Tesi etd-06242019-080651 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
FOLEGNANI, SIMONA
URN
etd-06242019-080651
Titolo
La mafia nell'urna: voto di scambio e reati elettorali. Profili evolutivi e strumenti di contrasto.
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Notaro, Domenico
Parole chiave
- mafia
- reati elettorali
- strumenti di contrasto
- voto di scambio
Data inizio appello
12/07/2019
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il presente lavoro si propone di analizzare l’intervento legislativo probabilmente più discusso e tribolato con riferimento alla contiguità politico - mafiosa, e volto a sanzionare uno degli effetti di tale disfunzione patologica. Con il reato di voto di scambio politico – mafioso si è inteso colpire la deplorevole pratica di mercanteggiamento dei voti tra le organizzazioni mafiose operanti su un territorio e gli esponenti politici, in occasione delle competizioni elettorali.
L’indagine si strutturerà in otto capitoli, ciascuno con una precisa area tematica.
La prima parte della tesi tenterà di analizzare quella lenta presa di consapevolezza, quale causa del ritardo nella comprensione, nell’analisi scientifica del fenomeno mafioso e nell’elaborazione di una strategia di contrasto delle forme di collusione tra mafia e politica: una tara originaria che ha condizionato l’intera indagine sul problema. Per lungo tempo ha dominato nel nostro paese una concezione della mafia come “comunità” e prodotto del retaggio culturale di quel primitivo entroterra agricolo meridionale. Negli anni Ottanta, la sorprendente capacità di trasformazione e adattamento ha favorito l’espansione dei sodalizi mafiosi verso i poli industriali del nord Italia, costringendo dottrina e giurisprudenza a scontrarsi sul terreno della configurabilità del delitto di associazione mafiosa in ambiti territoriali diversi da quello di origine. I paradigmi esplicativi della mafia “sistema” e della mafia “impresa” coglieranno aspetti fondamentali del fenomeno, quali la sussistenza di una stabile struttura organizzativa, il ricorso alla violenza e la finalità economica, ma senza esaurirne la complessità.
Un forte contributo all’incertezza è pervenuto dalle scienze sociali che hanno descritto la mafia quale soggetto alternativo alle istituzioni pubbliche, piuttosto che un meccanismo operante all’interno dello Stato, in un’ottica di sfruttamento delle relazioni e dei canali politico – istituzionali, per la realizzazione dei propri obiettivi.
Nel secondo capitolo analizzeremo il reato di voto di scambio politico - mafioso fin dalla sua prima introduzione con l’art. 416 ter c.p. mediante il d.l. n. 306 del 8 giugno 1992 (c.d. decreto Scotti – Martelli) convertito con modifiche nella legge n. 356 del 7 agosto 1992, esaminando il contesto storico, sociale e politico che lo ha generato e le singole componenti costitutive. È in concomitanza con i più gravi fatti di sangue che la legislazione antimafia ha ricevuto la spinta necessaria per l’inquadramento giuridico delle principali fattispecie delittuose. Dall’omicidio di Pio Della Torre e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa alle stragi di Capaci e via D’Amelio, il legislatore ha introdotto una serie di norme, tra le quali quella oggetto della presente trattazione, fortemente simboliche ma dotate di scarsa efficacia sul piano repressivo, e per le quali il dibattito interpretativo è ancora aperto e attuale. Ci soffermeremo in particolare sulle modalità caratterizzanti l’intimidazione mafiosa ritenute poco conciliabili con il concetto “sinallagmatico” dell’accordo, nonché sulle lacune che hanno reso la norma di difficile interpretazione e applicazione, dando vita a pareri discordanti in dottrina a partire dalla ratio della stessa fattispecie.
Nel terzo capitolo esamineremo il rapporto tra l’originaria formulazione del reato di voto di scambio elettorale e altre fattispecie penali applicabili a fenomeni analoghi ed individuabili sostanzialmente nei reati di partecipazione mafiosa, di corruzione elettorale ex art. 96 e 97 del D.P.R. 361/57, mettendo in evidenza la difficoltà di focalizzare uno spazio applicativo autonomo dell’art. 416 ter c.p. rispetto a queste figure delittuose.
Il quarto capitolo si pone l’obiettivo di analizzare i rapporti tra il reato di scambio elettorale politico - mafioso e il concorso esterno di cui al combinato disposto degli artt. 110 e 416 bis c.p., con particolare riguardo a quelle lacune che hanno influito negativamente sul rapporto tra le due ipotesi delittuose e sulle motivazioni che hanno indotto il potere giudiziario a trovare in maniera autonoma e creativa una risposta adeguata e appagante. Lo studio del contesto sociale, dei numerosi scandali politici e l’interesse mediatico costituiranno l’imprescindibile retroterra di tale analisi.
Nel quinto capitolo affronteremo l’intervento riformatore dell’art. 416 ter c.p., mediante la legge n. 64 del 17 aprile 2014, giunto dopo quattrocento giorni di discussione, quattro letture delle Camere, molteplici emendamenti contrastanti e una seduta di lavori parlamentari particolarmente accesa. Tenteremo di far luce sulle motivazioni che hanno sostenuto l’intento del legislatore, con particolare riguardo a quel rinnovato interesse dell’opinione pubblica verso disposizioni a tutela della regolarità delle competizioni elettorali, e a garanzia della libertà di voto. Ripercorreremo le principali modifiche apportate al novellato reato di scambio, onde valutarne l’adeguatezza in ordine al soddisfacimento di quelle istanze repressive del tutto disattese dalla precedente formulazione, affrontando le questioni di diritto intertemporale e le prime applicazioni giurisprudenziali, anche alla luce del nuovo requisito del metodo mafioso.
Nel sesto capitolo cercheremo di confrontare il riformato reato di scambio elettorale , con le altre fattispecie riconducibili all’area della contiguità politico – mafiosa, tentando di comprendere se e in che modo le modifiche apportate abbiano consentito di tracciare un confine più netto tra le varie ipotesi delittuose, anche sotto il profilo costituzionale.
Nel settimo capitolo affronteremo l’ultimo intervento riformistico del reato di scambio elettorale. Con la legge 21 maggio 2019, n. 43, recante “Modifica all’articolo 416-ter del codice penale in materia di voto di scambio politico-mafioso”, è stata varata l’ennesima riforma dell’art. 416 ter c.p. nel giro di appena un lustro.
Numerose sono le modifiche apportate alla disciplina pregressa, tanto sul versante del precetto primario e, quindi, della condotta penalmente rilevante, tanto su quello del precetto secondario e, dunque, della dosimetria sanzionatoria.
L’obiettivo è ancora una volta, come emerso già nell’intervento del 2017, l’inasprimento della risposta punitiva nei confronti di un fenomeno di elevato allarme sociale qual è la contiguità politico-mafiosa di tipo elettorale e, soprattutto, la facile aggregazione di consensi attorno a leggi che incidono su fatti diffusamente disapprovati dalla collettività, ma senza generare oneri economici a carico dello Stato.
Tuttavia, come molte novelle normative dotate di valenza simbolico-espressiva, nessuno dei cambiamenti realizzati appare convincente. Anzi, come si vedrà, alcuni risultano del tutto irrilevanti, altri, invece, assolutamente irrazionali.
L’ultima parte è dedicata all’analisi del d.lgs. n.159 del 6 settembre 2011 (c.d. Codice antimafia) con particolare riguardo alle disposizioni sul divieto di propaganda elettorale (cd. legge Lazzati). Le logiche emergenziali che hanno contraddistinto le principali misure antimafia non hanno condizionato in alcun modo tale intervento legislativo, che resta tuttavia legato a un forte simbolismo. Nodo centrale della trattazione è il concetto di propaganda elettorale e il suo divieto a carico dei sorvegliati speciali, sia nell’originaria formulazione che nel testo licenziato dal Parlamento.
L’indagine si strutturerà in otto capitoli, ciascuno con una precisa area tematica.
La prima parte della tesi tenterà di analizzare quella lenta presa di consapevolezza, quale causa del ritardo nella comprensione, nell’analisi scientifica del fenomeno mafioso e nell’elaborazione di una strategia di contrasto delle forme di collusione tra mafia e politica: una tara originaria che ha condizionato l’intera indagine sul problema. Per lungo tempo ha dominato nel nostro paese una concezione della mafia come “comunità” e prodotto del retaggio culturale di quel primitivo entroterra agricolo meridionale. Negli anni Ottanta, la sorprendente capacità di trasformazione e adattamento ha favorito l’espansione dei sodalizi mafiosi verso i poli industriali del nord Italia, costringendo dottrina e giurisprudenza a scontrarsi sul terreno della configurabilità del delitto di associazione mafiosa in ambiti territoriali diversi da quello di origine. I paradigmi esplicativi della mafia “sistema” e della mafia “impresa” coglieranno aspetti fondamentali del fenomeno, quali la sussistenza di una stabile struttura organizzativa, il ricorso alla violenza e la finalità economica, ma senza esaurirne la complessità.
Un forte contributo all’incertezza è pervenuto dalle scienze sociali che hanno descritto la mafia quale soggetto alternativo alle istituzioni pubbliche, piuttosto che un meccanismo operante all’interno dello Stato, in un’ottica di sfruttamento delle relazioni e dei canali politico – istituzionali, per la realizzazione dei propri obiettivi.
Nel secondo capitolo analizzeremo il reato di voto di scambio politico - mafioso fin dalla sua prima introduzione con l’art. 416 ter c.p. mediante il d.l. n. 306 del 8 giugno 1992 (c.d. decreto Scotti – Martelli) convertito con modifiche nella legge n. 356 del 7 agosto 1992, esaminando il contesto storico, sociale e politico che lo ha generato e le singole componenti costitutive. È in concomitanza con i più gravi fatti di sangue che la legislazione antimafia ha ricevuto la spinta necessaria per l’inquadramento giuridico delle principali fattispecie delittuose. Dall’omicidio di Pio Della Torre e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa alle stragi di Capaci e via D’Amelio, il legislatore ha introdotto una serie di norme, tra le quali quella oggetto della presente trattazione, fortemente simboliche ma dotate di scarsa efficacia sul piano repressivo, e per le quali il dibattito interpretativo è ancora aperto e attuale. Ci soffermeremo in particolare sulle modalità caratterizzanti l’intimidazione mafiosa ritenute poco conciliabili con il concetto “sinallagmatico” dell’accordo, nonché sulle lacune che hanno reso la norma di difficile interpretazione e applicazione, dando vita a pareri discordanti in dottrina a partire dalla ratio della stessa fattispecie.
Nel terzo capitolo esamineremo il rapporto tra l’originaria formulazione del reato di voto di scambio elettorale e altre fattispecie penali applicabili a fenomeni analoghi ed individuabili sostanzialmente nei reati di partecipazione mafiosa, di corruzione elettorale ex art. 96 e 97 del D.P.R. 361/57, mettendo in evidenza la difficoltà di focalizzare uno spazio applicativo autonomo dell’art. 416 ter c.p. rispetto a queste figure delittuose.
Il quarto capitolo si pone l’obiettivo di analizzare i rapporti tra il reato di scambio elettorale politico - mafioso e il concorso esterno di cui al combinato disposto degli artt. 110 e 416 bis c.p., con particolare riguardo a quelle lacune che hanno influito negativamente sul rapporto tra le due ipotesi delittuose e sulle motivazioni che hanno indotto il potere giudiziario a trovare in maniera autonoma e creativa una risposta adeguata e appagante. Lo studio del contesto sociale, dei numerosi scandali politici e l’interesse mediatico costituiranno l’imprescindibile retroterra di tale analisi.
Nel quinto capitolo affronteremo l’intervento riformatore dell’art. 416 ter c.p., mediante la legge n. 64 del 17 aprile 2014, giunto dopo quattrocento giorni di discussione, quattro letture delle Camere, molteplici emendamenti contrastanti e una seduta di lavori parlamentari particolarmente accesa. Tenteremo di far luce sulle motivazioni che hanno sostenuto l’intento del legislatore, con particolare riguardo a quel rinnovato interesse dell’opinione pubblica verso disposizioni a tutela della regolarità delle competizioni elettorali, e a garanzia della libertà di voto. Ripercorreremo le principali modifiche apportate al novellato reato di scambio, onde valutarne l’adeguatezza in ordine al soddisfacimento di quelle istanze repressive del tutto disattese dalla precedente formulazione, affrontando le questioni di diritto intertemporale e le prime applicazioni giurisprudenziali, anche alla luce del nuovo requisito del metodo mafioso.
Nel sesto capitolo cercheremo di confrontare il riformato reato di scambio elettorale , con le altre fattispecie riconducibili all’area della contiguità politico – mafiosa, tentando di comprendere se e in che modo le modifiche apportate abbiano consentito di tracciare un confine più netto tra le varie ipotesi delittuose, anche sotto il profilo costituzionale.
Nel settimo capitolo affronteremo l’ultimo intervento riformistico del reato di scambio elettorale. Con la legge 21 maggio 2019, n. 43, recante “Modifica all’articolo 416-ter del codice penale in materia di voto di scambio politico-mafioso”, è stata varata l’ennesima riforma dell’art. 416 ter c.p. nel giro di appena un lustro.
Numerose sono le modifiche apportate alla disciplina pregressa, tanto sul versante del precetto primario e, quindi, della condotta penalmente rilevante, tanto su quello del precetto secondario e, dunque, della dosimetria sanzionatoria.
L’obiettivo è ancora una volta, come emerso già nell’intervento del 2017, l’inasprimento della risposta punitiva nei confronti di un fenomeno di elevato allarme sociale qual è la contiguità politico-mafiosa di tipo elettorale e, soprattutto, la facile aggregazione di consensi attorno a leggi che incidono su fatti diffusamente disapprovati dalla collettività, ma senza generare oneri economici a carico dello Stato.
Tuttavia, come molte novelle normative dotate di valenza simbolico-espressiva, nessuno dei cambiamenti realizzati appare convincente. Anzi, come si vedrà, alcuni risultano del tutto irrilevanti, altri, invece, assolutamente irrazionali.
L’ultima parte è dedicata all’analisi del d.lgs. n.159 del 6 settembre 2011 (c.d. Codice antimafia) con particolare riguardo alle disposizioni sul divieto di propaganda elettorale (cd. legge Lazzati). Le logiche emergenziali che hanno contraddistinto le principali misure antimafia non hanno condizionato in alcun modo tale intervento legislativo, che resta tuttavia legato a un forte simbolismo. Nodo centrale della trattazione è il concetto di propaganda elettorale e il suo divieto a carico dei sorvegliati speciali, sia nell’originaria formulazione che nel testo licenziato dal Parlamento.
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