Tesi etd-06232017-180221 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
SERRELI, LUIGI
URN
etd-06232017-180221
Titolo
"Bosniaco? Serbo geneticamente deforme". Gli effetti del patteggiamento negoziato nel processo di riconciliazione attraverso l'attivita' del Tpij. I casi Plavsic e Bralo.
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
STORIA E CIVILTA
Relatori
relatore Prof. Baldissara, Luca
controrelatore Dott. Fulvetti, Gianluca
controrelatore Dott. Fulvetti, Gianluca
Parole chiave
- bosniaco
- serbo
Data inizio appello
25/09/2017
Consultabilità
Completa
Riassunto
La storia della giustizia internazionale e, più in generale, della giustizia di transizione. Questo lavoro è stato pensato come un luogo di incontro tra la storia, il diritto e la politica; sonda ed analizza il percorso, talvolta contraddittorio e fragile di costruzione e consolidamento delle istituzioni giudiziarie internazionali. Ciò in termini retributivi nella logica di corti e tribunali, tipici di una forma tradizionale e occidentale della giustizia penale che sono stati costituiti per dare corpo e sostanza ad alcune idee del primo Ottocento: quelle della risoluzione pacifica dei conflitti tra Stati e poi della salvaguardia del rispetto dei diritti umani e della punibilità dei crimini contro l’umanità. Oppure, nella dialettica ricostruttiva delle Commissioni per la Verità e per la Riconciliazione di fine Novecento, attraverso le quali si è cercato di dare vita ad un prototipo procedurale che assicurasse innanzitutto le basi conoscitive per un’elaborazione del passato (verità), offrisse la possibilità di garantirsi la collaborazione del maggior numero di individui coinvolti per una ricostruzione efficace della memoria collettiva e ponesse le condizioni per una politica di riparazione dei torti (risarcimento).
Dopo la descrizione di alcuni significativi tentativi di avvicinamento compiuti nell’antichità, verranno esposte le tappe più significative di una storia recente, per scandire l’evoluzione del sistema internazionale di giustizia fino ai giorni nostri. Alla concezione classica, retributiva, di matrice occidentale delle dinamiche di elaborazione del passato si è tentato poi di accostare il senso alternato dell’evoluzione del sistema della giustizia di transizione. È il momento in cui si registra, con lo scetticismo che accompagna i primi passi dei Tribunali ad hoc (ICTY e ICTR) prima, e della ICC poi, l’avvio di un nuovo esperimento istituzionale che incede nella ricerca di altre vie, quella delle Commissioni per la Verità e la Riconciliazione o altri organi ibridi con funzioni para giudiziarie. L’altra faccia della medaglia, il recto della giustizia penale internazionale, che al paradigma retributivo processo-pena-espiazione contrappone l’archetipo ricostruttivo del risarcimento-verità-memoria, in una parola sola: riconciliazione.
La novità assoluta nelle forme di elaborazione del passato e di contenimento della “resa dei conti” giunge, inaspettata, proprio dall’area dei Balcani, nascosta tra le pieghe regolative di un’istituzione giudiziaria plasmata sul modello “retributivo”: il Tribunale Penale Internazionale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia (ICTY). In effetti, l’occasione fornita da due sentenze sottoposte ad analisi nel presente elaborato, evidenzia la svolta che il modello “retributivo” ha tentato di conferire al proprio rigido assetto classico-penalistico accostando e puntando con decisione la prua del diritto verso le acque calme della giustizia “riparativa”. Così, tra le righe delle ordinanze esaminate si accenna a termini come “riconciliazione”, “pacificazione”, sostantivi lontani dal rigore delle norme, ai quali la Corte comincia a fare esplicito riferimento. E poiché l’unica arma a disposizione dei collegi giudicanti è proprio la quantificazione della pena e la sua graduale determinazione, ne subordinano l’ampiezza dando vasto credito a questi criteri del tutto innovativi. È la miscellanea trasposizione di un effetto simbiotico tra legge e sentimento, tra diritto e prossimo che travalica le mura che cingono il processo, che vuole uscire al di fuori delle aule del Tribunale per diventare strumento efficace nel piano di ricostruzione politica e di educazione alla democrazia delle società balcaniche dilaniate da un terribile conflitto fratricida. Ma cosa rende possibile veicolare questi principi all’interno delle linee inflessibili e impermeabili del diritto occidentale?
È la spinta che risiede proprio nella innovativa applicazione di un istituto legale già esistente nei Paesi che si riconoscono in sistemi giudiziari di common law, di stampo anglo-sassone: il plea bargaining. Ma l’elemento di novità nell’amministrazione della giustizia nella ex Jugoslavia non alberga nella consolidata pratica legale della trattativa negoziata, di per sé già conosciuta ed ampiamente sperimentata. L’originalità del cambiamento prodotto nel “modello balcanico” del plea bargaining è racchiusa in quel frammento distintivo che va oltre l’accordo fra le parti, che travalica la pur necessaria dichiarazione di colpevolezza dell’imputato, che si spinge al di là del parere conforme del collegio giudicante. Per avere successo, l’esempio slavo chiama in causa e pretende la sussistenza di altre variabili ad hoc: passi di riconciliazione, atti di pacificazione, rimorso, pentimento, richieste di perdono. Ed è ciò che risalterà, nella sua disarmante ineluttabilità, dalla disamina delle ordinanze proposte.
Dopo la descrizione di alcuni significativi tentativi di avvicinamento compiuti nell’antichità, verranno esposte le tappe più significative di una storia recente, per scandire l’evoluzione del sistema internazionale di giustizia fino ai giorni nostri. Alla concezione classica, retributiva, di matrice occidentale delle dinamiche di elaborazione del passato si è tentato poi di accostare il senso alternato dell’evoluzione del sistema della giustizia di transizione. È il momento in cui si registra, con lo scetticismo che accompagna i primi passi dei Tribunali ad hoc (ICTY e ICTR) prima, e della ICC poi, l’avvio di un nuovo esperimento istituzionale che incede nella ricerca di altre vie, quella delle Commissioni per la Verità e la Riconciliazione o altri organi ibridi con funzioni para giudiziarie. L’altra faccia della medaglia, il recto della giustizia penale internazionale, che al paradigma retributivo processo-pena-espiazione contrappone l’archetipo ricostruttivo del risarcimento-verità-memoria, in una parola sola: riconciliazione.
La novità assoluta nelle forme di elaborazione del passato e di contenimento della “resa dei conti” giunge, inaspettata, proprio dall’area dei Balcani, nascosta tra le pieghe regolative di un’istituzione giudiziaria plasmata sul modello “retributivo”: il Tribunale Penale Internazionale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia (ICTY). In effetti, l’occasione fornita da due sentenze sottoposte ad analisi nel presente elaborato, evidenzia la svolta che il modello “retributivo” ha tentato di conferire al proprio rigido assetto classico-penalistico accostando e puntando con decisione la prua del diritto verso le acque calme della giustizia “riparativa”. Così, tra le righe delle ordinanze esaminate si accenna a termini come “riconciliazione”, “pacificazione”, sostantivi lontani dal rigore delle norme, ai quali la Corte comincia a fare esplicito riferimento. E poiché l’unica arma a disposizione dei collegi giudicanti è proprio la quantificazione della pena e la sua graduale determinazione, ne subordinano l’ampiezza dando vasto credito a questi criteri del tutto innovativi. È la miscellanea trasposizione di un effetto simbiotico tra legge e sentimento, tra diritto e prossimo che travalica le mura che cingono il processo, che vuole uscire al di fuori delle aule del Tribunale per diventare strumento efficace nel piano di ricostruzione politica e di educazione alla democrazia delle società balcaniche dilaniate da un terribile conflitto fratricida. Ma cosa rende possibile veicolare questi principi all’interno delle linee inflessibili e impermeabili del diritto occidentale?
È la spinta che risiede proprio nella innovativa applicazione di un istituto legale già esistente nei Paesi che si riconoscono in sistemi giudiziari di common law, di stampo anglo-sassone: il plea bargaining. Ma l’elemento di novità nell’amministrazione della giustizia nella ex Jugoslavia non alberga nella consolidata pratica legale della trattativa negoziata, di per sé già conosciuta ed ampiamente sperimentata. L’originalità del cambiamento prodotto nel “modello balcanico” del plea bargaining è racchiusa in quel frammento distintivo che va oltre l’accordo fra le parti, che travalica la pur necessaria dichiarazione di colpevolezza dell’imputato, che si spinge al di là del parere conforme del collegio giudicante. Per avere successo, l’esempio slavo chiama in causa e pretende la sussistenza di altre variabili ad hoc: passi di riconciliazione, atti di pacificazione, rimorso, pentimento, richieste di perdono. Ed è ciò che risalterà, nella sua disarmante ineluttabilità, dalla disamina delle ordinanze proposte.
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