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La guerra del Golfo si colloca in uno snodo fondamentale sia per la storia internazionale, che per quella italiana. Il biennio 1990-‘91 si rivelò cruciale per quanto riguarda l’architettura del cosiddetto “nuovo ordine mondiale”, ma anche per quello che concerne il quadro politico nazionale che si avviava a percorrere l’ultimo miglio della “Prima Repubblica”. L’Italia visse mesi di travaglio sia dentro che fuori le istituzioni, col Parlamento che il 16-17 gennaio 1991 votò infine di aderire alla missione militare.
Il PCI, con alle porte il congresso già convocato e l’imminente trasformazione in PDS, fu protagonista di questa pagina di storia incarnando il volto politico del “no alla guerra”. L’opposizione alla guerra, però, trovò sì vasta eco nella società italiana, ma soprattutto attraverso altri protagonisti: dalla Chiesa, alle associazioni del terzo settore che si schierarono fin dall’ottobre 1990 in occasione della Marcia Perugia-Assisi.
Da analizzare, oltre alle posizioni della maggioranza di Governo, che scelse la via del sostegno all’operazione militare, i punti di vista degli intellettuali dell’epoca, che portarono il mondo accademico e l’opinione pubblica tutta, a interrogarsi sul tema della “guerra giusta”.
Sullo sfondo, il resoconto mediatico del conflitto, tra cronaca e spettacolarizzazione, con la guerra che – per la prima volta nella storia – sbarcò in televisione arrivando (tra filtri e censure) in tempo reale nelle case di tutti gli italiani.