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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-06272021-004401


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
ERBETTA, SILVIA
URN
etd-06272021-004401
Titolo
(In)credible Stories: la "crisi dei rifugiati" nel teatro inglese del nuovo millennio
Dipartimento
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Corso di studi
LETTERATURE E FILOLOGIE EURO - AMERICANE
Relatori
relatore Prof.ssa Soncini, Sara
Parole chiave
  • appropriation
  • appropriazione
  • brexit
  • credible witness
  • drama
  • how to hold your breath
  • i have before me
  • lampedusa
  • migranti
  • migrants
  • refugees
  • rifugiati
  • teatro
  • teatro inglese
  • testimonianza
  • the bogus woman
  • the jungle
  • theatre
  • trauma
  • witnessing
Data inizio appello
12/07/2021
Consultabilità
Completa
Riassunto
In seguito agli eventi dell’undici settembre è apparso chiaro come il concetto di globalizzazione avesse definitivamente cessato di applicare i propri ideali di libera circolazione agli individui. Si è assistito ad un irrigidimento delle normative sulla migrazione –di qualsiasi natura essa sia- e dei confini, inclusi quelli europei e soprattutto quelli del Regno Unito. Questa chiusura, in combinazione con il sorgere di nuovi e ulteriori conflitti e tensioni in Medio Oriente e sul continente Africano negli ultimi dieci anni, ha alimentato una nuova ondata migratoria gestita spesso con un totale disprezzo dei diritti umani.
Le espressioni “crisi dei rifugiati” ed “emergenza migranti”, che negli ultimi vent’anni sono diventate sempre più popolari e familiari, hanno saturato l’opinione pubblica, manipolando i numeri e la natura dei migranti coinvolti e alimentando la popolarità di movimenti populisti e nazionalisti che hanno fatto leva sulla xenofobia per rinsaldare il proprio elettorato. In un circolo vizioso, l’aumento del sentimento nazionalista e individualista nelle politiche dei singoli paesi dell’Unione ha indebolito l’Europa stessa, i cui rappresentanti mostrano reticenza nei confronti di iniziative che trattano di argomenti impopolari come l’accoglienza dei migranti extracomunitari. La cosiddetta “Brexit” rappresenta il culmine di questi processi di distacco dall’Europa e di rafforzamento dei confini.
Nel Regno Unito del terzo millennio il teatro si trova in prima linea quando si tratta di puntare un faro e mettere in scena, letteralmente, le storie delle minoranze e degli oppressi. Il teatro ha la possibilità di rispondere a questo tipo di istanze più velocemente rispetto ad altri ambiti artistici e, al contempo, ha ormai sfoderato un repertorio pressoché infinito di forme, stili e modalità espressive con cui dare voce a chi spesso viene considerato invisibile dalla società.
All’interno di questo panorama variegato è scontato che alcune forme di storytelling e alcune dinamiche si cristallizzino e acquistino popolarità, ed è altrettanto vero che farsi portavoce di questo genere di storia nasconda numerose insidie dal punto di vista tematico, estetico e anche etico. È giusto o necessario mettere in scena il vissuto di chi migra in virtù della sua possibile carica empatica? Come si approccia il teatro alla volontà di integrarsi di chi riceve asilo nel Regno Unito, o alla sua mancanza? Che conseguenze ha avuto l’istituzione di centri di detenzione sul suolo britannico, e come si rispecchiano nella psiche dei personaggi che li abitano? E ancora, come viene rappresentata la governance by debt che spesso accomuna la vita di nativi e migranti?
L’obiettivo di questo lavoro è esaminare i diversi approcci alla refugee story proposti all’interno del panorama teatrale britannico, sia dal punto di vista tematico che formale. Verranno isolate alcune tematiche e problematiche fondamentali utili a contestualizzare la messa in scena delle migrazioni contemporanee. A questo scopo saranno esaminate tre pièce scritte prima del 2015 -The Bogus Woman di Kayd Adshead, Credible Witness di Timberlake Wertenbaker e I Have Before Me a Remarkable Document Given to Me by a Young Lady From Rwanda di Sonja Linden- e tre scritte dopo il 2015 -How to Hold Your Breath di Zinnie Harris, Lampedusa di Anders Lustgarten e The Jungle di Joe Robertson e Joe Murphy.
L’approccio diacronico all’analisi nasce dalla volontà di approfondire un’eventuale ripercussione sul panorama teatrale dell’ipervisibilità mediatica e della strumentalizzazione politica e sociale dei migranti in seguito al picco di sbarchi del 2014 e della reazione dell’opinione pubblica alla circolazione virale della fotografia del cadavere di Alan Kurdi, un bambino curdo di tre anni annegato durante la traversata sulla rotta mediterranea.

As a society, after the 9/11 attacks we have witnessed a decisive tightening of the rules concerning every kind of migration and the strengthening of borders all over Europe, especially in the United Kingdom. This, in addition to the ever-growing tensions and conflicts in the Middle East and on the African continent fuelled a new influx of migrants which has often been handled in complete defiance and disdain for human rights.
The expression “refugee crisis” has become more and more relevant and widespread in the past twenty years, hijacking the feelings of the public and manipulating both the numbers and the character of those who migrate, contemporarily feeding into xenophobic sentiments which have been then exploited by populist and nationalist political movements all over the West. Fuelling nationalist and individualistic fears creates a vicious cycle and weakens the European Union, whose representatives are reluctant to show support towards unpopular topics such as hospitality and the relocation of asylum seekers. “Brexit” has represented the climax and extremization of these anti-European sentiments and the consequent strengthening of its borders.
Entering the third millennium, British theatre has rooted itself firmly in the civil rights movement’s frontlines, giving a voice to those who are discriminated and oppressed. Compared to other artistic mediums, theatre tends to generate a much quicker response to pressing social issues, all while being able to count on a vast repertoire of modes, styles and formats to stage the stories of those who are often invisible and unheard.
It goes without saying that, in this vast and comprehensive narrative landscape, certain storytelling devices and dynamics are bound to solidify and become more popular than others. It is also true that bearing witness and staging this kind of stories comes with a whole set of risks from a thematic, aesthetic, and ethical point of view. For example, is it fair, or necessary, to dramatize the life of refugees to elicit an empathic response from the public? How does theatre portray migrants’ individual approaches to integration or lack thereof in a host country? Which consequences did the establishment of detention centres in the UK have on its detainees, and how did this common experience filter into the life and psyche of the characters on stage? Also, considering how the practice of governance by debt constitutes a common experience among both migrants and hosts, how has it been used as a narrative device in theatre?
The aim of this work is to examine different approaches to the “refugee story” within British theatre, both from a thematic and a stylistic point of view. I will focus on key topics and problems which offer a good representation of the genre by analysing a total of six plays, which I will divide into two categories. Three plays have been written and performed before 2015 -The Bogus Woman by Kayd Adshead, Credible Witness by Timberlake Wertenbaker and I Have Before Me a Remarkable Document Given to Me by a Young Lady From Rwanda by Sonja Linden- e three during or after 2015 -How to Hold Your Breath by Zinnie Harris, Lampedusa by Anders Lustgarten and The Jungle by Joe Robertson and Joe Murphy.
This diachronic approach is intended to show a possible correlation between the sudden hypervisibility of asylum seekers after a rapid increase in their numbers in 2014, as well as the public uproar following the viral sharing of a picture of the corpse of three-year-old Kurdish migrant Alan Kurdi, and the changes in the onstage representations of refugee stories.


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