logo SBA

ETD

Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-06152018-132945


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
MOSTI, CHIARA
URN
etd-06152018-132945
Titolo
Cittadinanza e appartenenza nella teoria politica di Kant
Dipartimento
SCIENZE POLITICHE
Corso di studi
STUDI INTERNAZIONALI
Relatori
relatore Prof. De Federicis, Nico
Parole chiave
  • appartenenza
  • citizenship
  • cittadinanza
  • Immanuel Kant
  • membership
  • patriotism
  • patriottismo
Data inizio appello
02/07/2018
Consultabilità
Completa
Riassunto
Cosa significa ‘appartenere’ a una comunità politica? La cittadinanza è la maniera moderna di pensare il rapporto che intercorre tra gli individui e la comunità politica alle cui leggi essi sono sottoposti. Uno dei motivi per cui usiamo la parola ‘cittadinanza’ per indicare ciò che ci lega a uno stato, e non ‘catalogo di diritti e doveri’, è il fatto che la cittadinanza implichi, oltre a essi, qualcosa che chiamiamo appartenenza o membership. Nel Regno Unito, la disuguaglianza tra le classi portò T. H. Marshall a delineare nel saggio Cittadinanza e classe sociale (1950) lo status della cittadinanza come forma di uguaglianza fondamentale, sulla quale edificare anche la struttura della disuguaglianza economica. La cittadinanza implica una eguale dotazione per ognuno di diritti civili, politici e sociali: così, il contratto – che rappresenta la struttura dello stato moderno – può realmente essere un accordo tra esseri umani liberi e uguali. Secondo Marshall l’eguale dotazione di diritti per tutti avrebbe integrato la classe lavoratrice inglese dell’epoca, avrebbe realizzato la loro appartenenza allo stato inglese. Alla base dello stesso contratto marshalliano c’era «un legame di genere differente, una percezione diretta dell’appartenenza alla comunità, appartenenza fondata sulla fedeltà a una civiltà che è possesso comune». Possiamo prescindere da quest’ultima? Quali sono i ‘confini’ dell’appartenenza a uno stato? A cosa precisamente apparteniamo? In questo lavoro affronterò tali domande all’interno della teoria politica di Immanuel Kant. Svilupperò il tema a partire da un’analisi del rapporto tra teoria politica e antropologia. Ogni cittadinanza si giustifica a partire da qualche assunzione sulla nostra natura: ovvero, ciò che pensiamo di essere e chiediamo a noi stessi, come cittadini, è strettamente legato a come ci pensiamo come esseri umani. Pertanto, nel primo capitolo del lavoro affronterò il legame che sussiste tra cittadinanza, appartenenza e antropologia. Illustrerò quindi, a partire dalla visione antropologica che li giustifica, due modelli di cittadinanza, ovvero quella liberale e quella comunitarista. Nel secondo capitolo affronterò gli scritti antropologici di Kant, cercando di fare un confronto tra l’antropologia kantiana, l’antropologia liberale e quella comunitarista. Come si relaziona ciò che dobbiamo fare con ciò che siamo? Kant elabora una chiara distinzione tra il carattere empirico dell’essere umano, che costituisce l’oggetto dell’antropologia, e il carattere intelligibile, che è il punto di partenza della sua filosofia morale. Il dato antropologico, l’«insocievole socievolezza» che contraddistingue la specie umana, segna la difficoltà nella realizzazione di una comunità politica, che resta nondimeno possibile e doverosa. Il terzo capitolo si occupa della elaborazione a priori di un ordine politico, che in ultima istanza per Kant si identifica con un ordine giuridico cosmopolitico. Vedremo anche il significato delle nazioni nel pensiero kantiano. Kant è un filosofo del tardo illuminismo; col romanticismo il concetto di nazione sarebbe poi divenuto ciò attorno a cui edificare l’ordine politico, ma Kant resta ancora al di fuori da una tale prospettiva. Quale significato hanno allora le nazioni nella sua teoria politica? Nel quarto capitolo, e ultimo, cercherò di capire cosa significa essere cittadini per Kant. La cittadinanza kantiana è connessa alla repubblica, che è l’apice del suo pensiero politico. La repubblica è la comunità politica che sola si addice a esseri liberi, dotati di una ragione autonoma, di un carattere intelligibile, e che allo stesso tempo ha il compito di “gestire” la natura umana, la nostra «insocievole socievolezza». Studiando il repubblicanesimo kantiano si può cogliere tutta la tensione insita nei concetti di cittadinanza e di appartenenza, ovvero il tentativo di portare a unità la pluralità di esseri umani con desideri e attitudini differenti. Kant propone una visione unitaria della cittadinanza: tutti i diritti che possiamo pensare devono essere ricondotti all’unico diritto innato, la libertà come indipendenza dall’arbitrio costrittivo altrui. Quale partecipazione e appartenenza ci chiede la cittadinanza kantiana? Nella repubblica siamo legislatori di noi stessi, impegnandoci con gli altri a costruire una giustizia politica comune, grazie alla quale tutti possiamo trovare la nostra eguale libertà e alla cui autorità possiamo sottometterci senza ricorrere a visioni organiche o nazionalistiche. Come nella tradizione repubblicana classica, anche nel pensiero di Kant è presente una necessaria connessione tra libertà e patriottismo. Si tratta di un patriottismo civico, esclusivamente concentrato sulla propria comunità politica come res publica, che include la critica come un elemento necessario dell’appartenenza e ci lascia l’autonomia di scegliere in quale maniera concretizzare l’attenzione speciale per il nostro stato. Questo tipo di partecipazione e di patriottismo è stato successivamente sviluppato nella “terza via” di Philip Pettit e di Jürgen Habermas, oltre l’idea dell’antica città-stato e quella dello stato-nazione, ma fu Kant a vederlo per primo.
File