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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-06252019-191342


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
MORI UBALDINI, GIULIA
URN
etd-06252019-191342
Titolo
Efficacia e sicurezza della terapia anticoagulante orale nel paziente grande anziano con fibrillazione atriale: criteri di selezione.
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Monzani, Fabio
Parole chiave
  • terapia anticoagulante
  • rivaroxaban
  • paziente anziano
  • Fibrillazione atriale
  • edoxaban.
  • DOAC
  • dabigatran
  • apixaban
  • VKA
  • warfarin
Data inizio appello
16/07/2019
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
16/07/2089
Riassunto
INTRODUZIONE: la fibrillazione atriale (FA) è la tachiaritmia sopra-ventricolare più frequente nella pratica clinica. La prevalenza aumenta con l’età interessando l’1-3% degli adulti ≥ 20 anni raggiungendo il 17.8% nei soggetti ultra85enni e risulta maggiore nel sesso maschile (3.3% M vs 2.4% F) anche se in età avanzata il numero assoluto di FA nei due sessi è simile. È associata ad un aumento di due volte della mortalità, ad una riduzione della qualità di vita, dell’autonomia funzionale e ad un aumento delle morbidità e delle ospedalizzazioni. La terapia anticoagulante per la prevenzione delle complicanze tromboemboliche riduce significativamente l’incidenza di ictus ed è raccomandata in pazienti ad alto rischio di ictus ischemico (CHA2DS2VASc ≥2 negli uomini e ≥3 nelle donne) e dovrebbe essere considerata in pazienti a rischio intermedio (CHA2DS2VASc ≥1 negli uomini e ≥2 nelle donne) bilanciando vantaggi/svantaggi di tale terapia. L’anziano è un paziente ad elevato rischio tromboembolico, ma ampiamente sottotrattato (fino al 40-60% dei casi).

SCOPO DELLO STUDIO: stimare la prevalenza di FA in una popolazione di pazienti geriatrici ricoverati per patologia medica acuta confrontandone le caratteristiche cliniche rispetto alla popolazione in ritmo sinusale; valutare la prevalenza della terapia anticoagulante al momento del ricovero e alla dimissione nei fibrillanti e determinarne i fattori predittivi; analizzare il cambiamento negli anni dell’utilizzo della terapia anticoagulante sia a domicilio che alla dimissione, in particolare dopo l’introduzione dei DOAC; valutare mortalità intra-ospedaliera e sopravvivenza a breve, medio e lungo termine in relazione alle caratteristiche cliniche dei pazienti affetti da FA rispetto ai pazienti in RS e in base all’impiego di terapia anticoagulante. Infine, valutare l’accesso al dipartimento di emergenza-accettazione dei fibrillanti dopo la dimissione, identificandone la causa principale (emorragica, tromboembolica o altra causa) e la terapia anticoagulante al momento dell’accesso.

MATERIALI E METODI: studio osservazionale prospettico su popolazione di pazienti ≥ 65 anni, ricoverati per patologia medica acuta da Gennaio 2013 a Luglio 2017 presso l’U.O. Geriatria dell’AOUP. Per ciascun paziente sono state raccolte informazioni sociodemografiche, anamnesi patologica remota con attenzione ad eventi cerebrovascolari ed emorragici ed eseguita una completa valutazione multidimensionale geriatrica (BADL, IADL, MNA, SPMSQ, CIRS). È stato stimato il filtrato con le formule CKD-EPI creatinina, CKD-EPI cistatina C, CKD-EPI creatinina-cistatina. I pazienti sono stati suddivisi in base alla presenza o meno di FA in “pazienti” e “controlli” (in ritmo sinusale). I pazienti con FA sono stati divisi in due gruppi: “FA anamnestica” (FA nota, parossistica o permanente), “FA incidente” (FA di nuova insorgenza). È stata eseguita la stratificazione del rischio tromboembolico ed emorragico rispettivamente attraverso gli scores CHA2DS2VASc ed HAS-BLED e raccolta l’anamnesi farmacologica riguardante la terapia antitrombotica all’ingresso e alla dimissione. È stata inoltre registrata la durata della degenza, la mortalità ospedaliera, la sopravvivenza e le complicanze emorragiche a medio-lungo termine.

RISULTATI: Tra i 5211 pazienti arruolati, la prevalenza di FA è risultata del 34.8% (1814 pazienti), di cui 1514 pazienti con FA nota (83.5%) e in 300 soggetti (16.5%) di nuova insorgenza. Dei pazienti con FA anamnestica, il 66.6% presentava la forma permanente. I pazienti con FA, rispetto alla popolazione di controllo, risultavano più anziani, con maggiori comorbidità, peggiore filtrato glomerulare e maggiore degenza media, in assenza di differenze per disabilità, decadimento cognitivo e sesso tra i due gruppi. Confrontando il filtrato glomerulare dei fibrillanti si osservava una diversa classificazione dei pazienti con malattia renale cronica a seconda dell’utilizzo di formule basate sulla cistatina C o solo sulla creatinina (eGFR >50ml/min CKD-EPI creatinina vs CKD-EPI creatinina-cistatina C: nel 50.1% e 34.3% dei casi rispettivamente) Nei pazienti con FA anamnestica, il 99.8% aveva un CHA2DS2VASc ≥2 e il 75% presentava un HAS-BLED ≤2. Solo il 53.6% dei pazienti con FA anamnestica assumeva a domicilio una terapia adeguata per la prevenzione del rischio tromboembolico: 24.1% VKA, 22% DOAC e il 7.5% EBPM.
Tra il 2013-2017 c’è stato un incremento dei pazienti con FA anamnestica in terapia anticoagulante al momento del ricovero (46.9% 2013 vs 56.9% 2017, p<0.01) e una riduzione dell’uso di antiaggregante piastrinico (31.9% 2013 vs 18.7% 2017, p<0.01) e di VKA (37% 2013 vs 17.5% 2017, p<0.01), con un incremento annuale nel tasso di pazienti trattati con DOAC o EBPM.
Si osservava un incremento nella proporzione dei pazienti con FA dimessi con terapia anticoagulante (52.7% 2013 vs 75.9% 2017, p<0.01) e si assisteva ad una riduzione significativa dell’uso di VKA (30.4% 2013 vs 8% 2017, p<0.01) e di EBPM a dosaggio anticoagulante (8.8% 2013 vs 7,8% 2017, p<0,01), a favore dei DOAC (13.5% 2013 vs 60.1% 2017, p <0.01).
La prescrizione di terapia anticoagulante alla dimissione era indipendentemente associata ad una migliore performance cognitiva, minore comorbidità, uno stato nutrizionale normale, un’anamnesi muta per eventi emorragici e un punteggio di CHA2DS2VASc≥4 [OR: CIRS-C 0.88 (IC95% 0.82-0.95), p<0.01; SPMSQ 0.93 (IC95% 0.90-0.97), p<0.01; MNA 0.67 (IC95% 0.51-0.89), p<0.01; emorragia anamnestica 0.38 (IC95% 0.29-0.50), p<0.01; CHA2DS2VASc ≥4 1.77 (IC95% 1.31-2.40), p<0.01].
La mortalità intraospedaliera nella popolazione generale era del 5.7% in assenza di differenza significativa tra FA e controlli, ma con un minore tasso di mortalità intraospedaliera nei pazienti con FA incidente rispetto ai pazienti con FA anamnestica.
Il follow-up mediano è stato di 11.0 mesi. Nella popolazione generale la mortalità a 1 mese, 6 mesi ed 1 anno era rispettivamente del 15.6%, 34.4% e 42%. La mediana di sopravvivenza nella popolazione generale era di 23.4 mesi (IC95% 20.8-25.9). Rispetto ai controlli, la FA si associava ad un incremento del rischio di mortalità a breve e medio-lungo termine. Nei pazienti fibrillanti la sopravvivenza si riduceva progressivamente all’aumentare del CIRS, dello SPMSQ e delle ADL/IADL. Globalmente, confrontando la mortalità dei pazienti non trattati rispetto agli anticoagulati, questi ultimi mostravano una sopravvivenza a medio-lungo termine migliore (mortalità del 30,7% vs 43,4%; 38,6% vs 50,4%; 43,7% vs 54,9% a 6, 12 e 24 mesi rispettivamente), prima e dopo aggiustamento per i fattori confondenti.
I pazienti con FA e CHA2DS2VASc≥4 in terapia anticoagulante alla dimissione presentavano una riduzione significativa della mortalità a 1, 6 mesi ed 1 anno rispetto ai pazienti non in terapia (13.4% vs 22.7%; 34% vs 48.3%; 43.3% vs 55.4% rispettivamente, p<0.01). La mortalità a breve e medio-lungo termine in pazienti trattati con CHA2DS2VASc <4 risultava significativamente minore rispetto ai non trattati [16.0% vs 33.3%; 32.3% vs 58.9%; 38.8% vs 71%, ad 1 mese, 6 mesi ed 1 anno rispettivamente, p<0.01].
Nei pazienti trattati, con HAS-BLED≥3, la mortalità a breve e medio-lungo termine, non differiva significativamente rispetto ai non trattati, pur tendendo alla significatività statistica [17.9% vs 26.6%; 44.6% vs 55.0%; 55% vs 65.3% ad 1 mese, 6 mesi e 1 anno rispettivamente; mediana sopravvivenza 8.43 (IC95% 4.46-12.40) vs 3.96 (IC95% 0.89-7.03), p=0.050; HR 0.52 (IC95% 0.57-1.002) p=0.052].
Nei pazienti trattati, con HAS-BLED<3 la prescrizione di terapia anticoagulante era associata a migliore sopravvivenza a breve e medio-lungo termine [mortalità 12.4% vs 24.8%; 30.5% vs 48.8%; 39.0% vs 57,1% ad 1, 6 mesi e 1 anno rispettivamente nei pazienti trattati vs non trattati; mediana sopravvivenza 25.26 (IC95% 17.52-33.0) vs 6.6 mesi (IC95% 3.11-10.08), p<0.01; HR 0.59 (IC95% 0.49-0.71), p<0.01].
Tra i pazienti fibrillanti che accedevano al PS dopo la dimissione, il 12% presentava complicanze emorragiche mentre il 2,1% tromboemboliche. Le emorragie erano gastrointestinali nel 51% dei casi, cerebrali nel 10.6% e il rimanente 38.4% in altre sedi. Il 72% dei pazienti assumeva terapia anticoagulante domiciliare (11.4% VKA, 43.5% DOAC, 17.1% EBPM) e il 28% terapia antiaggregante piastrinica o nessuna terapia. I pazienti in terapia anticoagulante presentavano una riduzione significativa nel rischio di sanguinamento (HR 0.8; IC 0.68-0.94, p<0.01) rispetto ai non trattati. I pazienti fibrillanti non trattati, trattati con antiaggreganti o con EBPM accedevano in DEA per complicanze emorragiche dopo 2.4, 2.2, 1.6 mesi rispettivamente dalla dimissione, mentre i pazienti con FA trattati con anticoagulanti orali accedevano dopo 5.6 mesi (VKA 6.7 mesi, DOAC 6.5 mesi, p=NS).

CONCLUSIONI: la prevalenza di FA nella popolazione studiata è risultata circa il doppio di quella osservata nella popolazione generale di pari età. I pazienti con FA risultavano più anziani, più comorbosi e con peggiore stima del filtrato glomerulare.
Le formule che utilizzano la cistatina riclassificano i pazienti con CKD con una percentuale variabile dal 30% al 50% rispetto all’equazione CKD-EPI creatinina. Questo potrebbe incidere sugli esiti della terapia con DOAC.
Nonostante l’elevato rischio tromboembolico e il basso rischio emorragico, solo il 53.6% dei soggetti con FA nota assumeva terapia anticoagulante a domicilio, seppur con un trend in miglioramento negli anni. Si è documentata una inattesa differenza di genere, non giustificata da oggettive differenze cliniche.
I pazienti con FA mostrano una maggiore mortalità a breve, medio e lungo termine che, una volta impostata adeguata terapia anticoagulante alla dimissione, si riduce progressivamente, indipendentemente dai vari fattori di rischio, incluso il rischio emorragico.
Nel paziente grande anziano complesso e fragile, gli strumenti decisionali per l’impostazione della terapia anticoagulante (CHA2DS2VASc e HAS-BLED) perdono il loro ruolo determinante che viene invece condizionato dal quadro clinico generale e dalla valutazione multidimensionale geriatrica.
L’emorragia rappresenta circa il 12% delle cause di accesso al pronto soccorso. I pazienti in terapia con EBPM e antiaggreganti piastrinici presentano un rischio emorragico significativamente maggiore rispetto a quelli in terapia anticoagulante orale.
I risultati dello studio confermano l’importanza di implementare l’impiego di terapia anticoagulante nel paziente geriatrico, in particolare con anticoagulanti orali diretti, in quanto risultano efficaci, sicuri e incidono in modo significativo sulla sopravvivenza dei pazienti.
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