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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-06272022-185848


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
SORICE, MARIA LUANA
URN
etd-06272022-185848
Titolo
Il soccorso in mare tra obblighi internazionali e ordinamento interno, nello scenario dei flussi migratori del Mediterraneo centrale
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
SCIENZE DEL GOVERNO E DELL'AMMINISTRAZIONE DEL MARE
Relatori
relatore C.C. (AN) Principale, Francesco
correlatore C.V. (AN) Castronuovo, Giorgio
Parole chiave
  • flussi
  • immigratori
  • obblighi
  • soccorso
Data inizio appello
22/07/2022
Consultabilità
Completa
Riassunto
L’immigrazione clandestina caratterizza da sempre la storia dell’umanità. La posizione centrale nel mar Mediterraneo e la vicinanza alle coste nordafricane concorrono a fare dell’Italia un protagonista assoluto delle questioni internazionali che si svolgono in questo mare. Il nostro Paese è diventato terra di immigrazione e zona di transito di flussi migratori provenienti dall’Est e dal Sud e diretti verso i Paesi dell’Europa centro-settentrionale. Così, l’Italia e l’Unione Europea hanno messo in atto una serie di strategie al fine di limitare le partenze via mare, individuare gli eventuali trafficanti di esseri umani e soccorrere coloro che stessero rischiando la loro vita. Il tutto nel Mediterraneo centrale, lo scenario della rotta più critica, dove numerose tragedie hanno coinvolto, e tuttora coinvolgono, imbarcazioni sovraccariche di migranti, con la conseguente perdita di un numero considerevole di esseri umani. Dopo aver fatto cenno alle possibili cause del fenomeno migratorio e dopo una breve esposizione circa la disciplina internazionale in tema di spazi marittimi e poteri degli Stati in tali zone, codificata nella Convenzione di Montego Bay (UNCLOS), si analizza l’obbligo di soccorso della vita umana in mare in diversi Trattati internazionali. Collocato tra i capisaldi del diritto internazionale del mare, l’obbligo di soccorso è rivolto a tutti gli Stati, indipendentemente dal loro essere parte di un Trattato che ne faccia menzione, in quanto esso è anche norma consuetudinaria. In seguito, si presentano le strutture deputate alla ricerca e al soccorso (SAR), di cui le Parti devono essere dotate, e si analizzano nel loro contenuto i relativi piani operativi per la conduzione delle operazioni SAR.
Il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera (MARICOGECAP) è l’organismo nazionale che assicura il coordinamento dei servizi di soccorso marittimo nell’ambito della zona SAR (search and rescue) di giurisdizione italiana. L’Italia è stato il primo Paese del Mediterraneo a delimitarne una propria, stabilendo con i Paesi frontisti meccanismi di comunicazione e di coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso e accordi specifici volti a prestabilire le condizioni di ingresso delle unità di soccorso straniere all’interno delle proprie acque territoriali, al fine di evitare ritardi nei soccorsi, nell’attesa delle relative autorizzazioni. In generale, i limiti delle zone SAR sono stati accettati senza opposizioni dai Paesi costieri, eccetto Malta, la cui regione SAR si sovrappone a quella italiana. Motivo per cui sono sorte numerose controversie tra i due Stati circa la responsabilità nel salvataggio di persone e soprattutto in tema di sbarco, nei propri porti, di migranti provenienti dal Nord Africa. Altra questione è quella libica. La Libia, interessata da una forte instabilità politica interna, è il Paese in cui si concentrano i vari flussi migratori diretti in Europa, nonostante l’immigrazione clandestina costituisca un reato punito con la detenzione; per questo, è il Paese con il quale l’Italia ha maggiori rapporti al fine di arginare il fenomeno migratorio. Tuttavia, gli accordi stipulati non garantiscono alcun rispetto dei diritti umani fondamentali e la Libia non può essere considerata un porto sicuro di sbarco. Nel Mediterraneo centrale resta controversa anche la questione relativa al porto sicuro; la nozione di “place of safety”, infatti, è oggetto di diverse interpretazioni da parte degli Stati costieri. Emblematico, in tal senso, è il caso della nave Pinar. La sentenza “Hirsi Jamaa e altri contro Italia”, resa dalla Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’uomo nel 2012, rappresenta, invece, il punto di riferimento giurisprudenziale per il principio di non refoulement, ossia il divieto di respingimento in mare, del quale si discutono il campo e il contesto di applicazione. L’obbligo di non-refoulement, ovunque applicato, ha carattere inderogabile e assoluto, non potendo essere sottoposto ad alcuna forma di bilanciamento con interessi statali quale la gestione dei flussi migratori o più generiche esigenze di sicurezza nazionale. La pronuncia della Corte Europea ha rappresentato una grave condanna della prassi italiana di respingere migranti irregolari verso le coste libiche, in quanto contraria agli standard internazionali di salvaguardia dei diritti dell’uomo. In contrasto con quanto stabilito dalle normative internazionali e con i diritti da esse discendenti, si riporta il caso della nave Vos Thalassa, esempio esplicativo del difficile connubio tra diritti e doveri nel Mediterraneo centrale. La sentenza del caso inciderà oltre la vicenda. Dopo aver percorso sommariamente le tappe normative fondamentali in materia di immigrazione clandestina nell’ordinamento italiano, ci si sofferma sul ruolo delle imbarcazioni private nel sistema dei soccorsi in mare, tra cui si distinguono le unità appartenenti alle Organizzazioni Non Governative (ONG). Nonostante l’elevato numero di salvataggi effettuati, tali enti hanno operato a lungo senza una precisa disciplina che tenesse conto del loro contributo alle operazioni SAR statali e che garantisse un agire secondo una serie di regole. Per questo motivo, unito ai sospetti di collusione tra organizzazioni umanitarie e trafficanti di esseri umani, l’esecutivo italiano ha adottato il “Codice di condotta per le ONG”, minacciando la chiusura dei propri porti per le navi che non avessero firmato il Codice, con la conseguente riduzione delle autorizzazioni al loro ingresso (la c.d. politica dei “porti chiusi”). Espressione di tale linea governativa sono i noti casi delle navi Alan Kurdi, Diciotti della Guardia Costiera, e quelli più controversi relativi alla nave ONG Sea Watch 3.
Più che un ostinato unilateralismo, sarebbe necessaria, e quindi auspicabile, una seria volontà dell’Italia e degli altri Stati costieri di adempiere i propri obblighi internazionali di cooperazione.
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