Tesi etd-06262017-155218 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
ANGELI, FRANCESCO
URN
etd-06262017-155218
Titolo
La perforazione cardiaca da elettrocatetere per stimolazione e defibrillazione, una rara ma insidiosa complicanza: diagnosi e terapia
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Dott.ssa Bongiorni, Maria Grazia
correlatore Dott. Paperini, Luca
correlatore Dott. Paperini, Luca
Parole chiave
- dispositivi elettronici cardiaci impiantabili
- estrazione transvenosa di elettrocatetere
- perforazione cardiaca
Data inizio appello
18/07/2017
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
18/07/2087
Riassunto
Con l’incremento delle indicazioni all’impianto dei dispositivi elettronici cardiaci impiantabili, si è assistito a un numero progressivamente maggiore di portatori di questi device. Tuttavia la terapia di stimolazione-defibrillazione a permanenza rimane invariabilmente legata al rischio iatrogeno connesso con la presenza nell’organismo di questi dispositivi, con il possibile verificarsi di eventi acuti e/o cronici in qualsiasi momento della durata dell’impianto. Aumentando pertanto i pazienti impiantati, risulta inevitabile un aumento, in numero assoluto, anche delle complicanze associate, correlata al malfunzionamento del dispositivo o a fenomeni infettivi. Per alcune di queste, come le infezioni su catetere, esistono già Linee Guida Internazionali validate per il trattamento, per altre, invece, la terapia rimane ancora incerta. Tra queste, la perforazione cardiaca da elettrocatetere per stimolazione e defibrillazione rappresenta una rara, ma potenzialmente fatale complicanza nei pazienti portatori di dispositivi cardiaci impiantabili. Data la rarità di tale complicanza, mancano dati solidi riguardo incidenza, patogenesi e approccio diagnostico-terapeutico adeguato. L’estrazione transvenosa di elettrocateteri dislocati e/o perforanti attraverso strutture cardiache e non come pareti atriali o ventricolari, pleura e mediastino ha un’indicazione di Classe III, Livello di Evidenza C, quindi, a rigore di Linee Guida, sarebbe controindicata. Il livello di evidenza C non è, però, ottimale: inoltre, nel suo Expert Consensus Statement, la Heart Rhythm Society ha ammesso questo tipo di approccio qualora fosse disponibile un back up cardiochirurgico. Molti autori, dunque, di fronte a queste indicazioni poco chiare e nette propendono in primo luogo per la rimozione allo scopo di evitare l’ulteriore dislocazione del catetere, e, in particolare, per una rimozione effettuata per via percutanea, visto che rappresenta un management sicuramente meno invasivo per il paziente, cui vengono evitati la degenza più lunga e il decorso post-operatorio di un intervento prettamente chirurgico, garantendo allo stesso tempo tassi di successo che oscillano tra il 90-100%.
Scopo primario di questo studio retrospettivo è descrivere l’esperienza del Centro Pisano nell’approccio diagnostico-terapeutico alle perforazioni da elettrocatetere, ampliando, con una maggiore numerosità dei casi, le osservazioni precedenti degli altri Autori sulle strategie ottimali di diagnosi e management di questa complicanza. Compito secondario dello studio è poi quello di definire la fattibilità e la sicurezza della rimozione transvenosa del catetere perforante. A questo scopo è stata arruolata, retrospettivamente, una popolazione di 27 pazienti portatori di PM, ICD o dispositivi per la CRT che hanno ricevuto la diagnosi di perforazione cardiaca da elettrocatetere presso il Centro di Malattie Cardiovascolari II dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana tra ottobre del 1999 e giugno 2017. La diagnosi è stata posta su tecniche di imaging come indagini radiografiche, ecografiche, di tomografia computerizzata oppure angiografiche. Sono state analizzate le caratteristiche clinico-anamnestiche della popolazione, con particolare riguardo all’approccio diagnostico della complicanza, le caratteristiche del catetere perforante e le modalità del trattamento applicato. Solo 5 pazienti mostravano un normale funzionamento del dispositivo. La radiografia toracica è risultata diagnostica nel 22% dei casi, l’ecografia nel 52%, mentre TC e angiografia, quando eseguite, sono risultate sempre dirimenti nello sciogliere il quesito diagnostico. Della popolazione presa in esame, 20 pazienti sono stati trattati tramite estrazione transvenosa, 2 previa semplice trazione manuale e conseguente riposizionamento del catetere, 3 con approccio ibrido chirugico-percutaneo, mentre in 2 pazienti si è scelto di prima linea di abbandonare il catetere perforante e aggiungerne un secondo. Il successivo reimpianto avveniva contestualmente alla procedura di estrazione oppure in un secondo momento, prevalentemente con impianto settale a fissazione attiva. Dei 25 casi di catetere perforante dove si è tentata l’estrazione, si sono avuti 2 insuccessi (tasso di successo del 92%): in un caso si è deciso di abbandonare il catetere perforante dopo che la trazione manuale e la dilatazione delle aderenze sono risultate inefficaci, mentre nel secondo durante la procedura di estrazione il catetere si è fratturato, dunque la rimozione del moncone residuo è stata completata in un secondo ricovero tramite minitoracotomia. La mortalità intra-procedurale è stata pari allo 0%, in quanto nessun paziente è morto di complicanze acute.
Anche la mortalità post-procedurale (espianto e/o impianto di nuovo elettrocatetere) durante la degenza e a 30 giorni si è attestata allo 0%, mentre quella a un anno al 3,7%. Al termine del follow up medio di 21 mesi, sono morti 3 pazienti (mortalità=11%) da cause, però, non cardiache. In base all’esperienza maturata in questo lavoro, dunque, si consiglia di interrogare sempre il dispositivo, visto che nella maggior parte dei casi la perforazione risulta in un malfunzionamento del catetere, e continuare l’iter diagnostico con imaging di primo livello (radiografia del torace ed ecografia transtoracica), per poi passare alla TC se questo non risulta dirimente. Nella maggior parte dei pazienti, infine, l’estrazione percutanea costituisce un approccio terapeutico sicuro, efficace e versatile, che può essere svolto nella sala di aritmologia interventistica con un back-up cardiochirurgico per minimizzare i rischi di possibili complicanze.
Scopo primario di questo studio retrospettivo è descrivere l’esperienza del Centro Pisano nell’approccio diagnostico-terapeutico alle perforazioni da elettrocatetere, ampliando, con una maggiore numerosità dei casi, le osservazioni precedenti degli altri Autori sulle strategie ottimali di diagnosi e management di questa complicanza. Compito secondario dello studio è poi quello di definire la fattibilità e la sicurezza della rimozione transvenosa del catetere perforante. A questo scopo è stata arruolata, retrospettivamente, una popolazione di 27 pazienti portatori di PM, ICD o dispositivi per la CRT che hanno ricevuto la diagnosi di perforazione cardiaca da elettrocatetere presso il Centro di Malattie Cardiovascolari II dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana tra ottobre del 1999 e giugno 2017. La diagnosi è stata posta su tecniche di imaging come indagini radiografiche, ecografiche, di tomografia computerizzata oppure angiografiche. Sono state analizzate le caratteristiche clinico-anamnestiche della popolazione, con particolare riguardo all’approccio diagnostico della complicanza, le caratteristiche del catetere perforante e le modalità del trattamento applicato. Solo 5 pazienti mostravano un normale funzionamento del dispositivo. La radiografia toracica è risultata diagnostica nel 22% dei casi, l’ecografia nel 52%, mentre TC e angiografia, quando eseguite, sono risultate sempre dirimenti nello sciogliere il quesito diagnostico. Della popolazione presa in esame, 20 pazienti sono stati trattati tramite estrazione transvenosa, 2 previa semplice trazione manuale e conseguente riposizionamento del catetere, 3 con approccio ibrido chirugico-percutaneo, mentre in 2 pazienti si è scelto di prima linea di abbandonare il catetere perforante e aggiungerne un secondo. Il successivo reimpianto avveniva contestualmente alla procedura di estrazione oppure in un secondo momento, prevalentemente con impianto settale a fissazione attiva. Dei 25 casi di catetere perforante dove si è tentata l’estrazione, si sono avuti 2 insuccessi (tasso di successo del 92%): in un caso si è deciso di abbandonare il catetere perforante dopo che la trazione manuale e la dilatazione delle aderenze sono risultate inefficaci, mentre nel secondo durante la procedura di estrazione il catetere si è fratturato, dunque la rimozione del moncone residuo è stata completata in un secondo ricovero tramite minitoracotomia. La mortalità intra-procedurale è stata pari allo 0%, in quanto nessun paziente è morto di complicanze acute.
Anche la mortalità post-procedurale (espianto e/o impianto di nuovo elettrocatetere) durante la degenza e a 30 giorni si è attestata allo 0%, mentre quella a un anno al 3,7%. Al termine del follow up medio di 21 mesi, sono morti 3 pazienti (mortalità=11%) da cause, però, non cardiache. In base all’esperienza maturata in questo lavoro, dunque, si consiglia di interrogare sempre il dispositivo, visto che nella maggior parte dei casi la perforazione risulta in un malfunzionamento del catetere, e continuare l’iter diagnostico con imaging di primo livello (radiografia del torace ed ecografia transtoracica), per poi passare alla TC se questo non risulta dirimente. Nella maggior parte dei pazienti, infine, l’estrazione percutanea costituisce un approccio terapeutico sicuro, efficace e versatile, che può essere svolto nella sala di aritmologia interventistica con un back-up cardiochirurgico per minimizzare i rischi di possibili complicanze.
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