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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-06192023-232931


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
MANNA, GINEVRA
Indirizzo email
g.manna3@studenti.unipi.it, ginevramanna@me.com
URN
etd-06192023-232931
Titolo
Eros e pathos nella prima produzione di Euripide
Dipartimento
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Corso di studi
FILOLOGIA E STORIA DELL'ANTICHITA'
Relatori
relatore Prof. Tulli, Mauro
correlatore Bertagna, Maria Isabella
Parole chiave
  • Euripide
  • tragedia
  • Ippolito
  • eros
  • pathos
  • Alcesti
  • amori
  • tradizioni
  • Medea
  • letteratura
  • costrutti
  • lingua
  • lessico
  • teatro
  • tragici
Data inizio appello
06/07/2023
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
06/07/2026
Riassunto
La prima produzione euripidea delle opere tragiche conservate ha come datazione il periodo compreso tra il 431 ed il 428. I temi affrontati sono numerosi e permettono una grande interdisciplinarietà, perciò sono stati selezionati versi specifici per ogni tragedia e ciascuna sezione permette un approccio diverso e una messa a fuoco delle varie modalità di espressione del pathos.
Per quanto riguarda l’Alcesti, costrutti grammaticali e lessicali di memoria omerica e lirica abbondano nel discorso di addio da parte di Admeto, nel quale compaiono anche il motivo del sogno della persona cara e l'incompatibilità del lutto con canti e feste. Ogni tentativo consolatorio è inutile, mentre sognare l'amata significa provare un piacere freddo, illusorio, definizione in greco ossimorica per la coesistenza di elementi all’apparenza inconciliabili e questa è una prassi che ha una buona tradizione alle spalle. Il ripensamento, il cambio di opinione e l'impossibilità di rimediare al proprio errore compaiono alla fine della tragedia, quando è acquisita piena consapevolezza della situazione e del male imminenti e quando Alcesti non compare più sulla scena, creduta ormai morta. Il lieto fine può verificarsi solo con l'aiuto divino, entità più potente ma che ha molto in comune con il genere umano, per cui non immune da atteggiamenti sarcastici. Inoltre, il dio Eracle riporta Alcesti al cospetto di Admeto, ma nonostante il dibattito nel prologo tra Apollo e Thanatos con toni accesi sul destino di lei, l’intervento finale va contro ogni aspettativa e contro le idee iniziali, vanificando gli sforzi dei due di far prevalere la propria opinione. Inoltre, il finale abbatte tutte le riflessioni dei personaggi e del coro, perché vigono l’inconsolabilità e l’irreversibilità del male per tutto il dramma e addirittura più volte è ribadito che solo Orfeo e Asclepio possono ridestare dalla morte.
Nella Medea e nell'Ippolito i personaggi agiscono molto autonomamente: il deus ex machina (il Sole) ha l'unico compito di prelevare Medea dalla scena e di allontanarla da Corinto, ma è la donna medesima che porta a termine i propri piani con la sua astuzia dopo il tormento interiore tra l’amore materno ed il desiderio di vendetta, mentre Fedra è responsabile della sua morte e di quella di Ippolito grazie allo stratagemma della lettera; Afrodite, invece, introduce i suoi piani distruttivi senza spiegare come si articolano e nell’esodo Artemide interviene per sciogliere l'equivoco tra Teseo e Ippolito proprio quando la tragedia famigliare è già avvenuta.
Il sentimento amoroso è solo la premessa della situazione, non il protagonista, ecco perché certi stilemi sono abbondantemente usati con ironia e superati con qualche variazione rispetto alla forma tradizionale. L'inganno per mezzo delle apparenze e del sapiente uso della parola sono temi centrali e di forte riflessione. I personaggi dialogano senza comprendersi a causa dell'isolamento nel proprio dolore e per il discorso falso. Il dono è un altro strumento di inganno nella Medea, è presentato alla maniera omerica come gesto di riconoscenza per un favore ricevuto, nascondendo il suo effetto fatale. Perciò sono affrontate le differenze tra saggezza e sapienza, tema caro ai sofisti. L’una è il comportarsi secondo le norme della società, l’altra è l’abilità con cui sono perseguite azioni malefiche di nascosto. I giochi di parole tra i due termini ed anche talvolta il fraintendimento di questi contribuiscono ad un’ironia tragica che sfocia quasi nel comico (vale soprattutto per Giasone nel secondo e nel quarto episodio).
L’interesse lessicale e filosofico si intreccia allo studio dei singoli personaggi. Anche il linguaggio non verbale ha importanza e suscita un senso di suspense: fa capire che qualcosa di terribile sta per accadere senza rivelarne bene la gravità ed i termini e lascia intendere la presenza di un secondo fine sospettato, ma non certo. La scarsa partecipazione di Alcesti ai dialoghi, intervallati da deliri sempre più brevi e privi di senso, lascia spazio ai lunghi monologhi di Admeto rassegnato al lutto, il quale ben riconosce la superiorità morale della moglie. La tragedia ruota attorno alla perdita di una donna dalla statura morale ineguagliabile ed al suo stato in bilico tra la vita e la morte spesso esaltati, ma poco presenti sulla scena, mentre il lutto occupa l’intera trama finché alla fine non si rivela inesistente. Giasone ha pregiudizi verso il diverso, mostra un atteggiamento borioso, esaltato dalle future nozze con la figlia del re e Medea tra silenzi e inganni stronca ogni ambizione di lui. Lei è la più macchinosa, lato che emerge soprattutto nei monologhi, mentre nei dialoghi risponde a tono prevalentemente con brevi battute. Anche Fedra, come Alcesti, è un personaggio femminile da cui dipendono gli eventi e che, tuttavia, parla poco rispetto agli altri e nemmeno di sua iniziativa. E’ legata al suo segreto e quando non riesce più a mantenerlo, il suo suicidio dà la svolta fondamentale ai fatti tragici. Il discorso falso e l’inganno appartengono anche alla sua natura, ma emergono improvvisamente per iscritto dopo la sua dipartita.
Anche Ippolito è la vittima principale e nemmeno a lui vengono attribuite molte battute, anzi, risponde in malo modo nella sticomitia alla nutrice e con Fedra non parla, fa solo un discorso misogino (non molto esteso) senza alcun contatto visuale con gli altri. Il suo isolamento, che si ritorce contro di lui, è chiaro fin dalla sua entrata in scena con gli strumenti da caccia, intonando un inno in onore di Artemide. La sua misoginia è nota già nella fine del prologo nel dialogo con un servo in cui è sfogato il disprezzo verso Afrodite.
Alla vigilia della tragedia vera e propria i personaggi, tramite monodia o kommòs, si esprimono in metro lirico sfogando le proprie paure o dando l'addio al mondo dei vivi, per cui abbondano il docmio ed il cretico che accrescono il pathos e la tensione nello spettatore con il loro ritmo concitato, aumentato dalla soluzione dei longa tipicamente euripidea. Anche il paradigma mitico, specie quello di Ino nella Medea, tende ad annunciare la sciagura imminente, perché i personaggi sono paragonati a soggetti divini/mitologici di cui l'esito è conosciuto. Per la situazione di partenza riscontriamo quasi solo analogie rispetto alle condizioni reali, ma l'articolazione in sé dei fatti e la presentazione dei personaggi mostra grandi differenze, atte a sottolineare la distanza incolmabile tra l'uomo ed il dio. Anche le conseguenze più tragiche delle azioni divine sono presentate, come nel doppio esempio di Eracle e Semele nell'Ippolito, ma con tono ammonitorio a cui i personaggi o non danno retta o non possono prestare ascolto perché ormai il male è inevitabile.
Nel teatro di Euripide gli dèi non intervengono tanto quanto nelle opere precedenti, sono i personaggi femminili che agiscono di libera iniziativa con un piano preciso di cui vittima è essenzialmente l’uomo, oppure esse sono le padrone della scena anche se, talvolta, non intervemngono personalmente sulla scena. Gli dèi sono quasi derisi perché parlano di piani, litigano tra di loro, ma poi hanno un ruolo molto marginale, all’atto pratico secondario pure rispetto a quello di una donna. La loro volontà è affermata nei prologhi anche con una certa prepotenza, ma nell’economia del dramma vale solo per gli antefatti.



Euripides wrote his first tragedies in the period between 431 b.C and 428 b.C. Many themes deserve great attention and many different approaches are possible, that’s why specific verses are selected for each tragedy, in which pathos is expressed in multiple ways.
As far as Alcestis is concerned, there are constructions and words of homeric and lyric memory, especially in Admetus speach when he says goodby to his wife. He points out her moral value, considering her an impossible act to follow. It is unreasonable to celebrate any event in the futur and the lover will feel a bitter pleasure just in dreams, a delusional world. In greek there is an oximoron for that and the previous literature is full of similar examples. Second thoughts and efforts to fix the troubles appear in the final part, when the heroe realizes his tragic and irreversible situation and the chorus has already said that Alcestis has gone. Any kind of consolation is vain. Just the intervention of a god is capable to bring her back to life, but in an unexpected and unexpliquable way, because in the prologue Apollo and Thanatos fight to decide Alcestis destiny, they find a compromise, and the end is totally different. Also, the impossibility to see the wife again turns out to be wrong, even though everyone knows that only Asclepius and Orpheus have the power to bring dead people back from Ades. The author almost seems to make fun of gods with all these contradictions.
In Medea and Hyppolitus the human characters are very autonomous: Medea studies her own plan and she accomplishes it and the Sun, deus ex machina, has the only role to help the woman leaving Athens quickly, while Fedra is responsible for her death and also for Hyppolytus death through her letter; Aphrodites announces her intentions against the man and the fact that she will manage to apply them, but without telling exactely how and, in addition to it, Artemides explains the misunderstanding to Theseus when his son is about to die and it is too late, so she cannot change things.
Love is just a memory, no one deals with it, as the main charcaters struggle with its consequences. It is evident in the ironc use of sentences, words and images that are typical of love poetry, but Euripides makes little changes in order to demonstrate that they are passed and they do not fit with the context.
Trick is fundamental in Medea and in Hyppolitus, in addition to false speeches. Also the gift is an instrument to cheat people, because it is good looking and Medea says that it is a present for the bride and also a gesture to show her gratitude to Creons, who has decided to let her stay in Corynth one more day. In Homer a gift is given in case of hospitality or when someone is grateful for a favour and Medea pretends having the same attitude, while actually she has different intentions. The reflection on wisdom and cunning is recurring in Euripides and in the Sophists: the first one is positive and it means respecting social rules, the other one is negative and it means being brilliant at cheating and manipulating. Euripides makes puns and many characters seem to be confused, which make us smile (especially that regards Jason in the second and the fourth episode).
So, psychological introspections and the description of characters qualities and defaults is as crucial as their interaction with the others. Silence is very catchy owing to his suspense, because it is clear that something terrible is going to happen, but the audience does not know when, but its attitude is suspicious, as the character is hiding somethings. Alcestis does not take part in dialogues very often, but the tragic actions depend on her presence and her condition between life and death. She will be always remembered and praised. The mourning is central in the Alcestis, but in the end it does not even exist anymore. Jason has prejudices, he is pompous, expecially because he is marrying the king’s doughter, while Medea is isolated and she figures out the most orrible way to ruin his life. She is crafty, as it is clear in her mologues, but in dialogues she answers very quickly to questions. As Alcestis, Phaedra does not speak so much and she disappears in the second part of the drama and, nonetheless, everything depends on her. She keeps her secret and when she can’t handle this anymore, she kills herself. Her cheating and lying skills are initially omitted, but suddenly they are revealed in the letter after her death. Hyppolitus is isolated too, but for its personal choice, he does not even talk to anyone, whatsoever to Phaedra, he just offends the nurse in sticomitia and he pronounces a monologue on his misoginy without any eye contacts with the others. We understeand his temper in the beginning when he goes hunting, he sings an hymn to Artemides and he disdains Aphrodites.
When the most tragic events are about to happen, the carachters express their feelings in lyric metres in monodies or kommòs, and the most appropriate metres are docmiac and cretic metres and. thanks to the euripidean habitude of solving longa, the rythm is quick and it increases the sense of anxiety.
Also mythical examples announce the imminent tragedy, because humans are compared to gods, whose actions are well known by the audience. The general context has a great deal of analogies with the real situation, but the single events and the gods themselves are so different the comparison underlines the impossibility for human beings to be at the same level as the gods. When the divine charcaters must tackle a bad situation, the chorus uses the example as a warning, but humans do not listen to its voice or they cannot do anything to prevent them from being overwelmed, beacuse it is too late.
Those are proofs that divine interventions are not as numerous as in the previous tragedies and the female characters play by their rules, making men victims, also with few words and rare concret actions.
Gods talk about plans against humans, they quarrel with each other, but all this does not really matter in the plot, it is part of the past events resumed in the prologue just as introduction.
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