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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-06172023-153455


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
DE ROSA, ELISA
URN
etd-06172023-153455
Titolo
Le società di godimento
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Bartalena, Andrea
Parole chiave
  • comunione
  • godimento
  • società
Data inizio appello
17/07/2023
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
17/07/2093
Riassunto
L’elaborato si occupa delle società di godimento e, cioè, di quelle società mediante le quali i soci, ab initio o durante societate, si limitano a svolgere un’attività meramente conservativa.
La trattazione dell’argomento implica, preliminarmente, una analisi storico-giuridica dell’istituto societario, nonché una breve riflessione comparatistica concernente la possibilità, in altri paesi europei (come la Francia e la Germania), di utilizzarlo per lo svolgimento in forma collettiva di attività puramente gestorie.
Il fenomeno delle società di mero godimento costituisce prassi diffusa anche nell’ordinamento italiano, dove è – al contempo – attualmente inammissibile, poiché contrastante con gli artt. 2247 e 2248 c.c. Inoltre, risente dei complessi rapporti intercorrenti tra la società, la cui costituzione – in linea di principio e salvi i casi espressamente previsti dalla legge – dovrebbe essere riservata a coloro che intendano svolgere un’attività di tipo imprenditoriale, e la comunione di godimento, preordinata, invece, al semplice esercizio, sempre in forma collettiva, dei poteri tipicamente riconosciuti al proprietario. Ebbene, uno dei principali obiettivi perseguiti dai privati, mediante la costituzione di una società di mero godimento, è proprio quello di sottrarsi al regime – per loro più sfavorevole – della comproprietà, per assoggettarsi a quello societario.
Il fenomeno deviante – che spesso assume le forme di società immobiliare di comodo ovvero di holding di mera partecipazione – è destinato a rimanere sostanzialmente impunito, quando assume le vesti di società di capitali con oggetto sociale formalmente lecito e, cioè, in tutti i casi in cui le parti abbiano premura di indicare, nell’atto costitutivo di tali società, la programmazione di un’attività di tipo produttivo. Soprattutto con riferimento alle società di capitali, infatti, l’impossibilità di reprimere efficacemente il fenomeno dal punto di vista del diritto civile, nonché attraverso l’espletamento degli istituti di carattere endosocietario, ha indotto il legislatore a cercare rimedio nella legislazione speciale: nell’ambito delle leggi finanziarie, che annualmente si susseguono, risalentemente, vengono inserite disposizioni volte ad agevolare lo scioglimento delle società commerciali non operative ovvero la loro trasformazione in società semplici. L’intento del legislatore fiscale era ed è tutt’ora quello di disincentivare la costituzione delle società commerciali di comodo e di indurre quelle già esistenti a estinguersi. Tuttavia, la concessione legislativa della possibilità, per le anzidette società, di trasformarsi in società semplici ha indotto gli interpreti a interrogarsi in ordine all’attuale portata applicativa dell’art. 2248 c.c., nonché alla conseguente, “sopravvenuta” legittimità delle società semplici di mero godimento, anche nel nostro ordinamento.
L’elaborato affronta la tematica anzi descritta esaminando singolarmente le implicazioni problematiche del fenomeno (in primis, quella del rapporto tra società e comunione, delle differenze intercorrenti tra i due istituti e dei criteri di qualificazione delle singole fattispecie), nonché le sue principali connessioni con gli istituti giuscommercialistici. Si preoccupa, altresì, di individuarne la fenomenologia, mediante la quale si manifesta l’intento di costituire una società per finalità di “segregazione patrimoniale”. Inoltre, dopo aver offerto una ricostruzione dei rimedi di diritto speciale utilizzati dal legislatore per disincentivare il fenomeno, prende posizione con riferimento all’atteggiamento legislativo in oggetto, nonché sulla principale questione interpretativa che ne deriva: quella di una implicita abrogazione dell’art. 2248 c.c. Infine, tenta di proporre delle – tanto ideali quanto auspicabili – soluzioni al problema, le quali, tuttavia, debbono tener conto dell’esigenza di coerenza sistematica che è intrinseca a ogni complesso normativo e che, talvolta, pone il legislatore di fronte a delle “scelte obbligate”.
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