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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-06242018-210550


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
CANOZZI, ANDREA
URN
etd-06242018-210550
Titolo
Ottimizzazione della terapia di mantenimento dopo il trattamento di prima linea con FOLFOXIRI e bevacizumab in pazienti affetti da carcinoma colorettale metastatico: esiste un ruolo per la chemioterapia metronomica? I risultati dello studio di fase II randomizzato MOMA
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Falcone, Alfredo
correlatore Dott.ssa Cremolini, Chiara
Parole chiave
  • bevacizumab
  • carcinoma colorettale metastatico (mCRC)
  • chemioterapia metronomica
  • colon
  • colon-retto
  • FOLFOXIRI
  • mantenimento
  • mCT
  • metastasi
  • oncologia
  • tumore
Data inizio appello
17/07/2018
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
17/07/2088
Riassunto
La prognosi dei pazienti con tumore colorettale metastatico (mCRC) è migliorata negli ultimi anni, grazie al panorama sempre più ampio di farmaci a disposizione e all’integrazione delle terapie sistemiche con procedure locoregionali (chirurgia, radioterapia, radiofrequenze), nell’ambito di una valutazione multidisciplinare del paziente.
Al momento, il passo cruciale nella gestione di questi pazienti è rappresentato dalla scelta della “miglior intensità della chemioterapia” per ciascun paziente, basata sull’utilizzo di fluoropirimidine, sia orali che endovenose, e dei citotossici convenzionali oxaliplatino e irinotecano, oltre che del "miglior farmaco biologico" tra quelli disponibili: gli anticorpi monoclonali anti-EGFR, cetuximab e panitumumab, utilizzabili solo nei pazienti con tumori RAS wild-type, e l’antiangiogenico bevacizumab. La combinazione di una doppietta di chemioterapici (FOLFOX o FOLFIRI) e di un farmaco biologico viene ritenuta un’opzione standard per la maggior parte dei pazienti. Tuttavia, sulla base dei risultati di recenti studi randomizzati, una nuova opzione terapeutica più intensiva, l’associazione della tripletta di chemioterapia FOLFOXIRI con l’antiangiogenico bevacizumab, è oggi un’opzione riconosciuta da tutte le line guida nazionali e nazionali per pazienti selezionati. Sul versante opposto dello spettro di intensità della chemioterapia, nei pazienti unfit per trattamenti di combinazione, è possibile optare per la monochemioterapia con fluoropirimidine in associazione, quando possibile, al bevacizumab, anticorpo monoclonale anti-VEGF la cui efficacia è stata dimostrata in associazione a tutte le possibili combinazioni di chemioterapia di diversa intensità (dalla monoterapia alla tripletta).
Dopo un periodo di terapia di induzione, la cui durata ottimale è oggi identificata tra i 4 e i 6 mesi, è possibile depotenziare il trattamento, passando alla cosiddetta terapia di mantenimento, con l’obiettivo di consolidare i risultati ottenuti durante il trattamento di induzione, mantenendone l’effetto per lungo tempo, limitando allo stesso tempo gli effetti collaterali della terapia.
Dopo una fase di chemioterapia di induzione contenente bevacizumab, il trattamento di mantenimento con il farmaco biologico in associazione a una fluoropirimidina ha dimostrato di fornire un vantaggio significativo in termini di sopravvivenza libera da progressione e meno marcati in OS rispetto ad offrire una vacanza terapeutica ai pazienti.
Nel medesimo scenario si può inserire il ruolo della chemioterapia metronomica (metroCT), ovvero la continua somministrazione di basse dosi di farmaci antineoplastici senza periodi di interruzione, che presenta ottimi profili di tossicità e azione nell’inibizione dell’angiogenesi, con un possibile sinergismo con gli agenti antiangionetici come suggerito da esperienze precliniche.
Sulla base di queste osservazioni, la chemioterapia metronomica potrebbe massimizzare l’effetto anti-angiogenetico del bevacizumab, rappresentando un’opzione efficace per la terapia di mantenimento nel paziente mCRC trattato con una chemioterapia di induzione di prima linea.
Lo studio randomizzato di fase II MOMA nasce con lo scopo di confrontare due diverse strategie di mantenimento (bevacizumab in monoterapia o in associazione a terapia metronomica con ciclofosfamide e capecitabina) in termini di sopravvivenza libera da progressione (PFS, endpoint primario dello studio) in pazienti con mCRC non resecabili trattati in prima linea con una terapia di induzione di 4 mesi di FOLFOXIRI più bevacizumab.
I 232 pazienti inclusi nello studio MOMA, provenienti da 16 centri italiani, con un’età compresa fra 18 e 75 anni, non precedentemente trattati per la malattia metastatica, sono stati randomizzati rispettivamente a ricevere FOLFOXIRI più bevacizumab per 8 cicli e a seguire trattamento di mantenimento con solo bevacizumab (braccio A) o la stessa terapia di induzione seguita da terapia di mantenimento con metroCT (capecitabina 500mg/die e ciclofosfamide 50mg/die per os) piu bevacizumab (braccio B).
Nella popolazione generale, vi era alta frequenza di pazienti con metastasi sincrone (82%), il 31% dei pazienti aveva malattia limitata al fegato e vi era un’elevata percentuale di pazienti con tumori con mutazioni a carico dei geni RAS e BRAF (65% e 9% rispettivamente).
Lo studio MOMA non ha raggiunto l’endpoint primario, poiché l’aggiunta della terapia metronomica alla terapia di mantenimento con bevacizumab non ha determinato incremento in termini di PFS. Non è stata evidenziata nessuna differenza tra i due bracci nemmeno in termini di OS.
I dati di attività della fase di induzione, comune a entrambi i bracci, confermano l’elevato tasso di risposte obiettive (63%) e di resezioni secondarie a intento curativo (25%), soprattutto nei pazienti con malattia limitata al fegato (49%), già riportati nelle altre esperienze con FOLFOXIRI e bevacizumab, e qui confermati in una popolazione prognosticamente sfavorita dall’elevata frequenza di tumori RAS e BRAF mutati e con una inferiore durata (4 anziché 6 mesi) del trattamento intensivo.
I dati di sicurezza confermano che la tripletta più bevacizumab è fattibile, con un profilo di tossicità sovrapponibile a quello atteso in termini di tossicità gastrointestinale (diarrea, mucosite) ed ematologica (neutropenia e neutropenia febbrile).
Nella fase di mantenimento le tossicità di grado 3 e 4 riportate sono state rare, con una più alta incidenza di sindrome mano-piede nel braccio con metroCT e bevazizumab rispetto al braccio trattato con solo bevacizumab.
In conclusione, alla luce dei risultati dello studio MOMA, non cambia l’indicazione attualmente raccomandata sulla base dei risultati degli studi di fase III randomizzati che hanno indagato il ruolo del mantenimento con bevacizumab associato alle fluoropirimidine: la miglior opzione di terapia di mantenimento, dopo un trattamento di induzione contenente bevacizumab, rimane l’associazione di quest’ultimo con fluoropirimidine a dosi piene.
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