logo SBA

ETD

Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-06142020-101530


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
SANNICOLA, MARIELLA
URN
etd-06142020-101530
Titolo
La crisi valutaria del 1992: l'intervento delle autorità monetarie
Dipartimento
ECONOMIA E MANAGEMENT
Corso di studi
FINANZA AZIENDALE E MERCATI FINANZIARI
Relatori
relatore Bientinesi, Fabrizio
Parole chiave
  • crisi valutaria
Data inizio appello
06/07/2020
Consultabilità
Tesi non consultabile
Riassunto
Il lavoro prende in considerazione i principali avvenimenti che hanno influenzato l'evoluzione economica finanziaria del nostro Paese nella crisi del cambio 1992,ho voluto concentrare l'attenzione sugli avvenimenti a partire dal 1979 e analizzando l'intervento delle autorità monetarie.
Allora non esisteva l’Euro, esisteva il Sistema Monetario Europeo con una sorta di valuta di riferimento, l’ECU, a cui le varie valute nazionali aderenti al sistema dovevano stare agganciate, entro una percentuale di scostamento non superiore al 2,25% per alcune e al 6% per altre, fra cui la lira. La Germania vantava di un’economia più solida di altri, con un sistema produttivo di avanguardia e con una moneta forte che faceva da riferimento per tutte le economie. L’Italia aveva un’ economia che si doveva adattare continuamente alle conseguenze di una gestione del paese sconsiderata, miope e orientata al breve termine, frutto di una incompetenza della classe politica.
Nel marzo 1979, l’Italia aveva aderito al Sistema Monetario Europeo, una decisione orientata, insieme con la politica estera, al rafforzamento dei vincoli comunitari nell’intento di dar luogo alla creazione di un’Europa Unita; consapevoli che questa sarebbe stata una scelta più di carattere politico che economica. L’adesione allo Sme avvenne in un clima di divergenza, Paolo Baffi allora governatore della Banca d’Italia, faceva infatti presente che una valuta debole come la lira, avrebbe trovato difficoltà ad abbandonare il regime delle svalutazioni facile.
diversi economisti, oltre a Baffi,al di là di dove sedessero, se in Parlamento come Luigi Spaventa o alla direzione della Banca d'Italia o ancora all'interno del governo come Rinaldo Ossola, sostenevano la loro contrarietà all'ingresso nel Sistema Monetario Europeo, esponendo motivazioni tra loro eterogenee.
Tutti si attendevano che il vincolo esterno dei cambi stabili costringesse il paese a seguire una politica di rigorosa stabilità monetaria. L’Italia aveva ottenuto il privilegio di una banda di oscillazione del 6%, contro il 2,5% degli altri paesi, ma tutti intendevano che l’adesione all’accordo di cambio avrebbe imposto una politica di rientro all’inflazione. Contro le aspettative generali, l’inflazione proseguì invece più violenta di prima.
Il tasso di cambio, assunse con l’avanzare del progetto unitario una significatività crescente, aggiungendo alla sua funzione di strumento di orientamento, quella di fattore di credibilità. Le autorità monetarie italiane non accettarono mai una svalutazione esterna della lira pari a quella interna. Fra il 1980 e il 1987, i riallineamenti di parità nell’ambito dello Sme si susseguirono numerosi e coinvolsero numerose valute. Ogni riallineamento segnò una svalutazione della lira rispetto al marco. Dopo il 1987, i riallineamenti vennero sospesi e il corso della lira subì un solo ritocco al ribasso, in occasione del rientro della banda stretta.
La politica di fatto seguita fu dunque quella di una graduale rivalutazione della lira, in termini reali, rispetto al marco.
All’inizio degli anni novanta venne firmato il trattato di Maastricht, il contenuto degli accordi si inseriva in un contesto politico- sociale interno altamente critico, nel quale le energie politiche a lungo represse dalla guerra fredda si erano liberate, grazie al crollo del Muro di Berlino, spingendo quindi gli equilibri del sistema politico e economico con una rottura che si verificò del tutto nel 1992. Se il processo d’integrazione europeo era stato spesso rappresentato dalla classe politica come una sorta di panacea alle tare italiane, a Maastricht, si celebrò l’innocenza dell’europeismo italiano che vide stravolgere e crollare la visione retorica con la quale aveva guardato alla costruzione europea a partire degli anni ’70. Per la storia dell’integrazione europea, il trattato di Maastricht rappresenta una pietra miliare, anche se con l’entrata in vigore ha creato ancora più instabilità, in quanto caratterizzato da uno scarso realismo degli obiettivi di convergenza delle variabili macroeconomiche, da mancanza flessibilità e insieme da asimmetrie dei comportamenti possibili delle banche centrali. La scena economica internazionale era segnata da: tendenze divergenti dei tassi di interesse, al ribasso negli Stati Uniti per rilanciare l’economia, al rialzo in Germania per gli effetti dell’unificazione tedesca, con conseguenti indebolimenti del dollaro, rafforzamento del marco, tensione nello Sme; le incertezze circa il completamento della unificazione monetaria in Europa, quale è stata sancita nel trattato di Maastricht. Questi sviluppi esterni coglievano l’economia italiana in una fase di attività produttiva debole, inflazione in lenta discesa, squilibri irrisolti nella finanza pubblica. Tra gli accadimenti che sono susseguiti, sono da richiamare i seguenti: l’esito negativo del referendum danese sul trattato di Maastricht del 2 giugno, infatti il referendum di Copenaghen si conclude al fotofinish (50,7%) di no contro il (49,3%) di si; mancata riduzione dei tassi di interesse in Germania; voci di svalutazione della lira; rialzo dei tassi ufficiali in Germania.
Nel corso dell’anno 1992 si assiste a una piena recessione, infatti con il debito pubblico al 105,5 del Pil, con un fabbisogno attorno al 10,4 del Pil, con il passivo della bilancia dei pagamenti di parte corrente in crescita, la crisi era alle porte.
Il 6 giugno la Banca d’Italia aumenta il tasso sulle anticipazioni a scadenza fissa di mezzo punto percentuale, irrigidendo così la politica monetaria, Moody’s mise sotto controllo l’Italia per la sua incapacità nella riduzione del debito pubblico. Il 29 giugno il cambio contro il marco arrivò a 756,54 a fronte di una sostanziale stabilità nei confronti della sterlina e della peseta, Amato per effettuare un risanamento economico annunciò il 5 luglio la manovra da 30000 miliardi di lire, e con quella successiva di 100000 miliardi dà inizio al risanamento finanziario del Paese.
Le vicende relative alle turbolenze che hanno sconvolto le parità valutarie dei paesi aderenti allo Sme hanno avuto inizio con la svalutazione del 7% della lira, la quale appariva quasi un riallineamento da manuale. Il 21 settembre, la Banca d’Italia, annunciò che le autorità monetarie si sarebbero astenute all’effettuare la quotazione ufficiale della lira. Questo fu un colpo durissimo per l’Italia che fino a quella data, aveva fatto del cambio della lira l’architrave della sua politica economica e finanziaria, sostenendo pesanti oneri in termini di riserve valutarie, infatti tra il giugno e il settembre vennero impiegate 53000 miliardi di riserve; colpo durissimo anche per la Comunità, colpita al cuore proprio nello strumento fondamentale, lo SME, investito nel ruolo di preparare e garantire le condizioni di stabilità, generalizzata e consolidata, che avrebbero dovuto, poi consentire quel salto di qualità dell’Europa, con il decollo della Unione Economica e monetaria, la moneta unica e il sistema delle banche centrali europee. Successivamente le tensioni speculative investono la lira , la sterlina e la peseta: momento in cui Italia e Gran Bretagna annunciano di uscire dagli Accordi europei di cambio.
Subito dopo la svalutazione del 1992, si aprì un periodo di svalutazione generale della lira rispetto alle altre monete, periodo che si protrasse all’incirca fino al marzo 1993.
Tra il 1992 e 1993 vennero firmati due accordi triangolari il protocollo Amato 31 luglio 1992 che abolì il sistema di scala mobile, completato da Ciampi nel luglio 1993, con la quale si fissarono gli obiettivi comuni di politica di reddito. Dopo di allora la lira rimase agganciata al dollaro. Il legame fra lira e dollaro potrebbe essere frutto dell’agire spontaneo dei mercati, ma potrebbe anche essere scaturito dalla decisione delle autorità monetarie italiane di ritornare alla vecchia linea di cambio differenziato, già seguita negli anni prima del 1979, fino all’ingresso dello Sme. Il problema essenziale delle autorità di governo era quello di evitare che la svalutazione esterna della lira si traducesse in inflazione importata, l’aver agganciato la lira al dollaro può essere inteso come una misura ragionevolmente coerente con l’obiettivo della stabilità monetaria. Di certo che la svalutazione della lira non ha contribuito alla soluzione del problema economico italiano, ha rischiato di aggravarlo producendo perdita di credibilità per il Paese.
La crisi del sistema monetario europeo ha favorito una ripresa dei dibattiti teorici sui modelli di crisi valutarie, che si distinguono tra prima e seconda generazione, quelli di prima collegano l’emergere della crisi all’incompatibilità tra politiche macroeconomiche e stabilità del cambio; quelli di seconda, il cui sviluppo è stato stimolato dagli stessi fatti del 1992, nella quale l’emergere di una crisi appare come una scelta endogena, effettuata dalle autorità in base alle proprie preferenze e all’interazione con gli agenti economici privati. Analizzando i modelli si può concludere che mentre la rappresentazione di un regime di cambio fisso per mezzo di un livello puntuale del cambio non rappresenta un limite interpretativo rilevante, le ipotesi relative al processo di espansione del credito e all’esistenza di un livello di soglia delle riserve, nei modelli di Krugman, non sembrano dar conto adeguatamente della realtà dei fenomeni economici.
I modelli di prima generazione danno una spiegazione “fondamentalista” delle crisi nel senso che fanno risalire la crisi allo sfasamento dei fondamentali macroeconomici dell’economia, in particolare l’esistenza di politiche fiscali espansive e prolungati deficit di bilancio incompatibili con un impegno di cambio fisso. I modelli di seconda generazione sottolineano il comportamento ottimizzante del policy-maker che non subisce più la crisi, ma decide di avviarla perché tale scelta minimizza i costi, nel senso che i costi in termini di reputazione a cui il governo va incontro uscendo dall’impegno sono comunque minori dei costi di rimanere in termini di incremento dei tassi di interesse e riduzione delle riserve valutarie.
I modelli di terza generazione pongono enfasi sulla presenza di squilibri di natura finanziaria con la conseguenza che delle crisi valutarie non sono più viste come fenomeni a sé stanti ma come parte di una crisi sistemica in cui le crisi valutarie e bancarie si autoalimentano. Le ipotesi di perfetta previsione, d’altra parte, implicano che la razionalità degli agenti sia tale da non permette il realizzarsi di peso problem, i quali invece vengono osservati nella realtà.
(Riassunto tradotto in inglese)
Labour takes into account the main events that influenced the financial economic development of our country in the 1992 exchange rate crisis, I wanted to focus on the events since 1979 and analysing the intervention of the monetary authorities.
At that time there was no euro, there was the European Monetary System with a kind of reference currency, the ECU, to which the various national currencies participating in the system had to be hooked, within a variance rate of no more than 2.25% for some and 6% for others, including the lira. Germany boasted of an economy stronger than others, with a state-of-the-art production system and a strong currency that was the benchmark for all economies. Italy had an economy that had to adapt continuously to the consequences of a reckless, short-sighted and short-term management of the country, the result of an incompetence of the political class.
In March 1979, Italy had joined the European Monetary System, a decision aimed, together with foreign policy, at strengthening EU ties in order to create a united Europe; aware that this would be a more political than an economic choice. The accession to the Sme took place in a climate of divergence, Paolo Baffi then governor of the Bank of Italy, in fact, pointed out that a weak currency such as the lira, would find it difficult to abandon the regime of devaluations easy.
several economists, in addition to Baffi, beyond where they sat, whether in Parliament as Luigi Spaventa or at the management of the Bank of Italy or even within the government as Rinaldo Ossola, argued their opposition to entry into the European Monetary System, exposing heterogeneous motivations among themselves.
Everyone expected that the external constraint of stable exchange rates would force the country to follow a policy of strict monetary stability. Italy had obtained the privilege of a 6% swing band, compared with 2.5% in the other countries, but all wanted that accession to the exchange agreement would impose a policy of returning to inflation. Against general expectations, however, inflation continued more violent than before.
The exchange rate, as the unitary project progressed, became increasingly significant, adding to its role as a guideline, that of a credibility factor. The Italian monetary authorities never accepted an external devaluation of the lira equal to the internal one. Between 1980 and 1987, the realignments of parity within the Sme followed numerous and involved numerous currencies. Each realignment marked a devaluation of the lira against the mark. After 1987, the realignments were suspended and the course of the lira underwent only one downward adjustment, on the occasion of the return of the narrow band.
The policy followed was therefore that of a gradual revaluation of the lira, in real terms, with respect to the mark.
At the beginning of the 1990s the Maastricht Treaty was signed, the content of the agreements was part of a highly critical internal political-social context, in which political energies long repressed by the Cold War had been freed, thanks to the collapse of the Berlin Wall, thus pushing the balance of the political and economic system with a break that occurred entirely in 1992. If the process of European integration had often been portrayed by the political class as a kind of panacea to the Italian tare, in Maastricht, the innocence of Italian Europeanism was celebrated, which saw the rhetorical vision with which it had looked to the construction of Europe since the 1970s, overturned and collapsed. For the history of European integration, the Maastricht Treaty represents a milestone, although with the entry into force it has created even more instability, as it is characterized by a lack of realism in the convergence objectives of macroeconomic variables, lack of flexibility and at the same time as asymmetries of the possible behaviour of central banks. The international economic scene was marked by: divergent trends in interest rates, downwards in the United States to boost the economy, up in Germany due to the effects of unification

Germany, resulting in a weakening of the dollar, a strengthening of the mark, tension in the SME; The uncertainty about the completion of monetary unification in Europe, as enshrined in the Maastricht Treaty, is. These external developments caught the Italian economy in a period of weak production activity, slow-falling inflation, unresolved imbalances in public finances. Among the events that have followed, the following are to be recalled: the negative outcome of the Danish referendum on the Maastricht Treaty of 2 June, in fact the Copenhagen referendum ends at photofinish (50.7%) no versus (49.3%) yes; failure to reduce interest rates in Germany; rumours of the valuation of the lira; official interest rates in Germany.
During the year 1992 there is a full recession, in fact with public debt at 105.5 of GDP, with a requirement around 10.4 of GDP, with the passive of the current account balance growing, the crisis was upon us.
On 6 June, the Bank of Italy increased the rate on fixed-term advances by half a percentage point, thus tightening monetary policy, and Moody's brought Italy under control for its inability to reduce public debt. On 29 June, the exchange rate against the mark reached 756.54 in the face of substantial stability against the pound and the peseta, Amato to carry out an economic recovery announced on 5 July the maneuver of 30000 billion lre, and with the next one of 100000 billion begins the financial consolidation of the country.
The events surrounding the turmoil that have disrupted the currency parities of the SME member countries began with the devaluation of 7% of the lira, which appeared to be almost a textbook realignment. On 21 September, the Bank of Italy announced that the monetary authorities would refrain from making the official listing of the lira. This was a very serious blow for Italy, which until that date had made the lira change the backbone of its economic and financial policy, bearing heavy burdens in terms of foreign exchange reserves, in fact between June and September 53 trillion reserves were used; It is also a very serious blow for the Community, which has been struck at the heart by the fundamental instrument, the EMS, which has been invested in the role of preparing and guaranteeing the conditions of stability, generalised and consolidated, which should have allowed Europe to jump in quality, with the take-off of the Economic and Monetary Union, the single currency and the system of European central banks. Subsequently, speculative tensions hit the lira, sterling and peseta, when Italy and Great Britain announced they were leaving the European Exchange Agreements.
Immediately after the devaluation of 1992, a period of general devaluation of the lira against the other currencies opened up, which lasted approximately until March 1993.
Between 1992 and 1993, two triangular agreements were signed, the Amato protocol on 31 July 1992, which abolished the escalator system, which was completed by Ciampi in July 1993, which set common income policy objectives. After that, the lira remained pegged to the dollar. The link between the lira and the dollar may be the result of the spontaneous action of the markets, but it could also have stemmed from the decision of the Italian monetary authorities to return to the old differentiated exchange line, which was already followed in the years before 1979, until the entry of the Sme. The main problem of the government authorities was to prevent the external devaluation of the lira from translating into imported inflation, the having pegged the lira to the dollar can be understood as a measure reasonably consistent with the objective of monetary stability. Certainly the devaluation of the lira did not contribute to the solution of the Italian economic problem, it risked aggravating it, producing a loss of credibility for the country.
The crisis in the European monetary system has encouraged a resumption of theoretical debates on currency crisis patterns, which stand out between the first and second generations, those of first generation link the emergence of the crisis to the incompatibility between macroeconomic policies and exchange rate stability; Second, the development of which was stimulated by the same events of 1992, in which the emergence of a crisis appears to be a choice "It's not just a way of using private economic agents," he said. By analysing the models, it can be concluded that while the representation of a fixed exchange rate regime by means of a timely exchange rate does not represent a relevant interpretive limit, assumptions about the credit expansion process and the existence of a level of reserve threshold, in Krugman's models, do not seem to adequately account for the reality of economic phenomena.
First-generation models give a "fundamentalist" explanation of crises in the sense that the crisis is traced back to the shift in macroeconomic fundamentals of the economy, in particular the existence of expansionary fiscal policies and prolonged budget deficits incompatible with a fixed exchange rate commitment. The second-generation models emphasize the optimising behaviour of the policy-maker who is no longer suffering from the crisis, but decides to start it because this choice minimizes costs, in the sense that the reputation costs that the government faces by exiting the commitment are still lower than the costs of staying in terms of raising interest rates and reducing currency reserves.
Third-generation models place emphasis on financial imbalances, with the consequence that currency crises are no longer seen as stand-alone phenomena but as part of a systemic crisis in which currency and banking crises feed themselves. The hypotheses of perfect prediction, on the other hand, imply that the rationality of the agents is such that it does not allow the realization of weight problem, which instead are observed in reality.
File