logo SBA

ETD

Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-06192022-191104


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
BELLEGGIA, SEBASTIANO
URN
etd-06192022-191104
Titolo
ESSERE IN QUALCOSA, ESSERE IN SÉ: L’ESEGESI TARDOANTICA E MEDIEVALE DI PHYS. IV, 3
Dipartimento
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Corso di studi
FILOLOGIA E STORIA DELL'ANTICHITA'
Relatori
relatore Prof. Centrone, Bruno
Parole chiave
  • Aristotele
  • Fisica
  • essere in sé
  • Simplicius
  • being in itself
  • Physics
  • Aristotle
  • Simplicio
Data inizio appello
11/07/2022
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
11/07/2092
Riassunto
L’oggetto di questo saggio è il capitolo terzo del quarto libro della Fisica di Aristotele. L’intento primario è quello di offrire una panoramica della tradizione esegetica tardoantica (soprattutto Simplicio, Filopono, Temistio) e medievale (S. Alberto, S. Tommaso) sulla questione ivi affrontata da Aristotele: quali sono i modi o i significati secondo i quali diciamo che qualcosa è in qualcos’altro? È possibile dire che qualcosa è in sé? Se sì, in che modo? In secondo luogo, si offre una breve analisi del tentativo di Simplicio, che si adopera di eludere la dimostrazione offerta da Aristotele che nulla può essere in sé, in modo da salvare lo statuto degli enti ideali.
Per quanto concerne i modi o i significati di essere in qualcosa, i commentatori affrontano soprattutto due questioni. Innanzitutto si chiedono se la lista di Aristotele intenda essere esaustiva e in particolare perché manchi l’essere in un soggetto che Aristotele tratta nelle Categorie. I commentatori ricercano inoltre se sia possibile sussumere tutti si modi o significati di essere in qualcosa ad un soltanto o comunque ridurli ad uno schema comune. Vedremo in particolare quale sia la soluzione adottata da S. Tommaso d’Aquino alla questione.
Nel corso di questo capitolo, Aristotele mostra che nulla può dirsi in sé stesso per sé. Infatti, se un certo x fosse in sé stesso, sarebbe al tempo stesso contenitore e contenuto di sé stesso, che è logicamente impossibile. Ad esempio, un’anfora non può contenere sé stessa né del vino può essere contenitore di sé stesso.
Tuttavia si può certamente dire che qualcosa è in sé per parte. Questa evenienza si dà in virtù della proprietà dei predicati di poter passare o diffondersi dalle parti agli interi cui queste parti appartengono. Ad esempio, se la superficie di Socrate è bianca, ne consegue che Socrate è bianca; se l’anima di Socrate è saggia, ne consegue che Socrate è saggio. Si tratta di un procedimento che Egidio Romano chiama molto opportunamente sineddoche. Nel caso dell’essere in sé, si consideri di nuovo l’esempio dell’anfora e del vino: se il vino è nell’anfora, si può dire che il vino è nell’anfora di vino; e, di conseguenza, se il vino è nell’anfora di vino, si potrà dire per parte (cioè per sineddoche) che l’anfora di vino, di cui il vino è parte, è nell’anfora di vino, cioè che l’anfora di vino è in sé stessa.
Sorge però una questione indubbiamente cara ai neoplatonici: come salvare lo statuto degli enti ideali, che non possono certo essere contenuto da qualcosa, ma debbono necessariamente essere in sé stessi? La spiegazione è offerta da Simplicio in linea con una lunga tradizione di tentativi di accordare Platone e Aristotele: Aristotele si occupa di enti corporei, mentre le idee platoniche sono enti ideali, che godono di uno statuto particolare. Infatti, gli interi ideali (ad esempio, l’essenza dell’uomo) coincidono con la somma delle loro parti (cioè, animale razionale), mentre gli interi corporei non coincidono con la somma delle loro parti (ad esempio, una casa non è un qualsiasi accostamento di mattoni e tegole).
Come ci aiuta questa distinzione a risolvere il problema dello statuto degli enti ideali? Ebbene, consideriamo la proposizione: le parti sono nell’intero o, per meglio dire, la somma delle parti è nell’intero. Se la somma delle parti equivale all’intero, come nel caso degli interi ideali, ne consegue che si possa sostituire l’espressione “somma delle parti” con “intero” nella proposizione “la somma delle parti è nell’intero” mantenendone invariato il valore di verità. Pertanto, non si potrà che concludere che l’intero è nell’intero.
File