Tesi etd-06202017-164741 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
BITTI, MARIO UMBERTO
URN
etd-06202017-164741
Titolo
L'interpretazione conforme a Costituzione tra Corte costituzionale e giudici comuni.
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Romboli, Roberto
Parole chiave
- Corte costituzionale
- Costituzione
- giudici comuni
- Interpretazione del diritto
Data inizio appello
17/07/2017
Consultabilità
Completa
Riassunto
L’interpretazione “conforme” o “adeguatrice” può essere definita come una forma di interpretazione giuridica, attraverso la quale si tenta di operare l’adeguamento del significato di un testo giuridico al significato di un altro testo giuridico, posto quest’ultimo in una relazione condizionante col primo. Questo adeguamento si rende necessario allo scopo di prevenire o evitare il contrasto tra i significati normativi ricavabili dai due testi, contrasto configurabile come antinomia (conflitto tra norme), situazione che impone, attraverso il ricorso ai cosiddetti “criteri di risoluzione delle antinomie” (cronologico, gerarchico, di specialità), di rimuovere una delle due norme.
L’interpretazione conforme, pertanto, può essere considerata una tipologia di interpretazione, ossia un procedimento di attribuzione di significato ad un testo, con il quale si tenta di comprendere il significato di quest’ultimo alla luce del significato espresso da un altro testo, allo scopo di prevenire l’“eliminazione” del primo dal mondo delle fonti del diritto, vale a dire evitarne la dichiarazione d’invalidità. L’interpretazione conforme viene definita, infatti, come <<duplex interpretatio>>, poiché presuppone l’interpretazione tanto del testo “condizionato”, quanto del testo “condizionante”.
La Corte costituzionale trovandosi nella situazione di dover confrontare le norme legislative con quelle costituzionali, al fine di valutare la conformità delle prime rispetto alle seconde, non può limitarsi ad interpretare il parametro del giudizio di costituzionalità, ossia le disposizioni costituzionali, ma deve fare altrettanto con l’oggetto del giudizio stesso, vale a dire con la disposizione legislativa sottoposta al suo controllo. Per uscire dalla “rigida” alternativa tra accoglimento (dichiarazione di incostituzionalità) e rigetto (dichiarazione di infondatezza della questione), la Corte, fin dall’inizio della sua attività, ha fatto ricorso a questa tecnica, dapprima tramite le sentenze interpretative di rigetto, con le quali “salvava” la disposizione legislativa dalla dichiarazione d’incostituzionalità “reinterpretandola” in senso conforme a Costituzione, e poi, più di recente, attraverso pronunce di carattere processuale, tramite le quali la Corte “rimprovera” il giudice a quo di non aver prescelto una possibile (secondo la Corte stessa) interpretazione conforme a Costituzione, evitando perciò di sollevare la quaestio legitimitatis. Come ha afferma la Corte nella celeberrima sentenza n. 356 del 1996, infatti, <<In linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali>>. In altri termini, laddove sia astrattamente possibile un’interpretazione conforme, il giudice deve scegliere quest’ultima, qualificandosi dunque l’eventuale questione di costituzionalità sollevata come una <<mera questione d’interpretazione>> e non di legittimità costituzionale.
L’interpretazione conforme potrebbe essere definita come una forma specifica di interpretazione sistematica, in quanto attraverso di essa si tenta una lettura della singola disposizione di legge alla luce di un sistema giuridico unitario e coerente, al cui vertice vi è la Costituzione, poiché questa deve essere considerata una fonte del diritto a pieno titolo: dunque, oltre che condizionante la validità della legge, anche pienamente precettiva, ossia contenente norme suscettibili di immediata applicazione giudiziaria, ove tecnicamente possibile, e utilizzabili dal giudice come criteri d’interpretazione della legge.
L’interpretazione conforme o adeguatrice, tuttavia, può anche essere considerata, non tanto come un criterio di individuazione (o produzione) di significato, ma come un criterio di scelta, costituzionalmente orientato, tra i diversi, possibili e alternativi significati di una disposizione di legge, identificati tramite l’utilizzo dei comuni canoni interpretativi (letterale, sistematico, teleologico, ecc.). Come vedremo più avanti, la dottrina è divisa riguardo alla natura del canone dell’interpretazione conforme.
Si può dire con certezza, in ogni caso, che l’interpretazione conforme presupponga o implichi l’interpretazione giuridica, che costituisce la base della prima.
Per tale motivo verranno esaminati alcuni temi fondamentali dell’interpretazione giuridica, come la distinzione tra interpretazione-attività e interpretazione-prodotto, dall’esame di alcune teorie interpretative che hanno messo in crisi i “dogmi” del giuspositivismo, primo fra tutti quello dell’univocità del significato della disposizione di legge, la distinzione tra disposizione e norma nonché l’impatto che ha avuto, sull’interpretazione del diritto, l’avvento di una Costituzione rigida e contenente disposizioni principio esprimenti valori pregiuridici.
Verranno poi esaminati i tentativi effettuati in dottrina per descrivere il concetto di interpretazione conforme, nonché quali sono le esigenze e ragioni sistemiche che la giustificano. Verranno poi trattate le altre tipologie di “interpretazione conforme”: a diritto eurounitario e a diritto internazionale (soprattutto alla Convezione europea dei diritti dell’uomo).
Ci si concentrerà poi sull’esame più specifico delle pronunce interpretative della Corte costituzionale, in particolare delle sentenze interpretative di rigetto e di accoglimento, e verrà trattato il concetto di <<diritto vivente>> e la relativa dottrina.
Si esamineranno poi gli effetti, nel giudizio da cui è sorta la questione di costituzionalità e negli altri giudizi, delle sentenze interpretative di rigetto, nonché alcune vicende giurisprudenziali che ne hanno definito i limiti e l’intensità.
Si passerà poi a parlare dell’avvento della <<dottrina>> dell’interpretazione conforme, in base alla quale ogni giudice deve scegliere, tra i diversi possibili significati della disposizione, di quello conforme a Costituzione, “scartando” invece quelli non conformi: se il giudice non fa ciò, scegliendo un significato non conforme a Costituzione e dunque solleva la questione, in base a tale dottrina, la Corte deve pronunciare l’inammissibilità. Questa dottrina, evidentemente, si pone potenzialmente in conflitto con l’altra dottrina, quella del diritto vivente. Come si vedrà, dalla seconda metà degli anni Novanta, quest’ultima tenderà a divenire recessiva rispetto a quella dell’interpretazione conforme.
Questa situazione ha prodotto una sorta di “metamorfosi” delle sentenze interpretative di rigetto, che, in base ad una concezione “radicale” della dottrina dell’interpretazione conforme, non dovrebbero essere più ammesse, visto che laddove sia possibile un’interpretazione conforme il giudice dovrebbe sempre optare per quest’ultima, trattandosi dunque di mera questione interpretativa, ossia di scelta tra diversi significati possibili della disposizione, compito quest’ultimo che spetta al giudice comune. Nella nuova situazione le pronunce interpretative di rigetto, tuttavia, non spariscono ma cambiano funzione. Se in precedenza la Corte costituzionale le utilizzava per suggerire ai giudici un possibile significato costituzionalmente conforme, nella nuova fase inaugurata a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, la Corte utilizza lo strumento dell’interpretativa di rigetto per “suggerire” (e a volte, di fatto, imporre) letture della legge contrarie agli indirizzi giurisprudenziali consolidati o, addirittura, lontane dalla “cornice” delineata dalla lettera della disposizione di legge: si è parlato a proposito di pronunce interpretative “manipolative”, in quanto, appunto, contenenti interpretazioni difficilmente conciliabili con tenore testuale della legge.
In molti casi, poi, la Corte ha suggerito interpretazioni adeguatrici attraverso pronunce, come ordinanze o sentenze (d’inammissibilità o di infondatezza), che non rendevano esplicito (attraverso diciture come <<nei sensi di cui in motivazione>>) il loro “fondamento” interpretativo.
Verrà poi trattato il rapporto tra l’onere d’interpretazione conforme a Costituzione, imposto ai giudici a pena d’inammissibilità della questione di costituzionalità, e le condizioni di ammissibilità del giudizio incidentale di costituzionalità positivamente stabilite dalla legge: rilevanza e non manifesta infondatezza.
L’indirizzo della Corte costituzionale che “sanziona” con l’inammissibilità i giudici che non optano per l’interpretazione conforme (laddove la Corte la ritenga possibile), nonché l’utilizzo da parte della Corte delle pronunce interpretative per proporre letture lontane dalla lettera della legge (interpretative “manipolative”), è stato fortemente criticato da una parte della dottrina, che vi ha visto un pericolo di “stravolgimento” e “inaridimento” del sindacato incidentale: infatti, i giudici, temendo di andare incontro all’inammissibilità della questione, e al contempo prendendo “esempio” dalle interpretazioni conformi “ardite” avanzate dalla Corte nelle interpretative “manipolative”, sarebbero spinti a “far dire” alla legge ciò che essa, in base alla “lettera” e alla logica, non potrebbe in alcun modo dire, pur di renderla “conforme” a Costituzione. Di conseguenza, sono stati proposti alcuni “rimedi” contro questo rischio.
Un’altra parte della dottrina non vede tale rischio, in quanto la Corte conserva comunque <<l’ultima parola>> in merito alla conformità-difformità della legge alla Costituzione, potendo ciascun giudice nell’ambito di ciascun processo adire la Corte, qualora non condivida l’interpretazione “conforme” proposta nella giurisprudenza. Il rimedio sarebbe dunque insito nello stesso modello <<accentrato-incidentale>>.
Recentemente la Corte costituzionale ha attenuato l’intensità dell’onere a carico dei giudici di ricercare e privilegiare l’interpretazione conforme a Costituzione, pronunciando una sentenza interpretativa di rigetto, pur essendo possibile una lettura costituzionalmente conforme della disposizione censurata, confortata anche da precedenti della stessa Corte costituzionale e della Corte di Cassazione, cui il giudice avrebbe potuto aderire evitando di sollevare la questione di costituzionalità.
In conclusione, si può affermare che tanto i giudici quanto la Corte costituzionale, nell’ambito delle rispettive funzioni e competenze, interpretano sia la legge sia la Costituzione. I giudici per risolvere concreti casi della vita, la Corte per decidere in merito alla costituzionalità o meno della disposizione o norma di legge sottoposta al controllo. Il giudice, dunque, dovrebbe privilegiare, qualora lo ritenga plausibile, tra i diversi significati che la norma può esprimere, un significato costituzionalmente conforme; la Corte, qualora il giudice a quo abbia adeguatamente motivato in merito all’impossibilità di un’interpretazione conforme, dovrebbe sempre pronunciarsi nel merito: a seconda dei casi con pronuncia di infondatezza, qualora, a differenza del giudice rimettente, consideri possibile una lettura alternativa e <<adeguatrice>>; con pronuncia di accoglimento, qualora tale lettura non sia possibile alla stregua dei canoni ermeneutici comunemente accettati. Nei casi, invece, in cui si sia consolidato un diritto vivente, la Corte dovrebbe sempre fare ricorso alla pronuncia di accoglimento, altrimenti la sua decisione interpretativa di rigetto (o di inammissibilità) rischia di non ricevere un seguito in giurisprudenza e di non impedire che la legge continui a ricevere concrete applicazioni incostituzionali.
L’interpretazione conforme, pertanto, può essere considerata una tipologia di interpretazione, ossia un procedimento di attribuzione di significato ad un testo, con il quale si tenta di comprendere il significato di quest’ultimo alla luce del significato espresso da un altro testo, allo scopo di prevenire l’“eliminazione” del primo dal mondo delle fonti del diritto, vale a dire evitarne la dichiarazione d’invalidità. L’interpretazione conforme viene definita, infatti, come <<duplex interpretatio>>, poiché presuppone l’interpretazione tanto del testo “condizionato”, quanto del testo “condizionante”.
La Corte costituzionale trovandosi nella situazione di dover confrontare le norme legislative con quelle costituzionali, al fine di valutare la conformità delle prime rispetto alle seconde, non può limitarsi ad interpretare il parametro del giudizio di costituzionalità, ossia le disposizioni costituzionali, ma deve fare altrettanto con l’oggetto del giudizio stesso, vale a dire con la disposizione legislativa sottoposta al suo controllo. Per uscire dalla “rigida” alternativa tra accoglimento (dichiarazione di incostituzionalità) e rigetto (dichiarazione di infondatezza della questione), la Corte, fin dall’inizio della sua attività, ha fatto ricorso a questa tecnica, dapprima tramite le sentenze interpretative di rigetto, con le quali “salvava” la disposizione legislativa dalla dichiarazione d’incostituzionalità “reinterpretandola” in senso conforme a Costituzione, e poi, più di recente, attraverso pronunce di carattere processuale, tramite le quali la Corte “rimprovera” il giudice a quo di non aver prescelto una possibile (secondo la Corte stessa) interpretazione conforme a Costituzione, evitando perciò di sollevare la quaestio legitimitatis. Come ha afferma la Corte nella celeberrima sentenza n. 356 del 1996, infatti, <<In linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali>>. In altri termini, laddove sia astrattamente possibile un’interpretazione conforme, il giudice deve scegliere quest’ultima, qualificandosi dunque l’eventuale questione di costituzionalità sollevata come una <<mera questione d’interpretazione>> e non di legittimità costituzionale.
L’interpretazione conforme potrebbe essere definita come una forma specifica di interpretazione sistematica, in quanto attraverso di essa si tenta una lettura della singola disposizione di legge alla luce di un sistema giuridico unitario e coerente, al cui vertice vi è la Costituzione, poiché questa deve essere considerata una fonte del diritto a pieno titolo: dunque, oltre che condizionante la validità della legge, anche pienamente precettiva, ossia contenente norme suscettibili di immediata applicazione giudiziaria, ove tecnicamente possibile, e utilizzabili dal giudice come criteri d’interpretazione della legge.
L’interpretazione conforme o adeguatrice, tuttavia, può anche essere considerata, non tanto come un criterio di individuazione (o produzione) di significato, ma come un criterio di scelta, costituzionalmente orientato, tra i diversi, possibili e alternativi significati di una disposizione di legge, identificati tramite l’utilizzo dei comuni canoni interpretativi (letterale, sistematico, teleologico, ecc.). Come vedremo più avanti, la dottrina è divisa riguardo alla natura del canone dell’interpretazione conforme.
Si può dire con certezza, in ogni caso, che l’interpretazione conforme presupponga o implichi l’interpretazione giuridica, che costituisce la base della prima.
Per tale motivo verranno esaminati alcuni temi fondamentali dell’interpretazione giuridica, come la distinzione tra interpretazione-attività e interpretazione-prodotto, dall’esame di alcune teorie interpretative che hanno messo in crisi i “dogmi” del giuspositivismo, primo fra tutti quello dell’univocità del significato della disposizione di legge, la distinzione tra disposizione e norma nonché l’impatto che ha avuto, sull’interpretazione del diritto, l’avvento di una Costituzione rigida e contenente disposizioni principio esprimenti valori pregiuridici.
Verranno poi esaminati i tentativi effettuati in dottrina per descrivere il concetto di interpretazione conforme, nonché quali sono le esigenze e ragioni sistemiche che la giustificano. Verranno poi trattate le altre tipologie di “interpretazione conforme”: a diritto eurounitario e a diritto internazionale (soprattutto alla Convezione europea dei diritti dell’uomo).
Ci si concentrerà poi sull’esame più specifico delle pronunce interpretative della Corte costituzionale, in particolare delle sentenze interpretative di rigetto e di accoglimento, e verrà trattato il concetto di <<diritto vivente>> e la relativa dottrina.
Si esamineranno poi gli effetti, nel giudizio da cui è sorta la questione di costituzionalità e negli altri giudizi, delle sentenze interpretative di rigetto, nonché alcune vicende giurisprudenziali che ne hanno definito i limiti e l’intensità.
Si passerà poi a parlare dell’avvento della <<dottrina>> dell’interpretazione conforme, in base alla quale ogni giudice deve scegliere, tra i diversi possibili significati della disposizione, di quello conforme a Costituzione, “scartando” invece quelli non conformi: se il giudice non fa ciò, scegliendo un significato non conforme a Costituzione e dunque solleva la questione, in base a tale dottrina, la Corte deve pronunciare l’inammissibilità. Questa dottrina, evidentemente, si pone potenzialmente in conflitto con l’altra dottrina, quella del diritto vivente. Come si vedrà, dalla seconda metà degli anni Novanta, quest’ultima tenderà a divenire recessiva rispetto a quella dell’interpretazione conforme.
Questa situazione ha prodotto una sorta di “metamorfosi” delle sentenze interpretative di rigetto, che, in base ad una concezione “radicale” della dottrina dell’interpretazione conforme, non dovrebbero essere più ammesse, visto che laddove sia possibile un’interpretazione conforme il giudice dovrebbe sempre optare per quest’ultima, trattandosi dunque di mera questione interpretativa, ossia di scelta tra diversi significati possibili della disposizione, compito quest’ultimo che spetta al giudice comune. Nella nuova situazione le pronunce interpretative di rigetto, tuttavia, non spariscono ma cambiano funzione. Se in precedenza la Corte costituzionale le utilizzava per suggerire ai giudici un possibile significato costituzionalmente conforme, nella nuova fase inaugurata a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, la Corte utilizza lo strumento dell’interpretativa di rigetto per “suggerire” (e a volte, di fatto, imporre) letture della legge contrarie agli indirizzi giurisprudenziali consolidati o, addirittura, lontane dalla “cornice” delineata dalla lettera della disposizione di legge: si è parlato a proposito di pronunce interpretative “manipolative”, in quanto, appunto, contenenti interpretazioni difficilmente conciliabili con tenore testuale della legge.
In molti casi, poi, la Corte ha suggerito interpretazioni adeguatrici attraverso pronunce, come ordinanze o sentenze (d’inammissibilità o di infondatezza), che non rendevano esplicito (attraverso diciture come <<nei sensi di cui in motivazione>>) il loro “fondamento” interpretativo.
Verrà poi trattato il rapporto tra l’onere d’interpretazione conforme a Costituzione, imposto ai giudici a pena d’inammissibilità della questione di costituzionalità, e le condizioni di ammissibilità del giudizio incidentale di costituzionalità positivamente stabilite dalla legge: rilevanza e non manifesta infondatezza.
L’indirizzo della Corte costituzionale che “sanziona” con l’inammissibilità i giudici che non optano per l’interpretazione conforme (laddove la Corte la ritenga possibile), nonché l’utilizzo da parte della Corte delle pronunce interpretative per proporre letture lontane dalla lettera della legge (interpretative “manipolative”), è stato fortemente criticato da una parte della dottrina, che vi ha visto un pericolo di “stravolgimento” e “inaridimento” del sindacato incidentale: infatti, i giudici, temendo di andare incontro all’inammissibilità della questione, e al contempo prendendo “esempio” dalle interpretazioni conformi “ardite” avanzate dalla Corte nelle interpretative “manipolative”, sarebbero spinti a “far dire” alla legge ciò che essa, in base alla “lettera” e alla logica, non potrebbe in alcun modo dire, pur di renderla “conforme” a Costituzione. Di conseguenza, sono stati proposti alcuni “rimedi” contro questo rischio.
Un’altra parte della dottrina non vede tale rischio, in quanto la Corte conserva comunque <<l’ultima parola>> in merito alla conformità-difformità della legge alla Costituzione, potendo ciascun giudice nell’ambito di ciascun processo adire la Corte, qualora non condivida l’interpretazione “conforme” proposta nella giurisprudenza. Il rimedio sarebbe dunque insito nello stesso modello <<accentrato-incidentale>>.
Recentemente la Corte costituzionale ha attenuato l’intensità dell’onere a carico dei giudici di ricercare e privilegiare l’interpretazione conforme a Costituzione, pronunciando una sentenza interpretativa di rigetto, pur essendo possibile una lettura costituzionalmente conforme della disposizione censurata, confortata anche da precedenti della stessa Corte costituzionale e della Corte di Cassazione, cui il giudice avrebbe potuto aderire evitando di sollevare la questione di costituzionalità.
In conclusione, si può affermare che tanto i giudici quanto la Corte costituzionale, nell’ambito delle rispettive funzioni e competenze, interpretano sia la legge sia la Costituzione. I giudici per risolvere concreti casi della vita, la Corte per decidere in merito alla costituzionalità o meno della disposizione o norma di legge sottoposta al controllo. Il giudice, dunque, dovrebbe privilegiare, qualora lo ritenga plausibile, tra i diversi significati che la norma può esprimere, un significato costituzionalmente conforme; la Corte, qualora il giudice a quo abbia adeguatamente motivato in merito all’impossibilità di un’interpretazione conforme, dovrebbe sempre pronunciarsi nel merito: a seconda dei casi con pronuncia di infondatezza, qualora, a differenza del giudice rimettente, consideri possibile una lettura alternativa e <<adeguatrice>>; con pronuncia di accoglimento, qualora tale lettura non sia possibile alla stregua dei canoni ermeneutici comunemente accettati. Nei casi, invece, in cui si sia consolidato un diritto vivente, la Corte dovrebbe sempre fare ricorso alla pronuncia di accoglimento, altrimenti la sua decisione interpretativa di rigetto (o di inammissibilità) rischia di non ricevere un seguito in giurisprudenza e di non impedire che la legge continui a ricevere concrete applicazioni incostituzionali.
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