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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-06232018-160102


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
ROCCHI, RACHELE
URN
etd-06232018-160102
Titolo
La combinazione di chemioterapia e Bevacizumab nel trattamento del carcinoma ovarico avanzato: analisi delle recidive e dei fattori prognostici
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Gadducci, Angiolo
Parole chiave
  • Bevacizumab
  • BRCA
  • carcinoma ovarico
Data inizio appello
17/07/2018
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il carcinoma ovarico rappresenta la patologia maligna con il più alto tasso di mortalità nelle donne e costituisce la quinta causa di morte per tumore nella donna e la prima per patologia oncologica nella sfera ginecologica. Nella popolazione generale il rischio di sviluppare un carcinoma ovarico è dell’1,8%, ma sale al 20-60% in coloro che presentano mutazione dei geni BRCA 1 e BRCA 2.
L’attuale standard di trattamento per la malattia avanzata consiste nell’approccio chirurgico primario con intento citoriduttivo “ottimale”, inteso come l’asportazione di tutte le localizzazioni di malattia macroscopicamente apprezzabili, seguito da una chemioterapia a base di platino e di Paclitaxel; tale trattamento è capace di raggiungere una percentuale di risposta clinica completa di circa il 50%, una percentuale di risposta patologica completa del 25-50%, una sopravvivenza libera da progressione di 15,5-22 mesi e una sopravvivenza globale di 31-44 mesi. Circa il 75% delle risposte cliniche complete e il 50% delle risposte patologiche complete ricadranno dopo un intervallo mediano di 18-24 mesi. Sebbene il carcinoma ovarico epiteliale sia una malattia chemiosensibile, cloni cellulari resistenti si sviluppano nella gran parte dei casi, spiegandone la cattiva prognosi. Infatti, negli ultimi 20 anni si è ottenuto solo un modesto miglioramento della sopravvivenza globale a 5 anni, che tuttora si assesta al 30% per le neoplasie ovariche di stadio avanzato.
Obiettivi della tesi sono stati:
i. L’analisi della sopravvivenza libera da progressione (Progression-Free Survival, PFS) e della sopravvivenza globale (Overall Survival, OS) nelle pazienti con carcinoma ovarico avanzato di alto grado con i fattori prognostici clinici, patologici e biologici;
ii. Lo studio del comportamento clinico del carcinoma ovarico recidivante in funzione dell’utilizzo o meno del Bevacizumab nel trattamento di prima linea e dello stato mutazionale del BRCA germinale [gBRCA].
Dall’analisi di 171 pazienti con carcinoma ovarico in stadio avanzato di alto grado sottoposte a chirurgia citoriduttiva primaria, seguita da chemioterapia a base di Carboplatino e Taxolo e seguite con follow-up periodico presso il Servizio di Ginecologia Oncologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana tra il Gennaio 2004 e il Giugno 2018, è emerso che la PFS a 2 anni e a 5 anni era 51,3% e 19,2%, rispettivamente, e la OS a 2 anni e a 5 anni era 92,5% e 63,1%, rispettivamente. La malattia residua dopo chirurgia, la presenza di ascite alla diagnosi e la risposta clinica al trattamento di prima linea correlano significativamente sia con la PFS sia con la OS.
Per quanto riguarda il Bevacizumab in prima linea, le percentuali di risposta completa al trattamento primario sono significativamente maggiori (90,3% versus 75,2%, p=0,0163) e le percentuali di ripresa di malattia nelle complete responders sono significativamente minori (48,2% versus 78,0%, p=0,0005) nelle pazienti che hanno ricevuto questo farmaco rispetto a quelle che non lo hanno ricevuto. Tuttavia analizzando le complete responders andate incontro successivamente a ripresa di malattia, abbiamo osservato un trend ad una peggior sopravvivenza dopo la recidiva nelle pazienti che avevano ricevuto il Bevacizumab in prima linea rispetto a quelle non trattate con questo farmaco (sopravvivenze mediane 35,3 mesi versus 58,3 mesi, rispettivamente).
Le pazienti che hanno ricevuto l’antiangiogenico come terapia di mantenimento hanno mostrato un trend ad una migliore PFS a 2 anni (si versus no: 66,3% vs 43,9%, p=0,074), senza alcun vantaggio in termini di OS. Ulteriori studi sono necessari per verificare se il comportamento biologico della ripresa di malattia è diverso nelle pazienti trattate con il Bevacizumab rispetto a quelle non trattate con questo anticorpo monoclonale e se questo può, almeno in parte, spiegare l’apparente assenza di beneficio in termini di OS dell’aggiunta del Bevacizumab alla chemioterapia.
Infine, da recenti studi è emerso che le pazienti affette da carcinoma ovarico che presentano una mutazione del gBRCA abbiano un comportamento clinico più favorevole. In accordo con i dati della letteratura, dall’analisi delle 96 pazienti sottoposte a test per gBRCA, è risultato che le pazienti con gBRCA mutato sviluppano una più bassa incidenza di platino-resistenza (24,3% versus 42,4%) che inoltre insorge dopo un più lungo intervallo di tempo (45,4 mesi versus 26,0 mesi, p=0,0831) rispetto a quelle con BRCA wild-type. Le percentuali di risposta completa e le percentuali di ripresa di malattia nelle complete responders non correlano con lo stato mutazionale di BRCA. Analizzando le complete responders andate incontro a ripresa di malattia, abbiamo riscontrato un trend ad una miglior sopravvivenza dopo la recidiva nelle pazienti mutate rispetto a quelle non mutate. Dal momento che il BRCA rappresenta sia un biomarker predittivo della sensibilità al trattamento con i PARP inibitori, con il platino e con altri farmaci, sia un biomarker prognostico dell’outcome clinico, le attuali linee guida consigliano di eseguire sistematicamente un test BRCA in tutte le pazienti che presentano un carcinoma ovarico epiteliale non mucinoso e non borderline al momento della diagnosi, in modo tale che queste informazioni siano disponibili tempestivamente per essere incluse nelle decisioni sulle successive strategie di trattamento ed anche nell’approccio ad una eventuale ricaduta.
I risultati insoddisfacenti ottenuti con il trattamento standard hanno incoraggiato la ricerca verso nuovi trattamenti attraverso la sperimentazione di diverse “targeted therapies” che possano essere usate anche come terapia di mantenimento, sia in prima che in seconda linea. Sono attualmente in corso studi randomizzati che tenteranno di rispondere a questo quesito (studi: SOLO-1, PAOLA-1, Imagyn 050).
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