Tesi etd-06182020-115528 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
CATERINO, MARTINA
URN
etd-06182020-115528
Titolo
Utilizzo di Acido Tranexamico in chirurgia ortopedica oncologica
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Capanna, Rodolfo
correlatore Andreani, Lorenzo
correlatore Andreani, Lorenzo
Parole chiave
- acido tranexamico
- chirurgia ortopedica oncologica
- efficacia
- rapporto costo-efficacia
- sicurezza
Data inizio appello
20/07/2020
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
20/07/2090
Riassunto
L’acido tranexamico, derivato di sintesi dell’amminoacido Lisina, è un farmaco antifibrinolitico che inibisce la degradazione enzimatica della fibrina presente nei coaguli di sangue. Grazie alla sua azione antifibrinolitica, esso è efficace nella riduzione delle perdite ematiche e le indicazioni terapeutiche del farmaco sono la profilassi e la terapia delle emorragie.
Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse per questo farmaco, che è stato utilizzato con successo, con lo scopo di ridurre le perdite ematiche, in chirurgia epatica, cardiochirurgia, chirurgia vascolare, chirurgia maxillofacciale e in ambito ginecologico. Inoltre, numerosi studi hanno dimostrato la sua efficacia nella riduzione delle perdite ematiche e del numero di emotrasfusioni in chirurgia ortopedica protesica, senza un conseguente aumento del rischio tromboembolico, che potrebbe derivare dalla capacità dell’acido tranexamico di stabilizzare la formazione dei coaguli.
Gli interventi di chirurgia ortopedica protesica, in particolare l’artroplastica totale di ginocchio ed anca, sono procedure a medio-alto rischio emorragico e possono determinare la necessità di ricorrere alla trasfusione di unità di emazie concentrate, che espongono il paziente ad una serie di potenziali rischi: trasmissione di malattie infettive, immunosoppressione, aumento di infezioni batteriche post-operatorie, sensibilizzazione immunitaria, danno polmonare acuto associato alla trasfusione, emolisi intravascolare, coagulopatia indotta da trasfusione, insufficienza renale, ammissione in terapia intensiva, aumento di morbidità e mortalità ed infezioni protesiche. La riduzione del sanguinamento e delle emotrasfusioni, ottenuta grazie alla somministrazione di acido tranexamico, risulta quindi vantaggiosa per il paziente, in quanto riduce i rischi correlati alla pratica trasfusionale e determina una minore compromissione dello stato generale del paziente, un più rapido recupero della mobilizzazione, una degenza più breve e una riduzione della morbilità a breve termine.
Anche il rapporto costo-efficacia del farmaco è ottimo, in quanto la pratica trasfusionale rappresenta un importante capitolo di spesa per il sistema sanitario, basti considerare che una singola unità di emazie concentrate ha un costo che supera i 185 euro e, per l’intero processo di erogazione della terapia trasfusionale, si raggiunge una cifra complessiva che supera i 400 euro per singola unità trasfusa. Inoltre, il costo crescente delle singole unità, si va a sommare a quello correlato ad una degenza prolungata, la quale è stata dimostrata in numerosi studi. L’acido tranexamico, riducendo il numero di emotrasfusioni, permette quindi di diminuire anche il costo notevole associato a questa pratica.
Attualmente, sebbene questo farmaco antifibrinolitico venga somministrato frequentemente in interventi di chirurgia ortopedica protesica, non esistono ancora linee guida pubblicate dalle Società Scientifiche di Ortopedia o di Anestesia, che ne regolino l’utilizzo in questo ambito. Si sta ancora valutando quale sia il miglior regime di somministrazione del farmaco.
I risultati ottenuti nell’ambito della chirurgia ortopedica protesica, hanno suggerito nuove possibilità di utilizzo del farmaco antifibrinolitico acido tranexamico, il quale potrebbe rappresentare una risorsa anche in interventi di chirurgia ortopedica oncologica.
Gli interventi di chirurgia ortopedica oncologica sono spesso caratterizzati da abbondanti perdite ematiche, in particolare in quelle procedure che prevedono una resezione ossea maggiore seguita da ricostruzione. La patologia neoplastica, infatti, è caratterizzata da fenomeni di angiogenesi e neovascolarizzazione, di elevata entità soprattutto per tumori estesi e voluminosi; inoltre comporta un aumento dell’attività fibrinolitica. Questi pazienti possono presentare anche una riduzione dei fattori della coagulazione, ipoproteinemia, perdita di fattori emostatici, disfunzione piastrinica. Un’altra importante caratteristica del paziente oncologico è la frequente presenza di anemia preoperatoria, la quale è peggiorata dall’effetto mielosoppressivo della chemioterapia e può avere ripercussioni anche sulla perdita ematica totale in interventi chirurgici.
L’elevato sanguinamento associato alla procedura chirurgica, comporta il successivo ricorso a trasfusioni di sangue allogenico, che nel paziente oncologico possono determinare anche uno stimolo alla crescita e alla recidiva tumorale. Dati gli effetti potenzialmente deleteri della trasfusione di più unità di emazie concentrate allogeniche, sono state introdotte delle strategie per ridurle, come il prelievo di sangue autologo precedente all’intervento chirurgico. Questa, tuttavia, è una pratica costosa, ostacolata dalla caratteristica presenza di anemia preoperatoria nel paziente oncologico, dalla necessità di programmare accuratamente gli interventi, dal breve periodo di conservabilità delle unità di sangue, dalle condizioni cliniche ed ematologiche del paziente. Anche l’utilizzo di dispositivi intraoperatori di recupero del sangue non è applicabile, poiché comportano il rischio di re-infusione di cellule tumorali vitali.
Proprio per le limitate possibilità di determinare una riduzione del sanguinamento e delle emotrasfusioni in interventi di chirurgia ortopedica oncologica, si sta iniziando a valutare la possibilità di introdurre l’utilizzo di antifibrinolitici come l’acido tranexamico. Questo rappresenta un tema emergente in letteratura scientifica e sono necessari ulteriori trials per confermare l’efficacia e la sicurezza di questo farmaco. Quest’ultimo punto è fondamentale, in quanto uno dei problemi che potrebbero limitare l’introduzione dell’acido tranexamico in chirurgia ortopedica oncologica, è proprio l’aspetto della sicurezza della sua attività antifibrinolitica, che potrebbe aumentare il rischio tromboembolico nel paziente con patologia neoplastica (che è superiore rispetto a quello della popolazione generale, in particolare nel periodo peri-operatorio).
Alla luce dei buoni risultati che stanno emergendo negli ultimi anni e della necessità di nuovi trials, abbiamo condotto uno studio, per valutare retrospettivamente i risultati ottenuti dalla somministrazione perioperatoria di acido tranexamico in pazienti sottoposti ad interventi di resezione ossea maggiore per neoplasia e successiva ricostruzione (utilizzando tecniche di vario genere), in termini di modifica della necessità di ricorso a terapia emotrasfusionale. Lo studio è stato condotto sui pazienti trattati tra il Gennaio 2016 e il Dicembre 2019, presso la UO di Ortopedia e Traumatologia 2 della Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (AOUP). Sono stati selezionati dal database di reparto i pazienti sottoposti ad interventi di resezione ossea per neoplasia, nel periodo sopra riportato e sono stati quindi suddivisi in un gruppo G1, ai quali era stato somministrato acido tranexamico durante l’intervento e in un gruppo G2, al quale non era stato somministrato alcun antifibrinolitico endovenoso.
Confrontando i due gruppi, è stata valutata la differenza in termini di perdite ematiche e del numero di Unità Internazionali di emazie concentrate trasfuse, in fase intra- e post-operatoria, come indicatore dell’efficacia dell’acido tranexamico. Dallo studio è emerso che la somministrazione del farmaco sembra correlare con una riduzione non significativa del sanguinamento intraoperatorio ma, al tempo stesso, con una riduzione significativa del sanguinamento e del numero di emotrasfusioni nel periodo post-operatorio.
Inoltre, nonostante tutti i pazienti siano stati sottoposti alla stessa profilassi anti-tromboembolica, nel gruppo G1 non si sono registrati eventi di trombosi venosa profonda o embolia polmonare, mentre nel gruppo G2 si è riscontrato 1 caso di trombosi venosa profonda. Questo rappresenta un dato positivo, in termini di sicurezza del farmaco.
Dalle pubblicazioni presenti in letteratura e dai risultati del nostro studio, si conferma che il farmaco potrebbe effettivamente rappresentare una risorsa preziosa nel trattamento di pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia ortopedica oncologica e nel miglioramento del loro outcome. In particolare, diminuendo il sanguinamento ed il numero di emotrasfusioni nel periodo post-operatorio. La minore richiesta di emotrasfusioni potrebbe correlare, a sua volta, con una minore compromissione dello stato generale del paziente, un più rapido recupero della mobilizzazione, una riduzione della morbilità a breve termine e un accorciamento della durata della degenza. Inoltre, risulterebbe anche economicamente vantaggiosa, consentendo di diminuire la spesa associata alla pratica trasfusionale e alla conseguente degenza prolungata.
Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse per questo farmaco, che è stato utilizzato con successo, con lo scopo di ridurre le perdite ematiche, in chirurgia epatica, cardiochirurgia, chirurgia vascolare, chirurgia maxillofacciale e in ambito ginecologico. Inoltre, numerosi studi hanno dimostrato la sua efficacia nella riduzione delle perdite ematiche e del numero di emotrasfusioni in chirurgia ortopedica protesica, senza un conseguente aumento del rischio tromboembolico, che potrebbe derivare dalla capacità dell’acido tranexamico di stabilizzare la formazione dei coaguli.
Gli interventi di chirurgia ortopedica protesica, in particolare l’artroplastica totale di ginocchio ed anca, sono procedure a medio-alto rischio emorragico e possono determinare la necessità di ricorrere alla trasfusione di unità di emazie concentrate, che espongono il paziente ad una serie di potenziali rischi: trasmissione di malattie infettive, immunosoppressione, aumento di infezioni batteriche post-operatorie, sensibilizzazione immunitaria, danno polmonare acuto associato alla trasfusione, emolisi intravascolare, coagulopatia indotta da trasfusione, insufficienza renale, ammissione in terapia intensiva, aumento di morbidità e mortalità ed infezioni protesiche. La riduzione del sanguinamento e delle emotrasfusioni, ottenuta grazie alla somministrazione di acido tranexamico, risulta quindi vantaggiosa per il paziente, in quanto riduce i rischi correlati alla pratica trasfusionale e determina una minore compromissione dello stato generale del paziente, un più rapido recupero della mobilizzazione, una degenza più breve e una riduzione della morbilità a breve termine.
Anche il rapporto costo-efficacia del farmaco è ottimo, in quanto la pratica trasfusionale rappresenta un importante capitolo di spesa per il sistema sanitario, basti considerare che una singola unità di emazie concentrate ha un costo che supera i 185 euro e, per l’intero processo di erogazione della terapia trasfusionale, si raggiunge una cifra complessiva che supera i 400 euro per singola unità trasfusa. Inoltre, il costo crescente delle singole unità, si va a sommare a quello correlato ad una degenza prolungata, la quale è stata dimostrata in numerosi studi. L’acido tranexamico, riducendo il numero di emotrasfusioni, permette quindi di diminuire anche il costo notevole associato a questa pratica.
Attualmente, sebbene questo farmaco antifibrinolitico venga somministrato frequentemente in interventi di chirurgia ortopedica protesica, non esistono ancora linee guida pubblicate dalle Società Scientifiche di Ortopedia o di Anestesia, che ne regolino l’utilizzo in questo ambito. Si sta ancora valutando quale sia il miglior regime di somministrazione del farmaco.
I risultati ottenuti nell’ambito della chirurgia ortopedica protesica, hanno suggerito nuove possibilità di utilizzo del farmaco antifibrinolitico acido tranexamico, il quale potrebbe rappresentare una risorsa anche in interventi di chirurgia ortopedica oncologica.
Gli interventi di chirurgia ortopedica oncologica sono spesso caratterizzati da abbondanti perdite ematiche, in particolare in quelle procedure che prevedono una resezione ossea maggiore seguita da ricostruzione. La patologia neoplastica, infatti, è caratterizzata da fenomeni di angiogenesi e neovascolarizzazione, di elevata entità soprattutto per tumori estesi e voluminosi; inoltre comporta un aumento dell’attività fibrinolitica. Questi pazienti possono presentare anche una riduzione dei fattori della coagulazione, ipoproteinemia, perdita di fattori emostatici, disfunzione piastrinica. Un’altra importante caratteristica del paziente oncologico è la frequente presenza di anemia preoperatoria, la quale è peggiorata dall’effetto mielosoppressivo della chemioterapia e può avere ripercussioni anche sulla perdita ematica totale in interventi chirurgici.
L’elevato sanguinamento associato alla procedura chirurgica, comporta il successivo ricorso a trasfusioni di sangue allogenico, che nel paziente oncologico possono determinare anche uno stimolo alla crescita e alla recidiva tumorale. Dati gli effetti potenzialmente deleteri della trasfusione di più unità di emazie concentrate allogeniche, sono state introdotte delle strategie per ridurle, come il prelievo di sangue autologo precedente all’intervento chirurgico. Questa, tuttavia, è una pratica costosa, ostacolata dalla caratteristica presenza di anemia preoperatoria nel paziente oncologico, dalla necessità di programmare accuratamente gli interventi, dal breve periodo di conservabilità delle unità di sangue, dalle condizioni cliniche ed ematologiche del paziente. Anche l’utilizzo di dispositivi intraoperatori di recupero del sangue non è applicabile, poiché comportano il rischio di re-infusione di cellule tumorali vitali.
Proprio per le limitate possibilità di determinare una riduzione del sanguinamento e delle emotrasfusioni in interventi di chirurgia ortopedica oncologica, si sta iniziando a valutare la possibilità di introdurre l’utilizzo di antifibrinolitici come l’acido tranexamico. Questo rappresenta un tema emergente in letteratura scientifica e sono necessari ulteriori trials per confermare l’efficacia e la sicurezza di questo farmaco. Quest’ultimo punto è fondamentale, in quanto uno dei problemi che potrebbero limitare l’introduzione dell’acido tranexamico in chirurgia ortopedica oncologica, è proprio l’aspetto della sicurezza della sua attività antifibrinolitica, che potrebbe aumentare il rischio tromboembolico nel paziente con patologia neoplastica (che è superiore rispetto a quello della popolazione generale, in particolare nel periodo peri-operatorio).
Alla luce dei buoni risultati che stanno emergendo negli ultimi anni e della necessità di nuovi trials, abbiamo condotto uno studio, per valutare retrospettivamente i risultati ottenuti dalla somministrazione perioperatoria di acido tranexamico in pazienti sottoposti ad interventi di resezione ossea maggiore per neoplasia e successiva ricostruzione (utilizzando tecniche di vario genere), in termini di modifica della necessità di ricorso a terapia emotrasfusionale. Lo studio è stato condotto sui pazienti trattati tra il Gennaio 2016 e il Dicembre 2019, presso la UO di Ortopedia e Traumatologia 2 della Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (AOUP). Sono stati selezionati dal database di reparto i pazienti sottoposti ad interventi di resezione ossea per neoplasia, nel periodo sopra riportato e sono stati quindi suddivisi in un gruppo G1, ai quali era stato somministrato acido tranexamico durante l’intervento e in un gruppo G2, al quale non era stato somministrato alcun antifibrinolitico endovenoso.
Confrontando i due gruppi, è stata valutata la differenza in termini di perdite ematiche e del numero di Unità Internazionali di emazie concentrate trasfuse, in fase intra- e post-operatoria, come indicatore dell’efficacia dell’acido tranexamico. Dallo studio è emerso che la somministrazione del farmaco sembra correlare con una riduzione non significativa del sanguinamento intraoperatorio ma, al tempo stesso, con una riduzione significativa del sanguinamento e del numero di emotrasfusioni nel periodo post-operatorio.
Inoltre, nonostante tutti i pazienti siano stati sottoposti alla stessa profilassi anti-tromboembolica, nel gruppo G1 non si sono registrati eventi di trombosi venosa profonda o embolia polmonare, mentre nel gruppo G2 si è riscontrato 1 caso di trombosi venosa profonda. Questo rappresenta un dato positivo, in termini di sicurezza del farmaco.
Dalle pubblicazioni presenti in letteratura e dai risultati del nostro studio, si conferma che il farmaco potrebbe effettivamente rappresentare una risorsa preziosa nel trattamento di pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia ortopedica oncologica e nel miglioramento del loro outcome. In particolare, diminuendo il sanguinamento ed il numero di emotrasfusioni nel periodo post-operatorio. La minore richiesta di emotrasfusioni potrebbe correlare, a sua volta, con una minore compromissione dello stato generale del paziente, un più rapido recupero della mobilizzazione, una riduzione della morbilità a breve termine e un accorciamento della durata della degenza. Inoltre, risulterebbe anche economicamente vantaggiosa, consentendo di diminuire la spesa associata alla pratica trasfusionale e alla conseguente degenza prolungata.
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