reazione di deamidazione, permette a questi ultimi di legare più avidamente le molecole HLA-DQ2 e DQ8 sulle cellule presentanti l’antigene (APC) con conseguente attivazione della risposta dei linfociti T per la gliadina (13).
Sembra inoltre, data l’elevata affinità transglutaminasi-gliadina, che l’interazione tra queste due molecole, generi neoepitopi con proprietà antigeniche, che determinano la rottura della tolleranza immunitaria e l’inizio della risposta autoimmune, in quanto l’attivazione linfocitaria comporta non solo la produzione di anticorpi anti-gliadina ma anche di auto-anticorpi anti-tTG tissutale (14-15).


Fig.5 Deamidazione da parte della transglutaminasi

Data l’elevata presenza di anticorpi anti-transglutaminasi nei pazienti celiaci è stato dimostrato che questi anticorpi hanno un ruolo nello sviluppo della lesione mucosale tipica della celiachia. Questi anticorpi hanno infatti un parziale effetto inibitorio dose-dipendente nei confronti dell’attività transamidante della tTG umana: infatti la presenza degli anticorpi anti-tTG determina una mancata attivazione del TGF-B, il fattore stimolante il differenziamento degli entorociti (attivato da una modificazione indotta dalla stessa tTG) determinando il mancato differenziamento dell’epitelio con conseguente appiattimento dell’epitelio dei villi.
Il processo di attivazione dei linfociti T della lamina propria è quello che avvia una cascata di eventi, quali la produzione di un pattern di citochine di tipo Th1 che a loro volta attivano i macrofagi, inducendo la sovrapproduzione di interleuchina 12 (IL-12), IL-6, Tumor Necrosis Factor (TNF-α) e metalloproteinasi (16-17), capaci di degradare la matrice extracellulare, provocando l’appiattimento della mucosa intestinale che culmina, infine, nell’atrofia dei villi intestinali. Si innesca infatti, un meccanismo di produzione di ossido nitrico in cui è coinvolto TNF-α, e aumentata apoptosi enterocitaria. IL-6 invece concorre alla differenziazione, durante la fase di risposta acuta, dei linfociti B in plasmacellule producenti immunoglobuline specifiche. Inoltre durante il processo infiammatorio si ha un rilascio sempre maggiore di tTG, dovuto all’azione di alcune citochine; in questo modo aumentano le modificazioni della gliadina da parte dell’enzima, con conseguente aumento della produzione degli auto-anticorpi.


Fig.6: Rappresentazione schematica della reazione dell’enzima transglutaminasi tissutale che trasforma la glutammina in acido glutammico carico negativamente

Processi dopo deamidazione
Recenti dati biostrutturali ottenuti dalla cristallizzazione di DQ2 e DQ8 ci hanno mostrato che vi sono specifiche sequenze di aminoacidi della gliadina necessarie per il legame con le molecole DQ durante la presentazione antigenica dei peptidi della gliadina alle cellule T.
DQ8 possiede una tasca di base 9 nella scanalatura del peptide di legame, secondaria ad una sostituzione di β57 acido aspartico per valina, alanina, serina o che interrompe un ponte tra β57 sale acido aspartico e α76 arginina, e questo è importante per la patogenesi nei pazienti con DQ8 . Questa tasca 9 ha una forte preferenza per i residui carichi negativamente, come l'acido glutammico seguente la deamidazione specifica.
In realtà, DQ8 preferisce i residui con carica negativa in una o in entrambe le posizioni di ancoraggio, tasche 1 e 9, che porta ad una più alta affinità di legame. Il QQPQQPYPQ, sequenza nativa che deriva da un epitopo di γ-gliadina, è selettivamente deamidata a diventare EQPQQPYPE sequenza core altamente immunogenica.
HLA-DQ2 ha invece una preferenza per una prolina nella tasca 1 (che è abbondante in gliadina) insieme con l'acido glutammico con carica negativa in posizione 4 o 6, come nel prototipo epitopo dell’ α-1 gliadina PFPQPQLPY (18). Tuttavia, questo peptide è praticamente non stimolatorio fino a quando non è deamidato a diventare PFPQPELPY (figura 7 e 8).


Fig.7 HLA-DQ2 e HLA-DQ8 peptide binding groove.

Pertanto, la modificazione enzimatica da parte di tTG (deamidazione) crea peptidi che possono legarsi alle molecole DQ con affinità ancora più elevata, portando ad una maggiore immunogenicità.

Fig.8 Gliadina deamidata

Il danno istologico della mucosa
L’intestino tenue subisce profonde modificazioni a livello della mucosa. Il danno si identifica con la progressiva evoluzione delle seguenti fasi :
Fase infiltrativa: è caratterizzata da un infiltrato infiammatorio che si distribuisce nella lamina propria ed è costituito prevalentemente da plasmacellule ed in minor misura da linfociti T CD4+ ed eosinofili.
­ Fase iperplastica: segue la fase infiltrativa ed è caratterizzata oltre che dall’infiltrato infiammatorio anche da un’iperplasia delle cripte.
­ Fase distruttiva: in questa fase si assiste ad una progressiva riduzione dell’altezza dei villi intestinali fino ad una loro completa atrofia (mucosa piatta). Il normale rapporto villo/cripta di 3:1 è profondamente modificato. Gli enterociti appaiono danneggiati con irregolare allineamento e perdita della fisionomia colonnare, diventando cuboidali o appiattiti (figura 9). L’attività mitotica è aumentata nelle cripte che appaiono espanse, per cui lo spessore complessivo della mucosa rimane per lo più inalterato (19-20).
Queste modificazioni istologiche si traducono nel malassorbimento dei nutrienti, ovvero nella principale conseguenza della malattia: la malnutrizione.


Fig9. Fasi del danno mucosale: modificazioni morfologiche del villo e delle cripte.

QUADRI CLINICI
Come tutte le enteropatie, anche la MC è caratterizzata da una gamma estremamente ampia di possibili presentazioni cliniche. Si riconosce una cosiddetta forma classica, caratterizzata da sintomi tipici di malassorbimento, quali diarrea, steatorrea e/ o calo ponderale; una forma subclinica, caratterizzata da sintomi minori anche extraintestinali e infine la forma silente caratterizzata dall’assenza di sintomi e segni riferibili al malassorbimento. Attualmente la Celiachia tende a manifestarsi sempre più spesso nella forma ad esordio tardivo presentandosi con disturbi intestinali sia tipici che atipici (dolori addominali ricorrenti, stipsi, meteorismi), e soprattutto con manifestazioni extraintestinali (anemia, dermatite erpetiforme, stomatite aftosa, bassa statura, artriti ecc.). Le forme atipiche di MC sono le più diffuse nell’adulto (21-22).
Numerose condizioni morbose, prevalentemente a patogenesi autoimmune, possono associarsi alla MC. (tabella 1)

Tabella 1 PRINCIPALI MALATTIE ASSOCIATE
Diabete mellito insulino-dipendente
Tiroidite di Hashimoto
Sindrome di Sjogren
Sindrome di Turner
Deficit selettivo di IgA
Cirrosi biliare primitiva
Sclerosi multipla
Epilessia con calcificazioni cerebrali

La dieta aglutinata rappresenta attualmente l’unico trattamento della MC. L’evidenza che malattie associate si presentino in età adulta suggerisce chiaramente l’esistenza di una relazione con la durata dell’esposizione a tale antigene alimentare. Operare una diagnosi precoce e porre i pazienti in trattamento dietetico diventa, quindi, una procedura consigliabile (23-24).

1.3. DIAGNOSI DELLA CELIACHIA
Predisporre un protocollo diagnostico per la celiachia non è un compito semplice, perché vi sono diverse opzioni, soprattutto nel campo della sierologia, altrettanto valide e la cui scelta obbliga a fare comunque delle rinunce. Il comitato Nazionale per la sicurezza Alimentare (C.N.S.A), ha approvato un protocollo (pubblicato in G.U.n°.32 S.O. del 7 febbraio 2008) che stabilisce linee guida per la diagnosi e il follow-up della celiachia e che risponde alla necessità di essere semplice, basato su pochi ma essenziali test diagnostici, che è applicabile su tutto il territorio nazionale e che è in grado di identificare il maggior numero di celiaci, riducendo al minimo le mancate diagnosi e quelle sbagliate. (25).
Questa attenzione alla MC anche da parte di organi istituzionali è legata all’elevato impatto sociale della MC stessa, che ha prevalenza nella popolazione generale vicino all’1% (e nei gruppi a rischio la prevalenza arriva al 10-12%) e per l’elevato costo sociale successivo alla diagnosi (forniture “a vita” di parte degli alimenti senza glutine da parte del S.S.N.) .
Gli esami che devono essere sempre eseguiti per giungere alla diagnosi in modo corretto sono i marker anticorpali sierologici e la biopsia intestinale. La diagnosi della celiachia dovrebbe sempre passare attraverso queste due indagini, fermo restando che il “gold standard” per la diagnosi della celiachia è la biopsia intestinale e la individuazione delle lesioni istologiche tipiche (26-27).
Per quanto riguarda la sierologia essa è altrettanto importante per la conferma della diagnosi, dato che la positività dei suddetti anticorpi conferma la glutine-dipendenza dell’atrofia dei villi con ragionevole sicurezza. L’introduzione dei test sierologici ha consentito quindi di selezionare i soggetti da sottoporre all’esame istologico, riducendo il numero delle biopsie di conferma e limitandone l’utilizzo per la verifica dell’efficacia della dieta priva di glutine, e inoltre di estendere la ricerca a soggetti con manifestazioni extraintestinali, ai gruppi a rischio e alla popolazione asintomatica per verificare la prevalenza reale della malattia (28). La diagnosi non invasiva consiste nell’utilizzo di esami sierologici la cui affidabilità si basa su due principi:
­ La specificità: indica la frequenza con cui un test è negativo in soggetti non affetti dalla patologia che si sta valutando. Una bassa specificità del test implica la presenza di risultati falsi positivi.
­ La sensibilità: indica la frequenza con cui un test è positivo nella patologia che si sta valutando. Una bassa sensibilità del test implica la presenza di risultati falsi negativi.
La diagnostica non invasiva per la malattia celiaca si basa su esami sierologici (di seguito descritti) le cui tecniche di base sono essenzialmente l’immunofluorescenza e l’immunoenzimatica.
Di fronte ad un forte sospetto di celiachia, il percorso diagnostico prevede come primo passo il dosaggio della IgA Totali. Infatti, tra le patologie associate alla MC, c’è il deficit totale o parziale di questa classe immunoglobulinica, che rappresenta la frazione più significativa degli anticorpi specifici interessati alla diagnosi della MC. Tale carenza si verifica circa nel 2-3% dei soggetti celiaci ed è quindi 10 volte più frequente che nella popolazione generale (un affetto ogni 500 nati). Nei pazienti con livelli normali di IgA totali, si effettua il dosaggio degli anticorpi anti TransGlutaminasi tissutale (anti-tTG) di classe IgA. Nei casi di positività per anti-tTG IgA si procede con la ricerca degli anticorpi anti-Endomisio (EMA) di classe IgA, come ulteriore conferma. Nei soggetti di età <2 anni, o nei casi di pazienti con deficit di IgA totali, si procede con gli anticorpi anti-Gliadina (AGA) di classe IgG e/o IgA e con gli anti-tTG ed EMA di classe IgG (nella prima infanzia gli AGA hanno una sensibilità maggiore degli anti-tTG).

Fig.10: Algoritmo diagnostico della celiachia.

1. Gli Anticorpi anti-gliadina (AGA)
Gli anticorpi anti-gliadina sono stati il primo marker sierologico ad essere utilizzato nella pratica clinica a partire dall’inizio degli anni ’80 (29) per la diagnosi di malattia celiaca. Sono diretti contro l’antigene esogeno, l’alfa gliadina da glutine di grano. Nel siero dei soggetti celiaci si trovano anticorpi anti-gliadina con isotipo IgA e IgG. La determinazione delle immunoglobuline di classe A (IgA) può essere utile nella diagnosi delle malattia in fase attiva e nel monitoraggio del comportamento alimentare dopo prescrizione della dieta priva di glutine.
Gli AGA di classe G (IgG) sono un marker meno specifico: la loro identificazione è però utile nei bambini sotto i due anni nei quali la classe IgA è poco rappresentata per deficit maturativi transitori nella sintesi di immunoglobuline oppure nei casi con deficit di IgA totali.
Gli AGA di classe IgA rappresentano comunque il test sierologico più utile nei bambini di età inferiore ai due anni, situazione in cui gli anticorpi anti-endomisio (EMA) e gli anticorpi anti-transglutaminasi tissutale (tTG), possono risultare falsamente negativi (30). Infatti bisogna tenere in considerazione le evidenze di sieroconversione autoanticorpale riportate recentemente per la malattia celiaca. Per sieroconversione si intende il passaggio di sieronegatività (assenza di tali anticorpi nel plasma sanguigno) allo stato di sieropositività (presenza di tali anticorpi nel plasma sanguigno).
Il test AGA perde in sensibilità con il progredire dell’età come ci dimostra un importante studio prospettico americano che ha valutato l’incidenza della MC nella popolazione infantile di Denver (Colorado), monitorando con la ricerca degli anti-tTG IgA, bambini suddivisi in gruppi a rischio sulla base della predisposizione genetica (genotipo HLA celiachia-associato). I dati hanno rilevato che la sieroconversione per anti-tTG avviene prevalentemente tra i 5 e i 7 anni: da qui l’importanza della determinazione degli AGA al di sotto di questa fascia di età (31).
Il dosaggio degli anticorpi anti-gliadina (AGA) potrebbe essere eseguito anche per monitorare come rispondono i pazienti alla dieta priva di glutine: in particolare, durante la malattia in fase attiva, si avranno valori elevati di IgA e di IgG, mentre dopo 3-6 mesi di dieta, si assiste ad una scomparsa degli AGA IgA, e più tardivamente (12-18 mesi) si riducono gli AGA IgG (32).
La determinazione degli anticorpi anti-gliadina viene effettuata con metodica immunoenzimatica ELISA (Enzyme-Linked Immunosorbent Assay). La sensibilità e la specificità di tali test in letteratura sono rispettivamente 82-87% e 67-80% per gli AGA IgG, e 85-90% e 83-91% per gli AGA IgA (33). La variabilità analitica dei test commerciali per gli anticorpi anti-gliadina è molto elevata; non sono infatti disponibili standard internazionali di riferimento per cui è possibile riscontrare risultati anche molto diversi da un laboratorio all’altro (34). I test utilizzati per la determinazione degli anticorpi anti-gliadina sono considerati esami di screening e presentano i seguenti vantaggi:
­ Semplicità di esecuzione;
­ Riproducibilità/unicità dei valori di riferimento;
­ Basso costo.
Tuttavia col passare degli anni questi saggi immunologici sono stati parzialmente sostituiti dai test sierologici per la determinazione degli anticorpi anti-endomisio (EMA) e degli anticorpi anti-transglutaminasi, poiché questi ultimi sono maggiormente specifici e sensibili, ma la loro ricerca viene ancora eseguita per l’utilità clinica ed interpretativa precedentemente descritta. Inoltre i recenti studi hanno individuato un numero limitato di piccoli epitopi della gliadina e delle proteine del grano che stimolano il sistema immunitario dei pazienti celiaci. È diventato evidente che le gliadine deamidate esposte all’azione dell’enzima transglutaminasi tissutale hanno una antigenicità migliore per il sistema immunitario dei pazienti celiaci. Sono stati progettati così, dei peptidi sintetici aventi meno di 30 aminoacidi da utilizzare al posto della gliadina nativa nel saggio AGA. A differenza del vecchio kit il nuovo saggio sfrutta proprio la specificità della gliadina deamidata, che aumenta significativamente, soprattutto nel caso degli AGA IgG.

2. Gli Anticorpi anti-endomisio (EMA)
L’esigenza di trovare test sierologici più specifici nella diagnosi della malattia celiaca trova risposta nell’impiego degli anticorpi anti-endomisio IgA e IgG (35), auto-anticorpi diretti contro l’endomisio, la sottile membrana di sostegno di natura connettivale che avvolge le singole cellule muscolari lisce della muscularis mucosae dei primati (36) (figura 9). Dato che gli anticorpi anti-endomisio (EMA) sono rivolti contro le proteine della matrice extracellulare, essi alterano l'interazione tra fibroblasti e cellule epiteliali, compromettendo la struttura del villo intestinale (37). I pazienti celiaci con deficit di IgA possono mostrare positività per gli EMA di classe IgG. Il dosaggio degli EMA viene effettuato con metodica qualitativa in immunofluorescenza indiretta (IFI), con la possibilità di utilizzare due substrati alternativi:
­ Sezione del terzo distale dell’esofago di scimmia; esso rappresenta il miglior substrato per la determinazione degli EMA in quanto è ricco di tessuto muscolare liscio che contiene proteine non collageniche che reagiscono con gli EMA (figura 11);
­ Cordone ombelicale umano (HUC): più precisamente le fibrille reticoliniche che circondano le fibre muscolari lisce delle pareti della vena e delle arterie del cordone ombelicale umano. La specificità di tale substrato è sovrapponibile all'endomisio del terzo inferiore dell'esofago di scimmia.


Fig.11 a. Campione positivo (tipico pattern a “nido d’ape”). b. Campione negativo.

Il test è eseguito in Immunofluorescenza Indiretta (IFI) che rende visibile la reazione antigene-anticorpo utilizzando un marcato con fluorescina o rodamina. Al microscopio la positività degli EMA appare come una intensa fluorescenza a nido d’ape nella muscolaris mucosae. Viene attualmente utilizzato dalla maggior parte dei laboratori come test di conferma per i casi positivi per gli anti-tTG.
La specificità e la sensibilità del test sono molto elevate e i rari falsi positivi sono imputabili più a errori interpretativi (soggettività dell’interpretazione da parte dell’operatore) che alle caratteristiche dei metodi impiegati; proprio per l’elevata specificità, in presenza di positività lievissime, anche con una mucosa intestinale ancora “normale”, si deve pensare di essere in presenza di un marcatore precoce di una forma di celiachia “latente” piuttosto che di un falso positivo, in quanto tali anticorpi riconoscono lesioni minime della mucosa, purché queste derivino dal contatto con la gliadina. I test falsamente negativi sono per lo più dovuti ad un concomitante deficit di IgA o si verificano più frequentemente nei bambini sotto i due anni (38).
La determinazione degli EMA, dopo la prescrizione ad attenersi ad una dieta priva di glutine, può utile per verificare se il paziente rispetta la dieta aglutinata in maniera rigorosa, nel qual caso si assiste ad una progressiva scomparsa degli auto-anticorpi circolanti nell’arco di 4-12 mesi (39).
Le problematiche intrinseche a questo test risiedono, quando si utilizza la sezione del terzo distale di esofago di scimmia, negli elevati costi del substrato, nell’aspetto etico legato alla fonte del tessuto e nell’esperienza dell'operatore poiché l’interpretazione dei risultati è totalmente soggettiva.

3. Anticorpi anti-transglutaminasi tissutale (anti-tTG)
La determinazione degli anticorpi anti-transglutaminasi IgA e IgG viene eseguita mediante un test immunoenzimatico ELISA (Enzyme Linked Immunosorbent Assay). I kit diagnostici per la determinazione degli anticorpi anti-transglutaminasi sono attualmente alla seconda generazione, in quanto si è passati da quelli che utilizzavano come antigene la transglutaminasi estratta da fegato di cavia guinea-pig (38) a quelli che utilizzano l'enzima umano ricombinante. Questa evoluzione tecnologica evita il problema dei falsi positivi, legati alla non completa purificazione dell'antigene estratto da guinea-pig (40).
Il dosaggio degli anticorpi anti-transglutaminasi IgA presenta un’elevata specificità e sensibilità (41-44), mentre il dosaggio delle IgG anti-transgluaminasi ha invece mostrato una minore specificità ma risulta utile nei soggetti con deficit di IgA (45). Il dosaggio degli anticorpi anti-transglutaminasi, inoltre, è impiegato anche nel follow-up della celiachia. In questo caso infatti gli EMA si riducono più velocemente nel celiaco che segue la dieta aglutinata rispetto agli anticorpi anti-transglutaminasi (46) mentre la ricomparsa degli anti-tTG è più precoce quando la dieta non è eseguita correttamente.

LA DIAGNOSTICA INVASIVA: LA BIOPSIA INTESTINALE
Generalmente se gli esami sierologici hanno dato esito positivo oppure se ci sono i riscontri clinici anche in assenza di sierologia positiva, è necessario effettuare la gastroscopia a livello duodeno-digiunale con biopsia intestinale, per confermare la diagnosi e per accertare il grado d'infiammazione della mucosa intestinale. La biopsia è stata per molti anni eseguita mediante capsula di Crosby o di Watson, detta anche per suzione, che ormai viene utilizzata soltanto nei bambini più piccoli; la metodica attualmente più usata è la biopsia endoscopica in corso di esofagogastroduodenoscopia, per prelevare dei frammenti della seconda e terza porzione del duodeno. Rispetto alla capsula per suzione, la biopsia endoscopica presenta i seguenti vantaggi: maggiore tollerabilità per il paziente, maggiore rapidità di esecuzione, possibilità di eseguire prelievi bioptici multipli (fattore quest'ultimo molto importante, dal momento che la severità delle lesioni può variare da un punto all'altro dell'intestino) (47).


CAPITOLO 2

IL SAGGIO ELISA E LA CELIACHIA

I saggi AGA e anti-tTG usati per la diagnosi della malattia celiaca sono saggi ELISA.
La tecnica ELISA (Enzyme-Linked ImmunoSorbent Assay) è un immunodosaggio sviluppato per la misurazione di microquantità di sostanze nei campioni, che lo rende utile nelle determinazioni analitiche di routine. Un saggio ELISA combina la specificità degli anticorpi con la sensibilità dei dosaggi enzimatici. Si parla di un saggio in fase solida quando viene sfruttata la capacità delle superfici di plastica (come il fondo dei pozzetti di una micropiastra) di legare quantità piccole ma rilevabili di proteine. Ogni piastra permette di saggiare contemporaneamente un elevato numero di campioni. Il saggio ELISA fornisce informazioni solo sulla presenza e/o concentrazione di una molecola, senza entrare nel merito delle sue proprietà biochimiche (es. peso molecolare, localizzazione cellulare, etc.). Negli ultimi anni l’utilizzo della tecnica ELISA è sempre più diffuso (48-49). In particolare è utilizzata per determinare la presenza (saggio qualitativo) o la concentrazione (saggio quantitativo) di un Antigene o di uno specifico Anticorpo nel campione da testare.
Si utilizzano quindi due varianti ELISA, diretto e indiretto, che si differenziano a seconda del componente che si vuole rilevare. Nel test diretto viene determinata la presenza dell'antigene, in quello indiretto la presenza di anticorpi contro un determinato antigene. Il saggio può essere inoltre competitivo o non competitivo.


Fig 12 Sandwich ELISA, un esempio.


2.1 ELISA Competitivo
Il metodo ELISA competitivo diretto viene utilizzato per la determinazione della presenza e/o concentrazione dell'antigene da ricercare.
Un anticorpo specifico per l’antigene da ricercare, detto capture antibody, viene purificato e legato (coattato) alla piastra. La fase di purificazione e la scelta delle varie componenti sono essenziali in quanto esse determineranno poi la sensibilità e la specificità del test. In generale la procedura del test è la seguente:
1. Si aggiunge al pozzetto coattato una soluzione contenente l'antigene che si vuole dosare e un secondo antigene marcato con un enzima. Una parte degli anticorpi lega (stechiometricamente in base alle rispettive concentrazioni) l'antigene marcato ed una parte l'antigene non marcato.
2. Dopo lavaggio per allontanare le componenti non legate, viene aggiunto nel pozzetto un substrato che è in grado di reagire con l'enzima eventualmente presente sull'antigene marcato e dare una reazione colorimetrica. Il risultato può essere sia qualitativo (presenza o assenza) sia quantitativo, calcolando la concentrazione dell’antigene presente grazie all’utilizzo di una curva di calibrazione.
La competizione per il sito di attacco del capture-antibody è stechiometrica per cui, nelle condizioni operative, sarà l’antigene presente nel materiale biologico da testare a prevalere. In questo caso, il cromogeno aggiunto non sarà modificato per cui la presenza di antigene si sarà rilevata dalla mancanza di colore mentre l’eventuale sviluppo di colore sarà indicativo di assenza dell’antigene stesso.


2.2 Il sandwich ELISA diretto
Il test può essere usato per ricercare antigeni da liquidi biologici.
Un anticorpo, detto capture antibody, viene purificato e legato (coattato) alla piastra. La procedura di laboratorio è quindi la seguente:
1. Si aggiunge al pozzetto coattato la soluzione contenente l’antigene, permettendo la formazione del complesso (antigene)-(capture–antibody).
2. Le molecole che non si sono legate vengono eliminate tramite lavaggi.
3. Si aggiunge un secondo anticorpo marcato, detto detection antibody, permettendo il suo legame all’antigene ed il completamento del sandwich.
4. Dopo i lavaggi, l’eventuale presenza dell’antigene e la sua concentrazione si rilevano misurando la variazione di colore del pozzetto di reazione in quanto l’avvenuta formazione del sandwich e quindi la presenza di enzima coniugato al detection-antibody fa virare il substrato cromogenico aggiunto nell’ultimo passaggio.




Questo tipo di ELISA (sandwich diretto) viene utilizzato per determinare la presenza e/o la concentrazione di un antigene in un campione biologico. È un metodo veloce ed accurato; utilizzando l’antigene purificato (se disponibile) come standard, permette di determinare la quantità assoluta dell’antigene nel campione analizzato. Inoltre richiede due anticorpi che riconoscono epitopi diversi sull’antigene. Questo risultato può essere raggiunto sia utilizzando due anticorpi monoclonali con diversa specificità, oppure anticorpi policlonali (cioè che contengono molteplici specificità perché nella loro secrezione intervengono diverse cellule B che riconoscono regioni o epitopi diversi sull’antigene). I vantaggi di questo metodo sono nel fatto che l’antigene non deve essere purificato e vi è un elevato grado di specificità anche se non tutti gli anticorpi possono essere utilizzati. La sensibilità di questa tecnica dipende dal numero di molecole del capture antibody legato alla fase solida; dall’avidità, cioè dalla forza con cui un anticorpo multivalente si lega ad un antigene, del capture antibody per l’antigene; dall’avidità del detection antibody per l’antigene; dall’attività specifica del detection antibody.


2.3 Sandwich ELISA indiretto
Nella variante sandwich ELISA indiretto, l’antigene viene purificato e legato alla piastra. La procedura di laboratorio è la seguente:
1. Si aggiunge al pozzetto il siero/plasma da analizzare. Se presenti, le immunoglobuline specifiche per l’antigene formano il complesso antigene-anticorpo.
2. Le molecole che non si sono legate vengono eliminate tramite lavaggi.
3. Si aggiunge un secondo anticorpo marcato, che abbia specificità per le immunoglobuline (IgA o IgG o IgM) del tipo che si vuole ricercare. Il secondo anticorpo si lega al complesso antigene-anticorpo immobilizzato sulla piastra.
4. l’eventuale presenza dell’anticorpo e la sua concentrazione si rilevano misurando la variazione di colore del pozzetto di reazione in quanto l’avvenuta formazione del sandwich, e quindi la presenza di enzima coniugato al detection-antibody, fa virare il substrato cromogenico aggiunto nell’ultimo passaggio.



In questo tipo di ELISA però l’antigene deve essere altamente purificato per evitare interferenze. Questo metodo è veloce e accurato e permette di determinare la presenza di anticorpi contro l’antigene immobilizzato: gli anticorpi presenti possono essere quantificati grazie all’utilizzo di controlli positivi in concentrazioni note.
Per tutti i tipi di ELISA il substrato deve essere stabile, sicuro e non tossico, poco costoso.
Il metodo più utilizzato per la rivelazione dell’avvenuto legame antigene-anticorpo consiste nella coniugazione dell’anticorpo secondario con una molecola che può essere direttamente rivelata. In ELISA per la rilevazione della reazione utilizziamo anticorpi coniugati ad enzimi in grado di convertire un substrato incolore in un prodotto colorato.
Gli enzimi più usati sono:
Fosfatasi alcalina : per anticorpi coniugati con la fosfatasi alcalina si usa in genere il substrato p-nitrophenylphosphate (pNPP), che sviluppa un intenso colore giallo misurabile a 405-410 nm.
Perossidasi (POD): per gli anticorpi coniugati con la perossidasi si possono scegliere diversi substrati, tra i più utilizzati: 2,2-azinodiethyl-benzthiazoline sulfonate (ABTS), che sviluppa un colore blu-verde misurabile a 405-410 nm. o-phenylene diamine (OPD), sviluppa un colore arancio scuro misurabile a 492 nm, 3,3',5,5'-tetrametil benzidina (TMB).
La quantità di segnale generato dal legame del secondo anticorpo è proporzionale alla quantità di antigene presente nel campione testato. La concentrazione dell’anticorpo ricercato è ottenuta generando una curva standard e comparando l’attività ottenuta con il campione a quella ottenuta sulla curva standard.


Fig. 13 Esempio di curva standard usata in laboratorio
SCOPO DELLA TESI

L’Unità Operativa Complessa Patologia Clinica del Presidio Ospedaliero “S. Maria Incoronata dell’Olmo di Cava de Tirreni”, esegue tutti gli esami per la diagnosi della MC, dalla determinazione di AGA, Anti-tTG e EMA fino alla determinazione dei genotipi DQ2/DQ8 per la predisposizione genetica alla Celiachia. Si utilizzano quindi varie tecniche (ELISA, IFI, Biologia molecolare) per la diagnosi e il follow-up della malattia celiaca
Il mio lavoro di tesi si propone di valutare l’eventuale migliore performance per la diagnosi della celiachia, in termini di sensibilità e specificità, del nuovo saggio anti-gliadina DGP che utilizza peptidi sintetici della gliadina completamente deamidati, a confronto con il saggio AGA già in uso che utilizza la gliadina nativa intera. Questi ultimi infatti (ed in particolare gli AGA IgG) hanno scarsa specificità, potendo essere positivi anche in altre malattie gastro-intestinali diverse dalla MC (diarrea cronica, allergia).
A tal fine sono stati dosati i 2 tipi di AGA su sieri di pazienti celiaci non a dieta, celiaci a dieta, non celiaci con altre patologie intestinali e controlli sicuramente non celiaci. Inoltre, come controlli diagnostici, contestualmente si sono dosati anche gli anti-tTG (IgA e IgG) e gli EMA (IgA).
Il nuovo kit valutato utilizza peptidi sintetici completamente deamidati (DGP) in fase solida purificati mediante cromatografia liquida in fase inversa (HPLC analitica) che ha permesso un analisi corretta degli aminoacidi e degli spettri di massa (50-51). L’antigene DGP legato al pozzetto è una gliadina deamidata o più precisamente un peptide sintetico derivato dall’ α-gliadina .
La molecola usata è un peptide con residui 57-73 dell’ α-gliadina, con la sostituzione della glutammina ad acido glutammico nella posizione Q 65. In pratica è la gliadina che ha subito l’azione di deamidazione della transglutaminasi tissutale una volta passata la barriera intestinale e che ha maggiore affinità per il sistema HLA (DQ2 e/o DQ8) presente sulla membrana delle APC. Questo è quello che si evince da uno studio del Service of Peptides Synthesis dell’Università di Barcellona ma il kit Eurospital usato nel nostro lavoro di tesi non fornisce informazione sul peptide usato in fase solida .

MATERIALI E METODI
α-GliaPep IgA/IgG (DGP) e α-GliaTest IgA/IgG (AGA)
I test utilizzati per la ricerca degli anticorpi anti-gliadina IgA o IgG AGA e IgA/IgG DGP, nel siero umano, sono basati su un saggio ELISA indiretto. I kit usati sono quelli forniti da Eurospital (Trieste, Italia): il nuovo α-GliaPep IgA/IgG (DGP) e α-GliaTest IgA/IgG (AGA) già in uso.
I kit differiscono esclusivamente per il tipo di antigene legato alla micropiastra mentre gli altri componenti e le procedure sono gli stessi. Sono costituiti da 9 elementi di seguito descritti (figura 14)
1. FASE SOLIDA:
Micropiastra da 12 strips da 8 pozzetti ciascuno con antigene adsorbito

2. DILUENTE DEL CAMPIONE:
Due flaconi contenenti 50 ml di soluzione tamponata con aggiunta di Proclin 300(N-(2-sulfanylethyl) acetamide) come conservante, ad una concentrazione inferiore allo 0,1%.

3. CONIUGATO :
Flacone contenente 15 ml di anticorpi di capra anti-IgG (o IgA a seconda delle immunoglobuline che si voleva cercare) umane, coniugati all’enzima perossidasi di rafano e Proclin 300 (N-(2-sulfanylethyl) acetamide) come anti-microbico ad una concentrazione inferiore allo 0,1%, in soluzione tampone.

4. CALIBRATORI:
5 fiale contenenti ciascuna 1,5ml di siero positivo (umano) in soluzione tamponata con aggiunta di Proclin 300 come conservante. I valori dei calibratori erano espressi in Unità Arbitrarie (UA/ml) e riportati in etichetta del flaconcino.

5. CONTROLLO POSITIVO:
Il controllo positivo è costituito da una fiala contenente 1,5 ml di siero positivo (umano) in soluzione tamponata con aggiunta di Proclin300 come anti-microbico e conservante.

6. CONTROLLO NEGATIVO:
Il controllo negativo è costituito da una fiala contenente 1,5 ml di siero negativo (umano) in soluzione tamponata con aggiunta di Proclin 300 come anti-microbico e anti conservante.

7. SOLUZIONE DI LAVAGGIO:
La soluzione di lavaggio è costituito da un flacone di 50ml di soluzione concentrata (20x) con detergente Tween-20 allo 0.1% e aggiunta di Proclin 300 come conservante.

8. SUBSTRATO:
Il substrato è costituito da un flacone contenente 15 ml di soluzione cromogena tamponata cioè 3,3',5,5'-tetrametil benzidina (TMB).

9. SOLUZIONE DI ARRESTO:
Un flacone da 15 mL contenente Acido solforico alla concentrazione di 0.5M.


Fig 14. Kit ricerca anticorpi anti-gliadina fornito da Eurospital

PROCEDURA ANALITICA
La procedura analitica è comune a tutti i kit ELISA Eurospital utilizzati.
I campioni di siero dei pazienti oggetto di studio, sono stati prediluiti 1:101 in una provetta, dispensando in ciascuna di esse 1000 µL di diluente PBS e 10 µL di siero del paziente.
In una piastra da 96 pozzetti a fondo piatto, cui è fissato l’antigene AGA o DGP umano, sono state saggiate in duplicato aliquote di 100 µL dei sieri diluiti, dei calibratori e dei controlli.
Per ogni determinazione, si è rispettato quindi il protocollo seguente:
­ calibratori (standard) a titolo noto (0, 10, 20, 50, 100 UA/mL);
­ controllo positivo (siero positivo umano)
­ controllo negativo (siero negativo umano)
­ campione di siero prediluito in PBS dei diversi pazienti.
La piastra è stata coperta per evitare l’evaporazione del contenuto ed incubata per 45 minuti a temperatura ambiente.
Trascorso il periodo di incubazione, sono stati eseguiti 3 cicli di lavaggio dispensando 300 µL/pozzetto di soluzione di lavaggio, con il lavatore per micropiastre BioRad PW40, allo scopo di allontanare gli anticorpi non legati ai pozzetti.
Si è proceduto quindi all’aggiunta di aliquote di 100 µL di coniugato costituito da anticorpi di capra anti-IgA o anti-IgG umane, coniugati con perossidasi di rafano (HRP) in soluzione tampone PBS contenete BSA al 3%.
L’anticorpo secondario è stato incubato per 30 minuti a temperatura ambiente, allo scopo di permettere la formazione dell’immunocomplesso.
Terminato il periodo di incubazione, si sono effettuati nuovamente 3 lavaggi con lo stesso tampone utilizzato in precedenza, al termine dei quali sono stati aggiunti a ciascun pozzetto aliquote di 100 µL di substrato cromogeno 3,3',5,5'-tetrametil benzidina (TMB) (Eurospital). La piastra è stata quindi incubata per circa 15 minuti a temperatura ambiente allo scopo di far avvenire la reazione colorimetrica.
La reazione enzimatica è stata arrestata, infine, per aggiunta di aliquote di 100 µL di acido solforico (H2SO4) e l’assorbanza misurata a 450 nm utilizzando un lettore per micropiastre (SirioS® SEAC, Radim).
Dai valori di assorbanza degli standard si è costruita la curva da cui si è risalito alla concentrazione degli anticorpi AGA o DGP presenti in ciascun siero e per i sieri di controllo.
I valori sono espressi in Unità Arbitrarie in quanto non esiste uno standard internazionale riconosciuto per le gliadine.

CRITERI DI SCELTA DEI PAZIENTI
Il gruppo dei pazienti sintomatici celiaci, perché risultati positivi alla biopsia intestinale per MC, era composto a sua volta nel modo seguente:
- 37 Celiaci non a dieta
- 20 Celiaci a dieta, da un periodo di 60-90 giorni.
I 57 pazienti sintomatici erano di età pediatrica (età media 7 anni) che presentavano sintomi riconducibili a celiachia tipica e atipica, quali la diarrea cronica, il calo ponderale, la magrezza e l’aftosi ricorrente (49).
Il gruppo di controllo, quello dei donatori , è stato selezionato in quanto non presentava nessuno dei disturbi tipici riconducibili a MC (sintomi tipici di malassorbimento, quali diarrea, steatorrea e/o calo ponderale e sintomi non gastro intestinali quali ritardo dell’accrescimento, febbre, neuropatie periferiche, disturbi dello sviluppo e della funzione gonadica etc. ).
Per la nostra analisi abbiamo selezionato anche un gruppo di 23 bambini certamente non celiaci (come dimostrato dalla biopsia intestinale), che presentavano comunque segni di alterata permeabilità intestinale e altri disturbi gastrointestinali.
Tutti i 114 soggetti sono stati sottoposti ai seguenti esami diagnostici per la celiachia:
dosaggio degli anticorpi IgA anti-endomisio (EMA);
dosaggio degli anticorpi IgA e IgG anti-transglutaminasi (tTG);
dosaggio degli anticorpi IgA e IgG anti-gliadina (AGA);
dosaggio DGP sia IgA che IgG.
A tutti è stata effettuata la biopsia duodenale per la diagnosi di MC.
I risultati dei dosaggi oggetto del lavoro sono espressi in unità arbitrarie (UA)/mL. I kit diagnostici da noi utilizzati, forniti da Eurospital, hanno i seguenti valori di riferimento (sia per DGP che per AGA):
α-GliaTest / α-GliaPep IgA
esito negativo: fino a 4,5 UA/mL;
esito positivo: maggiore di 6,5 UA/mL;
α-GliaTest / α-GliaPep IgG
esito negativo: fino a 9,0 UA/mL;
esito positivo: maggiore di 11,0 UA/mL;

RISULTATI

Il lavoro di tesi svolto presso l’UOC Patologia Clinica P.O. “S.M. Incoronata dell’Olmo” di Cava Dei Tirreni (SA) dell’ASL Salerno è basato sulla valutazione di un kit diagnostico nella determinazione immunoenzimatica degli anticorpi anti-Gliadina presenti nella Celiachia che utilizza peptidi deamidati della gliadina come substrato invece di gliadina nativa. Lo scopo è di valutarne l’affidabilità, in termini di specificità e sensibilità, rispetto al kit che utilizza la gliadina nativa, riferendoli alla biopsia duodenale, esame di riferimento per la diagnosi della celiachia, oltre che agli altri dosaggi sierologici (anti-TTG e anti-EMA).
I test che utilizzano la gliadina nativa per il rilevamento di AGA hanno infatti 2 principali carenze:
1) bassa sensibilità
2) elevato numero di falsi positivi, quindi bassa specificità, soprattutto quando si dosano le IgG antigliadina.
A tale scopo abbiamo costituito un gruppo di 114 soggetti, così suddiviso:
- 37 Celiaci non a dieta
- 20 Celiaci a dieta da 60-90 giorni
- 23 Bambini con patologia non celiaca ma con segni di alterata permeabilità intestinale e anticorpi anti-gliadina presenti.
- 34 Donatori sani usati come gruppo di controllo
In tabella abbiamo riportato i risultati (il numero di campioni positivi) per i vari test:


ANALISI DEI RISULTATI

GRUPPO DEI PAZIENTI CELIACI NON A DIETA
I risultati ottenuti dall’esecuzione dei due saggi AGA e DPG eseguiti ai 37 pazienti celiaci non a dieta e con malattia in fase florida, quindi con biopsia duodenale positiva per MC, sono stati:
- 25 positivi e 12 negativi per AGA IgA
- 27 positivi e 10 negativi per AGA IgG
- 29 positivi e 8 negativi per DGP IgA
- 33 positivi e 4 negativi per DGP IgG
I bambini di questo gruppo risultavano tutti positivi per EMA IgA e anti-tTG IgA, mentre 4 erano negativi per anti-tTG IgG.

GRUPPO DEI PAZIENTI CELIACI A DIETA
Per i 20 pazienti celiaci (con biopsia duodenale positiva per MC) a dieta priva di glutine dai 60 ai 90 giorni:

- 6 positivi e 14 negativi per AGA IgA
- 8 positivi e 12 negativi per AGA IgG
- 2 positivi e 18 negativi per DGP IgA
- 6 positivi e 14 negativi per DGP IgG

Questi dati ci dovrebbero permettere di verificare se effettivamente la dieta senza glutine ha portato alla diminuzione dei livelli sierici degli anticorpi della celiachia, come segnale della riattivazione delle funzionalità della mucosa e la fine dei processi infiammatori legati. Ovviamente, considerando il periodo breve della dieta non ci si può aspettare la scomparsa degli anticorpi nei pazienti valutati. Gli esami vanno rieseguiti dopo un periodo di almeno 6 mesi per controllare la stabilizzazione completa dei valori dopo una corretta dieta aglutinata.
I risultati di questo gruppo non saranno utilizzati per il calcolo della performance dei test.

GRUPPO DEI PAZIENTI SINTOMATICI NON CELIACI

Dei 23 pazienti con sintomi intestinali ma non celiaci:

- 16 positivi e 7 negativi per AGA IgA
- 19 positivi e 4 negativi per AGA IgG
- 0 positivi e 23 negativi per DGP IgA
- 1 positivi e 22 negativi per DGP IgG

In questo gruppo sono stati presi in considerazione pazienti con patologia certamente non celiaca ma che avevano segni di alterata permeabilità intestinale e anticorpi anti-gliadina (di tipo AGA) presenti. Tutti erano risultati sia EMA IgA che TTG IgA negativi, mentre solo 2 dei 23 pazienti erano risultati positivi a TTG IgG.
E’ questo il gruppo più significativo in quanto i test effettuati con il kit che utilizza la gliadina nativa sono spesso falsamente positivi in questi pazienti non celiaci (quindi con biopsia negativa) e quindi si abbassa la specificità del test. Nel caso del nuovo test con peptidi deamidati invece la risposta è migliore, come dimostra il più basso numero di risultati positivi.

PAZIENTI ASINTOMATICI DONATORI

Per il gruppo degli asintomatici (34 pazienti) da considerarsi come gruppo di controllo sono emersi i seguenti risultati:

- 4 positivi e 30 negativi per AGA IgA
- 7 positivi e 27 negativi per AGA IgG
- 1 positivi e 33 negativi per DGP IgA
- 2 positivi e 32 negativi per DGP IgG

Di questi 34 pazienti donatori 1 era positivo anche per TTG IgA mentre sono risultati tutti negativi per TTG IgG; tutti erano risultati EMA IgA negativi.
Anche dai dati emersi dal gruppo di controllo possiamo subito mettere in evidenza che il nuovo kit DGP, in modo particolare per le IgG, è in pieno accordo con il test EMA di conferma.


DETERMINAZIONE DELLA SPECIFICITA’
La specificità diagnostica misura la capacità del test di individuare come negativi i soggetti sani e quindi la bassa specificità di un test diagnostico comporta un’elevata probabilità di ottenere risultati definibili come falsi positivi.
In base ai risultati ottenuti nel corso dello studio, è stata calcolata la specificità combinata (IgA e IgG contemporaneamente) del nuovo kit DGP in rapporto allo stato di malattia (ottenuto dall’esame istologico dei reperti bioptici). Il calcolo si effettua rapportando i Veri Negativi (VN) (quindi i pazienti sani con test negativi) rispetto a tutti i pazienti sani (VN e Falsi Positivi FP).


Celiaci (Biopsia +)
Non Celiaci (Biopsia -)

DGP IgA+IgG (+)
62
4
66
DGP IgA+IgG (-)
12
110
122

74
114
188

Specificità DGP % =
VN
=
110
=
96%

VN +FP

110 + 4





Celiaci (Biopsia +)
Non Celiaci (Biopsia -)

AGA IgA+IgG (+)
52
46
98
AGA IgA+IgG (-)
22
68
90

74
114
188

Specificità AGA % =
VN
=
68
=
60 %

VN+FP

46 + 68




DETERMINAZIONE DELLA SENSIBILITA’
La sensibilità definisce la percentuale con cui un test è positivo nei soggetti affetti dalla patologia che si sta valutando. La bassa sensibilità di un esame diagnostico comporta l’elevata probabilità di ottenere risultati definibili come falsi negativi (FN).
Allo scopo di valutare la sensibilità degli esami sierologici col nuovo kit DGP (sia IgA che IgG) utilizzati nel lavoro di tesi, è stata calcolata la sensibilità dei suddetti esami in rapporto ai risultati ottenuti dall’esame istologico dei reperti bioptici, e il risultato ottenuto era pari a :


Celiaci (Biopsia +)
Non Celiaci (Biopsia -)

DGP IgA+IgG (+)
62
4
66
DGP IgA+IgG (-)
12
110
122

74
114
188

Sensibilità DGP % =
VP
=
62
=
83%

VP + FN

62 + 12




Celiaci (Biopsia +)
Non Celiaci (Biopsia -)

AGA IgA+IgG (+)
52
46
98
AGA IgA+IgG (-)
22
68
90

74
114
188


Sensibilità AGA % =
VP
=
52
=
70 %

VP + FN

52 + 22




Nella tabella seguente è riassunto il confronto tra il kit che utilizza le Gliadine deamidate e quello con la Gliadina nativa

CONCLUSIONI

L’uso combinato di anticorpi anti-gliadina deamidata DGP (IgA e IgG) ha fornito valori di sensibilità e specificità diagnostica rispettivamente circa dell’83% e del 96% durante il nostro lavoro di tesi contro una sensibilità e specificità degli anti-gliadina nativa AGA (IgA e IgG) rispettivamente del 70% e del 60%.
Il nuovo peptide nell’ELISA si è dimostrato migliore in sensibilità e specificità rispetto alla normale gliadina del saggio ELISA.
La sostituzione dell’estratto di gliadina con i peptidi sintetici specifici deamidati migliora in modo significativo la specificità dell’esame nei soggetti con alterata permeabilità intestinale.
Gli anticorpi anti-DGP potrebbero anche essere utili nel monitoraggio della dieta priva di glutine in bambini trattati, ma allo stato il nostro lavoro non può essere considerato conclusivo.
Il saggio ELISA con il peptide deamidato risulta maggiormente correlato alla determinazione di anti-transglutaminasi e saggio anti-endomisio rispetto agli AGA con gliadina nativa .
Il nuovo peptide nel saggio ELISA è altamente purificato come antigene in modo da ottenere risultati precisi e riproducibili. Queste caratteristiche nascono dall’osservazione che gli anticorpi anti-gliadina dei pazienti celiaci riconoscono solo un numero limitato di epitopi della gliadina nativa.
La determinazione degli anti-tTG rimane comunque il caposaldo della diagnosi sierologica della MC insieme all’EMA, data la loro specificità (vicina al 100%). A questi test quindi rimane un ruolo importante di conferma per il passo successivo nell’algoritmo diagnostico, ovvero la biopsia duodenale.
La ricerca di anticorpi anti-gliadina deamidata quindi non possono sostituirsi del tutto agli anti-tTG.
In conclusione le condizioni migliori per promuovere l’uso di DGP sono di utilizzarle, come previsto già nei protocolli validati, in pazienti di età fino a circa 3 anni, per ampliare il ventaglio di possibilità diagnostica in pazienti il cui sistema immunitario non è ancora maturo.
La proposta di modificare il protocollo integrando l’utilizzo degli anti-TTG IgA con anti-DGP IgG senza determinazione delle IgA totali è da valutare.
Dai nostri dati sembrerebbe che nel follow-up della dieta scompaiano prima degli anti-TTG, ma sono necessari ulteriori dati per poterne definire con certezza l’andamento in un challenge (dieta – riesposizione – dieta) rispetto agli stessi anti-TTG. IgG DGP è comunque un marcatore tempestivo della aderenza alla dieta aglutinata.
Sicuramente il kit DGP IgG risolve quasi completamente il problema dei sieri con intolleranze o disturbi gastrointestinali e consente il recupero significativo dei cosiddetti “falsi positivi”, rispetto al test con anti-AGA IgG positivi.
Si potrebbe quindi proporre l’uso del vecchio saggio ELISA AGA a centri focalizzati su problematiche di malassorbimento, mentre destinare l’uso DGP a centri focalizzati esclusivamente sull’indagine della celiachia visti i risultati ottenuti, come dimostrano i risultati dei pazienti sintomatici non celiaci, con problemi gastro-intestinali diversi dalla MC, che ci confermano la specificità di tale test in caso di MC.
Bibliografia

1. Troncone R, Greco L, Auricchio S. Gluten-sensitive enteropathy Pediatr Clin North Am. 1996 Apr;43(2):355-73.

2. S. Karger AG, Basel.A history of coeliac disease.2008
Brandimante, G. Tursi, A. “La malattia celiaca. Una diagnosi ancora trascurata”. Gastronet (2002)

3. Dagli appunti del Dottore Boffardi Celiac educational day. Biomondo tour. 2010

4. Dagli appunti del Dott. Basilio Malamisura (Responsabile Centro di Riferimento Regionale per la diagnosi della Celiachia dell’Asl Salerno 1, direttore U.O. di Pediatria all’Ospedale di Cava dei Tirreni, membro del Comitato Scientifico Nazionale AIC)”Pillole di celiachia”.

5. Brandimante, G. Tursi, A. “La malattia celiaca. Una diagnosi ancora trascurata”. Gastronet (2002)

5. Sollid, L.M. “Molecular basis of celiac disease”. Annu.Rev. Immunology 18: 53-81 (2000)

6. Lu, Shan. et al. “Identification and Analysis of Multivalent Proteolytically Resistant Peptides from Gluten: Implications for Celiac Sprue”. J Proteome Res. 4 (5): 1732-1741 (2005)

7. Associazione Italiana Celiachia. “Vademecum del celiaco”. Ed. C&D. (2010)

8. Catassi, C. Ratsch, I. M., et. al. “Celiac disease in the year 2000: Exploring the Iceberg”. The Lancet 343: 200-203 (1994)

9. Sollid, L.M. Scoth, H. “New teal to predict celiac disease on its way to the clinics”. Gastroenterlogy 115: 1584-86 (1998)

10. Catassi, C. Greco, L. “La malattia dell’ intolleranza al glutine”. Le Scienze (1997)

11. I. Caputo, A. D’Amato, R. Troncone, S. Auricchio and C. Esposito (2004). Transglutaminase 2 in celiac disease. Amino Acids


12. Brandimante, G. Tursi, A. “La malattia celiaca. Una diagnosi ancora trascurata”. Gastronet (2002)

13. Schuppan, D. “Current concepts of celiac disease pathogenesis”. Gastroenterology 119: 222-224 (2000)

14 . Schuppan, D. “Current concepts of celiac disease pathogenesis”. Gastroenterology 119: 232-234 (2000)

15. Schuppan, D. et al. “Celiac disease and secondary autoimmunity digest liver”. Dis. 34: 13-5 (2002)

16. Bertini, M. Capelli, P. et al., “La celiachia” (Dossier) (2000)

17. Anderson, R. P. Degano, P. et al., “In vivo antigen challange in celiac disease identification a single transglutaminase modified peptide as dominant A-gliadin T-cell epitome”. Nature Med. 6: 337 (2000)

18. Sollid, L.M., et al., Evidence for a primary association of celiac disease to a
particular HLA-DQ alpha/beta heterodimer. J Exp Med, 1989. 169(1): p. 345-50.

19. Brandimante, G. “La malattia celiaca. Una diagnosi ancora trascurata”. Gastronet (2002)

20. Associazione Italiana Celiachia. “Vademecum del celiaco”. Ed. C&D. (1999)

21. Ciacci, C. Cirillo, M. Auriemma, G. et al. “Celiac disease and pregnancy outcome”. Am J Gastroenterol. 91: 718 (1996)

22. Ventura, A. Magazzù, G. Greco, L. “For the SIGEP Study Group for Autoimmune Disorders in Celiac Disease. Duration of exposure to gluten and risk for autoimmune disorders in patients with celiac disease”. Gastroenterology 117:297-303 (1999)

23. Fasano, A. “Prevalence of celiac disease in at risk and not at risk groups in United States” Ach. Intern. Med. 163: 286-292 (2003)

24.Catassi, C. Ratsch, I. M. et. al. “Celiac disease in the year 2000: Exploring the Iceberg”. The Lancet 343: 200-203 (1994)

25. Associazione Italiana Celiachia. “Vademecum del celiaco”. Ed. C&D. (2008)

26.Tonutti, E. Visentini, D. Bizzaro, N. et al. “Proposte di linee guida per la diagnosi di laboratorio della celiachia”. Gruppo di studio in autoimmunologia della società italiana di medicina di laboratorio. (2002)

27
File