Tesi etd-06202016-103600 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
TRIUZZI, MARIAGRAZIA
URN
etd-06202016-103600
Titolo
Il Villaggio Olimpico di Roma: un progetto dello spazio pubblico e del paesaggio
Dipartimento
INGEGNERIA DELL'ENERGIA, DEI SISTEMI, DEL TERRITORIO E DELLE COSTRUZIONI
Corso di studi
INGEGNERIA EDILE-ARCHITETTURA
Relatori
relatore Lanini, Luca
Parole chiave
- architecture
- architettura
- landscape
- paesaggio
Data inizio appello
14/07/2016
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
14/07/2086
Riassunto
“La realizzazione romana non si fonda sul carattere contingente dei Giochi (Olimpici n.d.r.), ma deve restare come solido patrimonio urbanistico della Città. La futura Città dei Diecimila continuerà a vivere come zona residenziale” . Così disponeva il ministro Tupini, della cui legge si valeva la convenzione che CONI e INCIS stabilirono all’alba dei preparativi per le Olimpiadi 1960.
Per ospitare la XVII Olimpiade alla città di Roma occorreva, oltre gli adeguati impianti sportivi, “un ambiente sereno, accogliente, dalla gradevole architettura distensiva, con ampi spazi verdi, con luoghi di convegno e di riposo, nel quale gli atleti potessero ritemprare le loro energie; di una piccola città autosufficiente” . Il tutto con l’intento che il villaggio avesse carattere stabile, per diventare, una volta conclusa la manifestazione, un quartiere residenziale.
Per la realizzazione di tali strutture si optò per il campo Parioli, che fu scelto dall’apposita commissione di studio sui Giochi nominata dal CONI, con il parere del ministero dei Lavori Pubblici Giuseppe Togni.
La zona, compresa tra il Tevere ed i quartieri Flaminio e Parioli, assolveva a diversi requisiti: da un lato la vicinanza con gli impianti sportivi del Foro Italico e dell’Acqua Acetosa e il collegamento di questi con gli impianti sportivi dell’EUR tramite la via Olimpica costituiva un posto comodo per gli atleti; dall’altro la proprietà comunale dei terreni avrebbe consentito l’insediamento di case a basso costo da destinarsi a 1500 famiglie di impiengati dello Stato (circa 6500 persone). Peraltro questa decisione consentiva di bonificare un’area che dall’immediato dopoguerra era stata occupata da un’agglomerato di baracche.
L’area, vincolata sin dal piano regolatore del 1909 a parco pubblico, era stata tradizionalmente sede di impianti sportivi. Nel 1950 venne destinata dal piano particolareggiato n.119 a quartiere residenziale. Per la progettazione dell’inter-vento ad esso legato venne bandito un concorso che fu vinto da Claudio Longo. Il suo progetto rimanne solo sulla carta, ma può ritenersi in alcuni aspetti il diretto precedente di quello elaborato per il villaggio olimpico, in primis per la soluzione di un viadotto che, dividendo l’area compresa nell’ansa del Tevere, dal ponte Flaminio (edificato nel 1949 e destinato a costituire il nuovo accesso settentrionale alla città) raccogliesse il traffico delle strade consolari Cassia e Flaminia per distribuirlo verso est e sud-ovest, lungo viale Tiziano e viale Parioli.
Alla fine del 1957 il progetto del piano urbanistico e delle residenze per gli atleti venne affidato agli architetti Vittorio Cafiero, Adalberto Libera, Amedeo Luccichenti, Vincenzo Monaco e Luigi Moretti.
Le idee-guida, sulle quali viene impostata l’intera progettazione e in funzione delle quali vennero calibrati disegno planimetrico e volumetrie, sono tre: salvaguardare l’ambiente di Villa Glori, dei Monti Parioli e di Villa Balestra e mantenere aperta la zona a nord verso il Tevere; attribuire al quartiere un’autonomia quanto funzionale di quartiere residenziale, tanto formale; svincolare il quartiere stesso dal traffico di transito e salvaguardarne l’organicità. In tal senso lungo viale Tiziano, a marcare il confine della nuova realizzazione dal fitto tessuto edilizio del Flaminio, vennero disposti edifici alti e lunghi, che, rivolgendo le testate verso il fiume, realizzano una quinta lungo il viale e offrono profondi scorci prospettici in direzione del fiume; dalla parte opposta, per lasciare libera la vista della collina di Villa Glori, le costruzioni vennero distribuite in estensione. Corso Francia, infine, venne concepito non come una strada realizzata su terrapieno, che avrebbe determinato una netta cesura dell’area, ma come un viadotto sospeso su alti pilastri (su progetto di Pier Luigi Nervi).
Al fine di mantenere la continuità del piano orizzontale, che avrebbe avuto come dominante la presenza del verde, si estese all’intero quartiere il sistema dei pilotis. Il piano prevedeva per gli edifici residenziali della combinazione della tipologia a croce e di quella in linea, con altezze variabili dai 2 ai 5 piani oltre il portico, per un totale di 10 tipi diversi, riconducibili a 5 schemi fondamentali. I servizi per il quartiere (così come quelli temporanei per i Giochi) vennero sistemati in prossimità del viadotto. L’architettura dell’intervento è caratterizzata da varietà e coerenza linguistica: alla differenziazione degli spazi, che vanno da corti a strade e piazze, fa da contrappunto l’adozione di pochi elementi “tipici”, quali l’attacco a terro con pilotis, i “torrini” degli stenditoi per il coronamento, l’omogeneità cromatica delle strutture in c.a. e dei rivestimenti in cortina giallo dorato, i marcapiani di cemento facciavista, l’unificazione dell’uso di infissi a nastro verniciati di bianco. Redatto di concerto, il piano viene suddiviso in parti tra i componenti gruppo per il progetto edilizio.
Nel settembre 1958, ultimate le opere di bonifica, hanno inizio i lavori, che si concluderanno nel giugno 1960. Il Villaggio Olimpico, con i suoi numeri e la ratio progettuale che ne è alla base, rappresenta il primo esempio di applicazione coerente dei principi dell’urbanistica del Movimento Moderno per Roma, nonchè uno dei migliori quartieri di iniziativa pubblica realizzativi.
Elementi di pregio che distinguono il Villaggio Olimpico da coeve realizzazioni è l’attenzione per lo spazio pubblico, che viene declinato dalla piazza di italiana concezione alle ampie distese di verde; è la prevalenza del vuoto sul pieno, in favore della vita comunitaria di quartiere; è lo sguardo attento rivolto al paesaggio prima che all’edificato.
Il mio lavoro intende ristabilire, nell’ottica delle esigenze attuali, questi valori, attualmente deturpati dalla cattiva gestione degli spazi, dalla mancata attenzione verso la dimensione dell’individuo rispetto a quella dell’automobile, dell’assenza di una funzione specifica di alcuni spazi che favoriscano l’utilizzo degli stessi da parte degli abitanti. La mia proposta, inoltre, si pone come obiettivo quello di aprire il quartiere verso l’esterno, superando quel carattere di chiusura che in fase di concezione del complesso rispondeva alla necessità di garantire la privacy e la tranquillità degli atleti. Il rapporto del Villaggio Olimpico con le altre evidenze notevoli di cui il quartiere Flaminio si è costellato in epoca recente (cito solo il MAXXI, l’Auditorium Parco della Musica e, ancora, il complesso della Città della Scienza che verrà a breve realizzato) è da considerare fattore necessario alla valorizzazione degli spazi del Villaggio e, viceversa, quest’ultima può aggiungere pregio ad un quartiere molto interessante.
Per ospitare la XVII Olimpiade alla città di Roma occorreva, oltre gli adeguati impianti sportivi, “un ambiente sereno, accogliente, dalla gradevole architettura distensiva, con ampi spazi verdi, con luoghi di convegno e di riposo, nel quale gli atleti potessero ritemprare le loro energie; di una piccola città autosufficiente” . Il tutto con l’intento che il villaggio avesse carattere stabile, per diventare, una volta conclusa la manifestazione, un quartiere residenziale.
Per la realizzazione di tali strutture si optò per il campo Parioli, che fu scelto dall’apposita commissione di studio sui Giochi nominata dal CONI, con il parere del ministero dei Lavori Pubblici Giuseppe Togni.
La zona, compresa tra il Tevere ed i quartieri Flaminio e Parioli, assolveva a diversi requisiti: da un lato la vicinanza con gli impianti sportivi del Foro Italico e dell’Acqua Acetosa e il collegamento di questi con gli impianti sportivi dell’EUR tramite la via Olimpica costituiva un posto comodo per gli atleti; dall’altro la proprietà comunale dei terreni avrebbe consentito l’insediamento di case a basso costo da destinarsi a 1500 famiglie di impiengati dello Stato (circa 6500 persone). Peraltro questa decisione consentiva di bonificare un’area che dall’immediato dopoguerra era stata occupata da un’agglomerato di baracche.
L’area, vincolata sin dal piano regolatore del 1909 a parco pubblico, era stata tradizionalmente sede di impianti sportivi. Nel 1950 venne destinata dal piano particolareggiato n.119 a quartiere residenziale. Per la progettazione dell’inter-vento ad esso legato venne bandito un concorso che fu vinto da Claudio Longo. Il suo progetto rimanne solo sulla carta, ma può ritenersi in alcuni aspetti il diretto precedente di quello elaborato per il villaggio olimpico, in primis per la soluzione di un viadotto che, dividendo l’area compresa nell’ansa del Tevere, dal ponte Flaminio (edificato nel 1949 e destinato a costituire il nuovo accesso settentrionale alla città) raccogliesse il traffico delle strade consolari Cassia e Flaminia per distribuirlo verso est e sud-ovest, lungo viale Tiziano e viale Parioli.
Alla fine del 1957 il progetto del piano urbanistico e delle residenze per gli atleti venne affidato agli architetti Vittorio Cafiero, Adalberto Libera, Amedeo Luccichenti, Vincenzo Monaco e Luigi Moretti.
Le idee-guida, sulle quali viene impostata l’intera progettazione e in funzione delle quali vennero calibrati disegno planimetrico e volumetrie, sono tre: salvaguardare l’ambiente di Villa Glori, dei Monti Parioli e di Villa Balestra e mantenere aperta la zona a nord verso il Tevere; attribuire al quartiere un’autonomia quanto funzionale di quartiere residenziale, tanto formale; svincolare il quartiere stesso dal traffico di transito e salvaguardarne l’organicità. In tal senso lungo viale Tiziano, a marcare il confine della nuova realizzazione dal fitto tessuto edilizio del Flaminio, vennero disposti edifici alti e lunghi, che, rivolgendo le testate verso il fiume, realizzano una quinta lungo il viale e offrono profondi scorci prospettici in direzione del fiume; dalla parte opposta, per lasciare libera la vista della collina di Villa Glori, le costruzioni vennero distribuite in estensione. Corso Francia, infine, venne concepito non come una strada realizzata su terrapieno, che avrebbe determinato una netta cesura dell’area, ma come un viadotto sospeso su alti pilastri (su progetto di Pier Luigi Nervi).
Al fine di mantenere la continuità del piano orizzontale, che avrebbe avuto come dominante la presenza del verde, si estese all’intero quartiere il sistema dei pilotis. Il piano prevedeva per gli edifici residenziali della combinazione della tipologia a croce e di quella in linea, con altezze variabili dai 2 ai 5 piani oltre il portico, per un totale di 10 tipi diversi, riconducibili a 5 schemi fondamentali. I servizi per il quartiere (così come quelli temporanei per i Giochi) vennero sistemati in prossimità del viadotto. L’architettura dell’intervento è caratterizzata da varietà e coerenza linguistica: alla differenziazione degli spazi, che vanno da corti a strade e piazze, fa da contrappunto l’adozione di pochi elementi “tipici”, quali l’attacco a terro con pilotis, i “torrini” degli stenditoi per il coronamento, l’omogeneità cromatica delle strutture in c.a. e dei rivestimenti in cortina giallo dorato, i marcapiani di cemento facciavista, l’unificazione dell’uso di infissi a nastro verniciati di bianco. Redatto di concerto, il piano viene suddiviso in parti tra i componenti gruppo per il progetto edilizio.
Nel settembre 1958, ultimate le opere di bonifica, hanno inizio i lavori, che si concluderanno nel giugno 1960. Il Villaggio Olimpico, con i suoi numeri e la ratio progettuale che ne è alla base, rappresenta il primo esempio di applicazione coerente dei principi dell’urbanistica del Movimento Moderno per Roma, nonchè uno dei migliori quartieri di iniziativa pubblica realizzativi.
Elementi di pregio che distinguono il Villaggio Olimpico da coeve realizzazioni è l’attenzione per lo spazio pubblico, che viene declinato dalla piazza di italiana concezione alle ampie distese di verde; è la prevalenza del vuoto sul pieno, in favore della vita comunitaria di quartiere; è lo sguardo attento rivolto al paesaggio prima che all’edificato.
Il mio lavoro intende ristabilire, nell’ottica delle esigenze attuali, questi valori, attualmente deturpati dalla cattiva gestione degli spazi, dalla mancata attenzione verso la dimensione dell’individuo rispetto a quella dell’automobile, dell’assenza di una funzione specifica di alcuni spazi che favoriscano l’utilizzo degli stessi da parte degli abitanti. La mia proposta, inoltre, si pone come obiettivo quello di aprire il quartiere verso l’esterno, superando quel carattere di chiusura che in fase di concezione del complesso rispondeva alla necessità di garantire la privacy e la tranquillità degli atleti. Il rapporto del Villaggio Olimpico con le altre evidenze notevoli di cui il quartiere Flaminio si è costellato in epoca recente (cito solo il MAXXI, l’Auditorium Parco della Musica e, ancora, il complesso della Città della Scienza che verrà a breve realizzato) è da considerare fattore necessario alla valorizzazione degli spazi del Villaggio e, viceversa, quest’ultima può aggiungere pregio ad un quartiere molto interessante.
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