Tesi etd-06152014-173723 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica
Autore
BASSOTTI, FRANCESCO
URN
etd-06152014-173723
Titolo
Modelli di organizzazione ex d.lgs. 231/2001 e prevenzione dei rischi
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Passalacqua, Michela
Parole chiave
- diritto del rischio
- modelli di organizzazione
- reati presupposto
- rischio reato
Data inizio appello
07/07/2014
Consultabilità
Completa
Riassunto
A tredici anni esatti dall’ingresso nel nostro ordinamento della cosiddetta Responsabilità Amministrativa degli Enti per opera del noto D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, sembra, a parere di chi scrive, che tale tema non sia destinato, almeno per i prossimi anni, a non far parlare di sé.
Il compito di questo studio sarà quello di tradurre in chiave giuridica quella prassi imprenditoriale che oggi è nota con il nome di Risk Management. Per cercare di raggiungere un così alto obbiettivo si ricostruirà l’iter legislativo che ha portato all’introduzione dei Modelli di Organizzazione e gestione dei Rischi.
La comparazione con gli ordinamenti di common law, unita alle pressioni dei nostri “cugini” europei, ci permetterà di capire come le prassi internazionali ci abbiano aiutato a superare il vincolo dettato dal brocardo latino del Societas delinquere non potest.
Ripercorso tale iter, a cui si deve l’emanazione della legge delega n. 300 del 2000, si passerà attraverso i principi cardine di questo “microcodice” che è stato racchiuso nel corpo del D. lgs. n. 231/2001 agli articoli 1), 2), 3) e 4). Tale analisi ha permesso di arricchire l’elaborato con i contributi espressi dalla dottrina in questi anni. Non mancheranno critiche alle scelte espresse dal legislatore delegato, soprattutto, si dirà, sotto il profilo del nomen iuris scelto.
Superata questa fase di inquadramento a livello di diritto sostanziale, ci si è posti l’obiettivo di circoscrivere l’ambito di applicazione della disciplina della responsabilità degli enti. In questo caso, i limiti espressi dal delegato sono stati recepiti positivamente, distinguendosi tra criteri oggettivi di attribuzione e criteri soggettivi.
Tra i primi, si può denotare l’evolversi dei concetti di Interesse e Vantaggio che l’ente ricava dal verificarsi del reato presupposto. Invece, sotto il profilo soggettivo, o meglio, sotto il profilo di qualifica all’interno dell’ente del soggetto cui è imputabile il reato da cui viene fatta risalire anche la responsabilità dell’ente, apprezzeremo la definizione di Soggetti Apicali e Sottoposti. Bisogna ricordare, infatti, che tale disciplina nasce per mitigare i crimini dei cosiddetti Colletti Bianchi.
Proseguendo con la trattazione, facendo riferimento agli articoli 24 e 25 del D.lgs. 231/2001, vedremo come da un’ipotesi iniziale ristretta, in cui venivano ascritti all’ente a titolo di responsabilità solo poche fattispecie, si è rapidamente passati ad un corposo ampliamento di tali ipotesi, sino all’inserimento dell’articolo 25 duodecies operato dal legislatore con il D. Lgs. del 16 luglio 2012, n. 109. Da questo modus operandi si evidenzierà come il legislatore scelse non avvalersi dei poteri collegati alla legge delega, bensì ha consacrato le nuove fattispecie a seguito di puntuali ed autonomi interventi legislativi.
Tra questi interventi successivi al D. Lgs. n. 231/2001, abbiamo scelto di posizionare il nostro focus, non potendo trattare tutte le fattispecie in tal sede, sull’articolo 25 undecies che disciplina il caso di connessione della responsabilità degli enti all’ampia gamma dei reati ambientali. Tale inserimento, resosi necessario per rispettare gli impegni sanciti dalla Direttiva n. 2008/99/CE e la connessa Direttiva n. 2009/123/CE (che modificava la Direttiva 2005/35/CE) si è concretizzato con l’emanazione del D. Lgs. n. 121/2011. In particolare, la prima direttiva sopra richiamata risultò molto importante per l’aver imposto agli Stati membri di approntare sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive in relazione a condotte offensive dell’ambiente. Rispetto a tutte le altre ipotesi presenti nel decreto, il caso dei reati ambientali è stato scelto, non tanto per le sue complessità di diritto sostanziale in tema penale, bensì per il sistema di Risk management che deve essere attivato da tutti gli enti che potrebbero avere ripercussioni sull’ambiente in virtù della propria attività.
Proprio sullo slancio della responsabilità ex articolo 25 undecies, si procederà all’individuazione dell’ultimo punto d’interesse di questo studio. Infatti, per raggiungere l’obiettivo che ci si era posti, non si poteva che giungere alla “porta d’accesso” al Diritto del Rischio. Il fascino per questa materia che, a parere di chi scrive, racchiude in sé i principi propri dell’Analisi Giuridica dell’Economia mutandoli e piegandoli al proprio specifico campo d’analisi, ci ha permesso di considerare la responsabilità amministrativa degli enti come una “tecnica anticipativa del rischio”, intesa come risposta diretta alle esigenze di prevenzione e quindi ad un’anticipazione della tutela, di cui, come si dirà, i Modelli organizzativi ex D.lgs. n. 231/2001 costituiscono una delle più efficaci espressioni.
In tutta la trattazione il vero fil rouge sarà rinvenuto nell’analisi dei profili di rischio che viene espressa dagli enti con la creazione dei modelli organizzativi e di gestione dei rischi, il tutto sotto la lente di un legislatore sempre più attento alla prevenzione dei reati che potrebbero essere scongiurati grazie ad una gestione sempre più efficace, nonché necessaria, da parte degli enti.
Il compito di questo studio sarà quello di tradurre in chiave giuridica quella prassi imprenditoriale che oggi è nota con il nome di Risk Management. Per cercare di raggiungere un così alto obbiettivo si ricostruirà l’iter legislativo che ha portato all’introduzione dei Modelli di Organizzazione e gestione dei Rischi.
La comparazione con gli ordinamenti di common law, unita alle pressioni dei nostri “cugini” europei, ci permetterà di capire come le prassi internazionali ci abbiano aiutato a superare il vincolo dettato dal brocardo latino del Societas delinquere non potest.
Ripercorso tale iter, a cui si deve l’emanazione della legge delega n. 300 del 2000, si passerà attraverso i principi cardine di questo “microcodice” che è stato racchiuso nel corpo del D. lgs. n. 231/2001 agli articoli 1), 2), 3) e 4). Tale analisi ha permesso di arricchire l’elaborato con i contributi espressi dalla dottrina in questi anni. Non mancheranno critiche alle scelte espresse dal legislatore delegato, soprattutto, si dirà, sotto il profilo del nomen iuris scelto.
Superata questa fase di inquadramento a livello di diritto sostanziale, ci si è posti l’obiettivo di circoscrivere l’ambito di applicazione della disciplina della responsabilità degli enti. In questo caso, i limiti espressi dal delegato sono stati recepiti positivamente, distinguendosi tra criteri oggettivi di attribuzione e criteri soggettivi.
Tra i primi, si può denotare l’evolversi dei concetti di Interesse e Vantaggio che l’ente ricava dal verificarsi del reato presupposto. Invece, sotto il profilo soggettivo, o meglio, sotto il profilo di qualifica all’interno dell’ente del soggetto cui è imputabile il reato da cui viene fatta risalire anche la responsabilità dell’ente, apprezzeremo la definizione di Soggetti Apicali e Sottoposti. Bisogna ricordare, infatti, che tale disciplina nasce per mitigare i crimini dei cosiddetti Colletti Bianchi.
Proseguendo con la trattazione, facendo riferimento agli articoli 24 e 25 del D.lgs. 231/2001, vedremo come da un’ipotesi iniziale ristretta, in cui venivano ascritti all’ente a titolo di responsabilità solo poche fattispecie, si è rapidamente passati ad un corposo ampliamento di tali ipotesi, sino all’inserimento dell’articolo 25 duodecies operato dal legislatore con il D. Lgs. del 16 luglio 2012, n. 109. Da questo modus operandi si evidenzierà come il legislatore scelse non avvalersi dei poteri collegati alla legge delega, bensì ha consacrato le nuove fattispecie a seguito di puntuali ed autonomi interventi legislativi.
Tra questi interventi successivi al D. Lgs. n. 231/2001, abbiamo scelto di posizionare il nostro focus, non potendo trattare tutte le fattispecie in tal sede, sull’articolo 25 undecies che disciplina il caso di connessione della responsabilità degli enti all’ampia gamma dei reati ambientali. Tale inserimento, resosi necessario per rispettare gli impegni sanciti dalla Direttiva n. 2008/99/CE e la connessa Direttiva n. 2009/123/CE (che modificava la Direttiva 2005/35/CE) si è concretizzato con l’emanazione del D. Lgs. n. 121/2011. In particolare, la prima direttiva sopra richiamata risultò molto importante per l’aver imposto agli Stati membri di approntare sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive in relazione a condotte offensive dell’ambiente. Rispetto a tutte le altre ipotesi presenti nel decreto, il caso dei reati ambientali è stato scelto, non tanto per le sue complessità di diritto sostanziale in tema penale, bensì per il sistema di Risk management che deve essere attivato da tutti gli enti che potrebbero avere ripercussioni sull’ambiente in virtù della propria attività.
Proprio sullo slancio della responsabilità ex articolo 25 undecies, si procederà all’individuazione dell’ultimo punto d’interesse di questo studio. Infatti, per raggiungere l’obiettivo che ci si era posti, non si poteva che giungere alla “porta d’accesso” al Diritto del Rischio. Il fascino per questa materia che, a parere di chi scrive, racchiude in sé i principi propri dell’Analisi Giuridica dell’Economia mutandoli e piegandoli al proprio specifico campo d’analisi, ci ha permesso di considerare la responsabilità amministrativa degli enti come una “tecnica anticipativa del rischio”, intesa come risposta diretta alle esigenze di prevenzione e quindi ad un’anticipazione della tutela, di cui, come si dirà, i Modelli organizzativi ex D.lgs. n. 231/2001 costituiscono una delle più efficaci espressioni.
In tutta la trattazione il vero fil rouge sarà rinvenuto nell’analisi dei profili di rischio che viene espressa dagli enti con la creazione dei modelli organizzativi e di gestione dei rischi, il tutto sotto la lente di un legislatore sempre più attento alla prevenzione dei reati che potrebbero essere scongiurati grazie ad una gestione sempre più efficace, nonché necessaria, da parte degli enti.
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