Tesi etd-06232019-233719 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
MICHELUCCI, ALESSANDRA
URN
etd-06232019-233719
Titolo
Analisi di metilazione del DNA mitocondriale nella Malattia di Alzheimer
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Bonuccelli, Ubaldo
correlatore Dott. Baldacci, Filippo
correlatore Prof.ssa Migliore, Lucia
correlatore Dott. Baldacci, Filippo
correlatore Prof.ssa Migliore, Lucia
Parole chiave
- Alzheimer
- DNA
- Metilazione
Data inizio appello
16/07/2019
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
16/07/2089
Riassunto
La malattia di Alzheimer è una patologia neurodegenerativa e costituisce la causa del 65% dei casi di demenza. La sua incidenza tenderà ad aumentare per l’innalzamento dell’età media della popolazione, ma già al giorno d’oggi può essere considerata una delle più diffuse cause di disabilità fra gli ultrasessantacinquenni.
La diagnosi di certezza di MA è ottenibile solo con studi post mortem del tessuto cerebrale, capaci di identificare la deposizione di placche amiloidi a livello extracellulare e di grovigli neurofibrillari a livello intracellulare. Nonostante questo, è possibile effettuare una diagnosi clinica di probabilità anche in vivo, mediante i criteri proposti dall’ International Working Group (IWG). Secondo questi criteri la diagnosi di MA può essere posta qualora il fattore clinico, rappresentato dal disturbo di memoria episodica, si associ ad un biomarcatore fisiopatologico, sia esso liquorale o di neuroimaging. Le alterazioni liquorali sono costituite da una riduzione del peptide Aβ42, un aumento di proteina Tau fosforilata (p-Tau) e di proteina Tau totale (t-Tau). Le alterazioni di neuroimaging invece sono evidenziabili mediante il riscontro di elevati valori di depositi cerebrali di β amiloide alla PET cerebrale con tracciante per β-amiloide.
La patogenesi della MA non è ancora pienamente nota. Per l’insorgenza delle forme ad esordio tardivo, è fondamentale il contributo fornito sia da fattori ambientali sia da fattori genetici. Più recentemente, però, si è cominciata a porre l’attenzione sull’epigenetica e sul ruolo che questa potrebbe svolgere nella patogenesi delle malattie neurodegenerative e, più specificatamente, nella MA. L’epigenetica è infatti una branca della biologia molecolare che si occupa delle modificazioni ereditabili dell’espressione genica sotto la spinta di fattori ambientali. Questi ultimi sono capaci di agire sul fenotipo senza che vi siano alterazioni del genotipo, ovvero della sequenza stessa del DNA. Si tratta di meccanismi reversibili dotati, quindi, di plasticità e dinamicità intrinseche. Tra i meccanismi epigenetici maggiormente studiati ed approfonditi vi è la metilazione del DNA. Quando quest’ultima coinvolge il promotore di un gene l’espressione genica dello stesso sarà soppressa. Ad oggi numerosi studi, condotti in modelli animali e in tessuti umani (SNC e sangue periferico) di individui con MA, hanno indicato che aberranti meccanismi epigenetici a livello del DNA nucleare sono coinvolti nella patogenesi della MA. Negli ultimi anni numerose evidenze hanno suggerito che anche disregolazioni dei meccanismi epigenetici a livello del DNA mitocondriale (mitoepigenetica) potrebbero contribuire alla patogenesi di diverse malattie complesse. Tuttavia, nonostante il fondamentale ruolo che i mitocondri ricoprono nella patogenesi delle malattie neurodegenerative, ad oggi pochi studi hanno investigato il possibile contributo di aberranti meccanismi mitoepigenetici nella patogenesi della MA.
Partendo da tali presupposti, è stato disegnato uno studio cross-sectional che confrontasse i livelli di metilazione di una regione del DNA mitocondriale denominata D-loop, che regola sia la trascrizione che la replicazione del mtDNA, e il numero di copie di mtDNA fra soggetti sani e soggetti con MA in diversi stadi di malattia. Lo scopo dello studio è triplice: 1) valutare la differenza nel grado di metilazione del mtDNA e nel numero di copie di mtDNA in campioni di sangue periferico di soggetti affetti da MA rispetto a controlli sani; 2) valutare la differenza nel grado di metilazione del mtDNA e nel numero di copie di mtDNA tra soggetti con MA in fase prodromica e soggetti con MA in stadio di demenza; 3) valutare l’associazione tra il grado di metilazione del mtDNA, il numero di copie di mtDNA, i parametri biochimici e clinici della MA.
Lo studio comprende 29 pazienti con MA e 32 controlli sani, matchati per età e sesso. L’età dei pazienti con MA è di 70.7 ± 2.1 anni, quella dei controlli è di 73.2 ± 1.3 anni. Il rapporto tra femmine e maschi (F/M) dei pazienti con MA è 18/11, quello dei controlli è 19/13. I pazienti con MA sono stati diagnosticati non solo clinicamente, ma anche mediante la presenza di biomarcatori molecolari e di imaging, secondo i recenti criteri diagnostici IWG-2. Tutti i soggetti con MA reclutati risultano positivi per i biomarcatori del liquido cefalorachidiano (con valori di cut-off per la t-tau >275 pg/ml, per la p- tau >60 pg/ml, per l’Aβ1-42 < 600pg/ml) e/o per la PET amiloide effettuata a livello corticale. I nostri pazienti con MA sono per lo più in fase di demenza lieve o addirittura prodromica, ovvero “mild cognitive impairment due to AD” (MCI due to AD). Il sospetto di altre demenze è stato considerato un criterio di esclusione dallo studio. Il livello di metilazione del DNA è stato studiato mediante la tecnica Methylation Sensitive-High Resolution Melting (MS-HRM); il numero di copie di mtDNA è stato valutato mediante la PCR quantitativa.
Il primo obiettivo dello studio è stato quello di valutare la differenza nel grado di metilazione del mtDNA e nel numero di copie di mtDNA fra soggetti con MA e soggetti sani ed è stato evidenziato un più alto livello di metilazione nel primo gruppo (5.84 ± 0.82 %) rispetto al secondo (3.11 ± 0.79 %) (P=0.03). La valutazione del numero di copie di mtDNA ha mostrato come non ci siano differenze fra il gruppo controllo (N=137.84 ± 10.14) e il gruppo di soggetti con MA (N=137.00 ± 10.48 )(P=0.42). Il secondo obiettivo si è invece concentrato sulla differenza nel grado di metilazione di mtDNA tra soggetti con MA in stadio di demenza e soggetti con MA in fase prodromica, ed ha mostrato come i pazienti con MA in fase prodromica siano caratterizzati da livelli di metilazione del D-loop maggiori (7.55 ± 1.39 %) rispetto ai soggetti con MA in fase di demenza (4.70 ± 1.30 %) (P=0,03). La valutazione del numero di copie di mtDNA non ha mostrato invece alcuna differenza significativa tra i soggetti con MA in stadio prodromico (N=126.25 ± 12.16) e quelli con MA in stadio di demenza (N=149.31 ± 11.37) (P= 0.32). Il terzo obiettivo ha valutato il rapporto tra metilazione del mtDNA, numero di copie di mtDNA e parametri clinici e biochimici, non ritrovando alcuna correlazione significativa. Una correlazione inversa è stata ritrovata fra il grado di metilazione del mtDNA e il numero di copie di mtDNA (r=-0.25; P=0.048).
In sintesi, abbiamo trovato che gli individui con MA hanno livelli di metilazione del D-loop maggiori rispetto ai controlli, che gli individui con MA prodromico (MCI) hanno un grado di metilazione del D-loop superiore rispetto ai soggetti con MA in fase di demenza, che vi è una correlazione inversa fra la metilazione del mtDNA e il numero di copie di mtDNA. Non ci sono correlazioni tra livelli di metilazione e parametri clinici e biochimici. Il ruolo della metilazione del mtDNA come marcatore dei diversi stadi della MA era stato suggerito in passato solo da due studi, di cui uno effettuato sul tessuto cerebrale di soggetti affetti da MA post mortem e l’altro sul sangue di soggetti con MA in vita. Il primo mostra come i livelli di metilazione siano più alti in soggetti con MA, soprattutto in quelli in stadi inferiori di demenza. Tuttavia questo studio pionieristico presenta il grande limite di valutare solo il risultato finale del processo neurodegenerativo, che non necessariamente riflette il meccanismo che ne sta alla base. Il secondo studio, confrontando soggetti con MA e controlli sani, evidenzia come i livelli di metilazione siano inferiori nel gruppo dei soggetti con MA. Tali risultati sono quindi in contrasto con il nostro studio. Le differenze vanno ricercate probabilmente nelle diverse popolazioni valutate. Nel nostro studio la maggior parte degli individui appartiene allo stadio prodromico di malattia, diversamente da quello precedente in cui i pazienti con MA erano per lo più in fasi avanzate di malattia. Sebbene non sia noto il motivo che sta alla base di questa differenza di metilazione fra MA in stadio prodromico e MA in stadio di demenza, si potrebbero avanzare alcune ipotesi. La metilazione del mtDNA potrebbe essere causa o conseguenza del processo neurodegenerativo. Nel primo caso, l’aumentata metilazione del D-loop nei soggetti con MCI silenzierebbe geni mitocondriali con conseguente disfunzione del mitocondrio ed aumento dei ROS (radicali liberi dell’ossigeno), il cui ruolo nella patogenesi della MA è ormai noto. Quindi, trovare una differenza nel grado di metilazione tra MCI e MA in stadio di demenza rivestirebbe un potenziale ruolo terapeutico. Si potrebbe disegnare uno studio farmacologico che moduli i meccanismi epigenetici, riducendo la metilazione del mtDNA. Nel secondo caso invece, l’aumentata metilazione del D-loop nei soggetti con MCI sarebbe una strategia biologica cellulare di compenso, più evidente nel MCI, con tendenza a ridursi durante la progressione del disturbo cognitivo verso lo stadio di demenza. In questo caso, la maggiore metilazione del D-loop silenzierebbe l’espressione genica, contrastando la produzione di proteine aberranti e la disfunzione mitocondriale, con produzione di ROS ed evoluzione della malattia. Se così fosse, una differenza nel grado di metilazione tra MCI e MA in stadio di demenza potrebbe aiutare, affiancata da altri biomarcatori molecolari, nella diagnosi precoce del soggetto con MCI.
La correlazione inversa fra metilazione del mtDNA e numero di copie di mtDNA osservata, la quale suggerisce che un aumento della metilazione del D-loop comporti una riduzione della replicazione mitocondriale, è coerente con quanto riportato da studi precedenti.
Tuttavia, il nostro studio presenta alcuni limiti. Innanzitutto, la numerosità del campione è relativamente bassa e si tratta di uno studio cross-sectional. Infatti, non sono ancora disponibili dati longitudinali, soprattutto per quanto riguarda la progressione dei disturbi cognitivi e la trasformazione degli individui con MA in fase prodromica in pazienti con MA in stadio di demenza. Un ulteriore limite risiede nel mancato confronto con altre demenze e malattie neurodegenerative, al fine di capire se il diverso livello di metilazione nella MA rispetto ai controlli sia specifico della MA stessa o se invece sia correlabile al processo neurodegenerativo nell’accezione più ampia del termine. Inoltre, dati gli innumerevoli studi epigenetici effettuati sul nDNA e i più recenti studi sul mtDNA, sarebbe interessante valutare l’eventuale relazione intercorrente tra le modifiche epigenetiche del DNA nucleare e quelle del DNA mitocondriale.
La diagnosi di certezza di MA è ottenibile solo con studi post mortem del tessuto cerebrale, capaci di identificare la deposizione di placche amiloidi a livello extracellulare e di grovigli neurofibrillari a livello intracellulare. Nonostante questo, è possibile effettuare una diagnosi clinica di probabilità anche in vivo, mediante i criteri proposti dall’ International Working Group (IWG). Secondo questi criteri la diagnosi di MA può essere posta qualora il fattore clinico, rappresentato dal disturbo di memoria episodica, si associ ad un biomarcatore fisiopatologico, sia esso liquorale o di neuroimaging. Le alterazioni liquorali sono costituite da una riduzione del peptide Aβ42, un aumento di proteina Tau fosforilata (p-Tau) e di proteina Tau totale (t-Tau). Le alterazioni di neuroimaging invece sono evidenziabili mediante il riscontro di elevati valori di depositi cerebrali di β amiloide alla PET cerebrale con tracciante per β-amiloide.
La patogenesi della MA non è ancora pienamente nota. Per l’insorgenza delle forme ad esordio tardivo, è fondamentale il contributo fornito sia da fattori ambientali sia da fattori genetici. Più recentemente, però, si è cominciata a porre l’attenzione sull’epigenetica e sul ruolo che questa potrebbe svolgere nella patogenesi delle malattie neurodegenerative e, più specificatamente, nella MA. L’epigenetica è infatti una branca della biologia molecolare che si occupa delle modificazioni ereditabili dell’espressione genica sotto la spinta di fattori ambientali. Questi ultimi sono capaci di agire sul fenotipo senza che vi siano alterazioni del genotipo, ovvero della sequenza stessa del DNA. Si tratta di meccanismi reversibili dotati, quindi, di plasticità e dinamicità intrinseche. Tra i meccanismi epigenetici maggiormente studiati ed approfonditi vi è la metilazione del DNA. Quando quest’ultima coinvolge il promotore di un gene l’espressione genica dello stesso sarà soppressa. Ad oggi numerosi studi, condotti in modelli animali e in tessuti umani (SNC e sangue periferico) di individui con MA, hanno indicato che aberranti meccanismi epigenetici a livello del DNA nucleare sono coinvolti nella patogenesi della MA. Negli ultimi anni numerose evidenze hanno suggerito che anche disregolazioni dei meccanismi epigenetici a livello del DNA mitocondriale (mitoepigenetica) potrebbero contribuire alla patogenesi di diverse malattie complesse. Tuttavia, nonostante il fondamentale ruolo che i mitocondri ricoprono nella patogenesi delle malattie neurodegenerative, ad oggi pochi studi hanno investigato il possibile contributo di aberranti meccanismi mitoepigenetici nella patogenesi della MA.
Partendo da tali presupposti, è stato disegnato uno studio cross-sectional che confrontasse i livelli di metilazione di una regione del DNA mitocondriale denominata D-loop, che regola sia la trascrizione che la replicazione del mtDNA, e il numero di copie di mtDNA fra soggetti sani e soggetti con MA in diversi stadi di malattia. Lo scopo dello studio è triplice: 1) valutare la differenza nel grado di metilazione del mtDNA e nel numero di copie di mtDNA in campioni di sangue periferico di soggetti affetti da MA rispetto a controlli sani; 2) valutare la differenza nel grado di metilazione del mtDNA e nel numero di copie di mtDNA tra soggetti con MA in fase prodromica e soggetti con MA in stadio di demenza; 3) valutare l’associazione tra il grado di metilazione del mtDNA, il numero di copie di mtDNA, i parametri biochimici e clinici della MA.
Lo studio comprende 29 pazienti con MA e 32 controlli sani, matchati per età e sesso. L’età dei pazienti con MA è di 70.7 ± 2.1 anni, quella dei controlli è di 73.2 ± 1.3 anni. Il rapporto tra femmine e maschi (F/M) dei pazienti con MA è 18/11, quello dei controlli è 19/13. I pazienti con MA sono stati diagnosticati non solo clinicamente, ma anche mediante la presenza di biomarcatori molecolari e di imaging, secondo i recenti criteri diagnostici IWG-2. Tutti i soggetti con MA reclutati risultano positivi per i biomarcatori del liquido cefalorachidiano (con valori di cut-off per la t-tau >275 pg/ml, per la p- tau >60 pg/ml, per l’Aβ1-42 < 600pg/ml) e/o per la PET amiloide effettuata a livello corticale. I nostri pazienti con MA sono per lo più in fase di demenza lieve o addirittura prodromica, ovvero “mild cognitive impairment due to AD” (MCI due to AD). Il sospetto di altre demenze è stato considerato un criterio di esclusione dallo studio. Il livello di metilazione del DNA è stato studiato mediante la tecnica Methylation Sensitive-High Resolution Melting (MS-HRM); il numero di copie di mtDNA è stato valutato mediante la PCR quantitativa.
Il primo obiettivo dello studio è stato quello di valutare la differenza nel grado di metilazione del mtDNA e nel numero di copie di mtDNA fra soggetti con MA e soggetti sani ed è stato evidenziato un più alto livello di metilazione nel primo gruppo (5.84 ± 0.82 %) rispetto al secondo (3.11 ± 0.79 %) (P=0.03). La valutazione del numero di copie di mtDNA ha mostrato come non ci siano differenze fra il gruppo controllo (N=137.84 ± 10.14) e il gruppo di soggetti con MA (N=137.00 ± 10.48 )(P=0.42). Il secondo obiettivo si è invece concentrato sulla differenza nel grado di metilazione di mtDNA tra soggetti con MA in stadio di demenza e soggetti con MA in fase prodromica, ed ha mostrato come i pazienti con MA in fase prodromica siano caratterizzati da livelli di metilazione del D-loop maggiori (7.55 ± 1.39 %) rispetto ai soggetti con MA in fase di demenza (4.70 ± 1.30 %) (P=0,03). La valutazione del numero di copie di mtDNA non ha mostrato invece alcuna differenza significativa tra i soggetti con MA in stadio prodromico (N=126.25 ± 12.16) e quelli con MA in stadio di demenza (N=149.31 ± 11.37) (P= 0.32). Il terzo obiettivo ha valutato il rapporto tra metilazione del mtDNA, numero di copie di mtDNA e parametri clinici e biochimici, non ritrovando alcuna correlazione significativa. Una correlazione inversa è stata ritrovata fra il grado di metilazione del mtDNA e il numero di copie di mtDNA (r=-0.25; P=0.048).
In sintesi, abbiamo trovato che gli individui con MA hanno livelli di metilazione del D-loop maggiori rispetto ai controlli, che gli individui con MA prodromico (MCI) hanno un grado di metilazione del D-loop superiore rispetto ai soggetti con MA in fase di demenza, che vi è una correlazione inversa fra la metilazione del mtDNA e il numero di copie di mtDNA. Non ci sono correlazioni tra livelli di metilazione e parametri clinici e biochimici. Il ruolo della metilazione del mtDNA come marcatore dei diversi stadi della MA era stato suggerito in passato solo da due studi, di cui uno effettuato sul tessuto cerebrale di soggetti affetti da MA post mortem e l’altro sul sangue di soggetti con MA in vita. Il primo mostra come i livelli di metilazione siano più alti in soggetti con MA, soprattutto in quelli in stadi inferiori di demenza. Tuttavia questo studio pionieristico presenta il grande limite di valutare solo il risultato finale del processo neurodegenerativo, che non necessariamente riflette il meccanismo che ne sta alla base. Il secondo studio, confrontando soggetti con MA e controlli sani, evidenzia come i livelli di metilazione siano inferiori nel gruppo dei soggetti con MA. Tali risultati sono quindi in contrasto con il nostro studio. Le differenze vanno ricercate probabilmente nelle diverse popolazioni valutate. Nel nostro studio la maggior parte degli individui appartiene allo stadio prodromico di malattia, diversamente da quello precedente in cui i pazienti con MA erano per lo più in fasi avanzate di malattia. Sebbene non sia noto il motivo che sta alla base di questa differenza di metilazione fra MA in stadio prodromico e MA in stadio di demenza, si potrebbero avanzare alcune ipotesi. La metilazione del mtDNA potrebbe essere causa o conseguenza del processo neurodegenerativo. Nel primo caso, l’aumentata metilazione del D-loop nei soggetti con MCI silenzierebbe geni mitocondriali con conseguente disfunzione del mitocondrio ed aumento dei ROS (radicali liberi dell’ossigeno), il cui ruolo nella patogenesi della MA è ormai noto. Quindi, trovare una differenza nel grado di metilazione tra MCI e MA in stadio di demenza rivestirebbe un potenziale ruolo terapeutico. Si potrebbe disegnare uno studio farmacologico che moduli i meccanismi epigenetici, riducendo la metilazione del mtDNA. Nel secondo caso invece, l’aumentata metilazione del D-loop nei soggetti con MCI sarebbe una strategia biologica cellulare di compenso, più evidente nel MCI, con tendenza a ridursi durante la progressione del disturbo cognitivo verso lo stadio di demenza. In questo caso, la maggiore metilazione del D-loop silenzierebbe l’espressione genica, contrastando la produzione di proteine aberranti e la disfunzione mitocondriale, con produzione di ROS ed evoluzione della malattia. Se così fosse, una differenza nel grado di metilazione tra MCI e MA in stadio di demenza potrebbe aiutare, affiancata da altri biomarcatori molecolari, nella diagnosi precoce del soggetto con MCI.
La correlazione inversa fra metilazione del mtDNA e numero di copie di mtDNA osservata, la quale suggerisce che un aumento della metilazione del D-loop comporti una riduzione della replicazione mitocondriale, è coerente con quanto riportato da studi precedenti.
Tuttavia, il nostro studio presenta alcuni limiti. Innanzitutto, la numerosità del campione è relativamente bassa e si tratta di uno studio cross-sectional. Infatti, non sono ancora disponibili dati longitudinali, soprattutto per quanto riguarda la progressione dei disturbi cognitivi e la trasformazione degli individui con MA in fase prodromica in pazienti con MA in stadio di demenza. Un ulteriore limite risiede nel mancato confronto con altre demenze e malattie neurodegenerative, al fine di capire se il diverso livello di metilazione nella MA rispetto ai controlli sia specifico della MA stessa o se invece sia correlabile al processo neurodegenerativo nell’accezione più ampia del termine. Inoltre, dati gli innumerevoli studi epigenetici effettuati sul nDNA e i più recenti studi sul mtDNA, sarebbe interessante valutare l’eventuale relazione intercorrente tra le modifiche epigenetiche del DNA nucleare e quelle del DNA mitocondriale.
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