Tesi etd-06262018-114121 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
DI CLEMENTE, PAOLO
URN
etd-06262018-114121
Titolo
Relazioni tra parametri dell'ABPM e il danno d'organo subclinico
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Taddei, Stefano
correlatore Dott. Masi, Stefano
correlatore Dott. Masi, Stefano
Parole chiave
- danno d'organo subclinico
- pressione arteriosa media
- pressione diastolica
- pressione differenziale
- pressione pulsatoria
- rigidità aortica
- variabilità della pressione sistolica diurna
Data inizio appello
17/07/2018
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
17/07/2088
Riassunto
L’ipertensione arteriosa è il fattore di rischio cardiovascolare più diffuso nel mondo. Nei paesi dell’Unione Europea e negli Stati Europei non comunitari circa il 40% della popolazione generale è affetta da ipertensione arteriosa. Per questo motivo è considerata dalla Organizzazione Mondiale della Sanità la prima causa di morte su scala mondiale.
La diagnosi di ipertensione arteriosa è tutt’altro che semplice dato che le misurazioni cliniche della pressione arteriosa possono essere soggette ad una notevole variabilità dovuta all’influenza della reazione da camicie bianco o reazione dall’allarme, alla postura inadeguata, al mancato riposo pre-misurazione, alla presenza di fibrillazione atriale ed altre aritmie cardiache, alla taglia del bracciale, all’esperienza dell’operatore che effettua le misurazioni e a molti altri fattori. Per ridurre il rischio di porre diagnosi inadeguata di ipertensione e trattare pazienti in realtà non ipertesi le linee guida delle più influenti società scientifiche suggeriscono di utilizzare metodi di misurazione della pressione arteriosa più oggettivi e meno soggetti all’influenza dei vari fattori confondenti, come la misurazione domiciliare (HBPM) e la misurazione ambulatoriale (ABPM).
In particolare, risultano ormai numerose le evidenze che supportano una maggior associazione dei valori di pressione media ottenuti all’ABPM con il danno d’organo subclinico, rispetto ai valori di pressione arteriosa clinica. Oltre a fornire importanti informazioni sui valori medi di pressione arteriosa nelle 24 ore che risultano meno soggetti all’influenza da parte di fattori confondenti, l’ABPM consente anche di stimare la variabilità della pressione arteriosa nelle 24 ore, ossia nel breve termine. Questo è importante perché recenti studi suggeriscono che la variabilità pressoria misurata all’ABPM possa fornire informazioni aggiuntive per la stratificazione del rischio cardiovascolare del paziente iperteso.
Nonostante i vari parametri ottenibili dall’ABPM possano aiutare nell’inquadramento del paziente iperteso, sono pochi gli studi che hanno riportato una valutazione della loro relazione con il danno a carico di tutti gli organi bersaglio dell’ipertensione. Questo è importante perché i meccanismi con cui la variabilità pressoria determina danno a carico dei vari organi bersaglio non risultano ancora chiariti e potrebbero differire a seconda dell’organo preso in considerazione. Quindi, i diversi parametri pressori ottenuti da un ABPM potrebbero avere una diversa rilevanza clinica a seconda delle problematiche del paziente iperteso che il medico si trova di fronte.
In questo studio abbiamo valutato l’associazione tra parametri reperibili in un referto standard dell’ABPM ed il danno d’organo subclinico a livello renale, cardiaco e vascolare legato all’ipertensione, al fine di capire se parametri normalmente non considerati nella lettura dell’ABPM potessero invece dare importanti informazioni aggiuntive rispetto ai valori delle pressioni medie circa lo stato di evoluzione del danno d’organo subclinico. Abbiamo quindi raccolto, retrospettivamente, dati sull’ABPM e sui fenotipi di danno d’organo subclinico cardiaco, carotideo e renale in un gruppo di pazienti ricoverati presso l’UO di Medicina I Universitaria dello stabilimento Santa Chiara. La corsia normalmente ricovera pazienti affetti da ipertensione per valutare il danno d’organo subclinico, per fare diagnosi di forme secondarie, per curare complicanze connesse all’ipertensione e pazienti con qualsiasi patologia internistica.
Sono stati inclusi nello studio tutti i pazienti che avevano eseguito ABPM nel periodo compreso tra Febbraio 2017 ed Aprile 2018. Il profilo di rischio cardiovascolare è stato recuperato dalle cartelle cliniche così come il fenotipo degli organi bersaglio dell’ipertensione. Abbiamo utilizzato come indice di danno cardiaco la massa cardiaca indicizzata per la superficie corporea (LVMI), come indice di danno carotideo la presenza di placche carotidee, mentre per il danno renale gli indici di resistività intraparenchimale (IR).
I risultati di questo studio hanno mostrato che la deviazione standard diurna della pressione sistolica, la pressione differenziale nelle 24h, diurna e notturna sono dei significativi indicatori di danno d’organo subclinico cardiaco anche dopo correzione rispettivamente per i valori medi pressori della pressione sistolica, la pressione arteriosa media nelle 24h, diurna e notturna. Anche la media della pressione diastolica è risultata associata in modo inverso con il danno d’organo subclinico cardiaco. Per quanto riguarda il danno vascolare soltanto la pressione differenziale nelle 24h, diurna e notturna si è dimostrata essere associata alla presenza di ateromasia carotidea, anche dopo correzione per la pressione arteriosa media nelle 24h, diurna e notturna. Per il danno renale, infine, sono state individuate delle correlazioni inverse tra gli indici di resistenza intraparenchimali (IR) ed i valori nelle 24h, diurni e notturni della pressione diastolica e della pressione arteriosa media. Inoltre, è stata dimostrata una correlazione diretta con la pressione differenziale nelle 24h, diurna e notturna.
Questi dati suggeriscono che il solo valore medio della pressione sistolica e diastolica ricavati dall’ABPM potrebbe non fornire una visione completa del rischio di danno d’organo subclinico del paziente iperteso e che l’indice di riferimento al quale dovrebbe
essere dato maggior peso nell’interpretazione dei risultati di un ABPM varia a seconda della tipologia del paziente che il medico si trova di fronte.
Infatti, i risultati ottenuti da questa analisi suggeriscono come i valori di variabilità diurna della pressione sistolica e della pressione differenziale possano dare un potenziale contributo all’evoluzione del danno d’organo cardiaco, indipendentemente dai valori medi di pressione arteriosa. Nel caso del danno renale invece, indici maggiormente rappresentativi della perfusione d’organo, quali la pressione arteriosa media e diastolica sono strettamente associati ai valori delle resistenze renali intraparenchimali, indipendentemente dalla pressione arteriosa media. Tuttavia, il danno renale risulta essere correlato anche con la pressione differenziale indipendentemente dalla pressione arteriosa media.
Si può ipotizzare che un possibile comune denominatore che consente di spiegare fisiopatologicamente le relazioni trovate sia la rigidità aortica e dei grossi vasi. La variabilità della pressione sistolica diurna e la pressione differenziale aumentano all’aumentare della rigidità vascolare, perché con l’aumento di quest’ultima si perde la capacità dell’aorta di attutire l’onda pulsatoria generata dalla contrazione ventricolare in funzione delle variazioni battito-battito della gittata sistolica. Un aumento della rigidità aortica porta ad un aumento del post carico e così favorisce l’aumento della massa cardiaca indicizzata per la superficie corporea. Inoltre, un aumento della rigidità vascolare potrebbe favorire la trasmissione di una maggiore energia pulsatoria a livello del parenchima renale, con possibile danno da barotrauma a carico dei capillari glomerulari. Infine, un aumento della rigidità vascolare potrebbe determinare anche pressioni diastoliche più basse con conseguente riduzione della pressione di perfusione renale e cardiaca. Ciò potrebbe favorire l’ischemia tissutale e l’evoluzione del danno d’organo subclinico.
In conclusione, i dati di questo studio suggeriscono che nell’inquadramento del paziente iperteso, tutti i vari indici ottenuti dal referto dell’ABPM dovrebbero essere considerati, in quanto anche ciò che non viene utilizzato nella pratica clinica quotidiana potrebbe fornire importanti informazioni aggiuntive sul rischio di evoluzione del danno d’organo subclinico.
La diagnosi di ipertensione arteriosa è tutt’altro che semplice dato che le misurazioni cliniche della pressione arteriosa possono essere soggette ad una notevole variabilità dovuta all’influenza della reazione da camicie bianco o reazione dall’allarme, alla postura inadeguata, al mancato riposo pre-misurazione, alla presenza di fibrillazione atriale ed altre aritmie cardiache, alla taglia del bracciale, all’esperienza dell’operatore che effettua le misurazioni e a molti altri fattori. Per ridurre il rischio di porre diagnosi inadeguata di ipertensione e trattare pazienti in realtà non ipertesi le linee guida delle più influenti società scientifiche suggeriscono di utilizzare metodi di misurazione della pressione arteriosa più oggettivi e meno soggetti all’influenza dei vari fattori confondenti, come la misurazione domiciliare (HBPM) e la misurazione ambulatoriale (ABPM).
In particolare, risultano ormai numerose le evidenze che supportano una maggior associazione dei valori di pressione media ottenuti all’ABPM con il danno d’organo subclinico, rispetto ai valori di pressione arteriosa clinica. Oltre a fornire importanti informazioni sui valori medi di pressione arteriosa nelle 24 ore che risultano meno soggetti all’influenza da parte di fattori confondenti, l’ABPM consente anche di stimare la variabilità della pressione arteriosa nelle 24 ore, ossia nel breve termine. Questo è importante perché recenti studi suggeriscono che la variabilità pressoria misurata all’ABPM possa fornire informazioni aggiuntive per la stratificazione del rischio cardiovascolare del paziente iperteso.
Nonostante i vari parametri ottenibili dall’ABPM possano aiutare nell’inquadramento del paziente iperteso, sono pochi gli studi che hanno riportato una valutazione della loro relazione con il danno a carico di tutti gli organi bersaglio dell’ipertensione. Questo è importante perché i meccanismi con cui la variabilità pressoria determina danno a carico dei vari organi bersaglio non risultano ancora chiariti e potrebbero differire a seconda dell’organo preso in considerazione. Quindi, i diversi parametri pressori ottenuti da un ABPM potrebbero avere una diversa rilevanza clinica a seconda delle problematiche del paziente iperteso che il medico si trova di fronte.
In questo studio abbiamo valutato l’associazione tra parametri reperibili in un referto standard dell’ABPM ed il danno d’organo subclinico a livello renale, cardiaco e vascolare legato all’ipertensione, al fine di capire se parametri normalmente non considerati nella lettura dell’ABPM potessero invece dare importanti informazioni aggiuntive rispetto ai valori delle pressioni medie circa lo stato di evoluzione del danno d’organo subclinico. Abbiamo quindi raccolto, retrospettivamente, dati sull’ABPM e sui fenotipi di danno d’organo subclinico cardiaco, carotideo e renale in un gruppo di pazienti ricoverati presso l’UO di Medicina I Universitaria dello stabilimento Santa Chiara. La corsia normalmente ricovera pazienti affetti da ipertensione per valutare il danno d’organo subclinico, per fare diagnosi di forme secondarie, per curare complicanze connesse all’ipertensione e pazienti con qualsiasi patologia internistica.
Sono stati inclusi nello studio tutti i pazienti che avevano eseguito ABPM nel periodo compreso tra Febbraio 2017 ed Aprile 2018. Il profilo di rischio cardiovascolare è stato recuperato dalle cartelle cliniche così come il fenotipo degli organi bersaglio dell’ipertensione. Abbiamo utilizzato come indice di danno cardiaco la massa cardiaca indicizzata per la superficie corporea (LVMI), come indice di danno carotideo la presenza di placche carotidee, mentre per il danno renale gli indici di resistività intraparenchimale (IR).
I risultati di questo studio hanno mostrato che la deviazione standard diurna della pressione sistolica, la pressione differenziale nelle 24h, diurna e notturna sono dei significativi indicatori di danno d’organo subclinico cardiaco anche dopo correzione rispettivamente per i valori medi pressori della pressione sistolica, la pressione arteriosa media nelle 24h, diurna e notturna. Anche la media della pressione diastolica è risultata associata in modo inverso con il danno d’organo subclinico cardiaco. Per quanto riguarda il danno vascolare soltanto la pressione differenziale nelle 24h, diurna e notturna si è dimostrata essere associata alla presenza di ateromasia carotidea, anche dopo correzione per la pressione arteriosa media nelle 24h, diurna e notturna. Per il danno renale, infine, sono state individuate delle correlazioni inverse tra gli indici di resistenza intraparenchimali (IR) ed i valori nelle 24h, diurni e notturni della pressione diastolica e della pressione arteriosa media. Inoltre, è stata dimostrata una correlazione diretta con la pressione differenziale nelle 24h, diurna e notturna.
Questi dati suggeriscono che il solo valore medio della pressione sistolica e diastolica ricavati dall’ABPM potrebbe non fornire una visione completa del rischio di danno d’organo subclinico del paziente iperteso e che l’indice di riferimento al quale dovrebbe
essere dato maggior peso nell’interpretazione dei risultati di un ABPM varia a seconda della tipologia del paziente che il medico si trova di fronte.
Infatti, i risultati ottenuti da questa analisi suggeriscono come i valori di variabilità diurna della pressione sistolica e della pressione differenziale possano dare un potenziale contributo all’evoluzione del danno d’organo cardiaco, indipendentemente dai valori medi di pressione arteriosa. Nel caso del danno renale invece, indici maggiormente rappresentativi della perfusione d’organo, quali la pressione arteriosa media e diastolica sono strettamente associati ai valori delle resistenze renali intraparenchimali, indipendentemente dalla pressione arteriosa media. Tuttavia, il danno renale risulta essere correlato anche con la pressione differenziale indipendentemente dalla pressione arteriosa media.
Si può ipotizzare che un possibile comune denominatore che consente di spiegare fisiopatologicamente le relazioni trovate sia la rigidità aortica e dei grossi vasi. La variabilità della pressione sistolica diurna e la pressione differenziale aumentano all’aumentare della rigidità vascolare, perché con l’aumento di quest’ultima si perde la capacità dell’aorta di attutire l’onda pulsatoria generata dalla contrazione ventricolare in funzione delle variazioni battito-battito della gittata sistolica. Un aumento della rigidità aortica porta ad un aumento del post carico e così favorisce l’aumento della massa cardiaca indicizzata per la superficie corporea. Inoltre, un aumento della rigidità vascolare potrebbe favorire la trasmissione di una maggiore energia pulsatoria a livello del parenchima renale, con possibile danno da barotrauma a carico dei capillari glomerulari. Infine, un aumento della rigidità vascolare potrebbe determinare anche pressioni diastoliche più basse con conseguente riduzione della pressione di perfusione renale e cardiaca. Ciò potrebbe favorire l’ischemia tissutale e l’evoluzione del danno d’organo subclinico.
In conclusione, i dati di questo studio suggeriscono che nell’inquadramento del paziente iperteso, tutti i vari indici ottenuti dal referto dell’ABPM dovrebbero essere considerati, in quanto anche ciò che non viene utilizzato nella pratica clinica quotidiana potrebbe fornire importanti informazioni aggiuntive sul rischio di evoluzione del danno d’organo subclinico.
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