Thesis etd-06132016-180203 |
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Thesis type
Tesi di specializzazione (5 anni)
Author
BINI, GIACOMO
URN
etd-06132016-180203
Thesis title
Frattura da fragilità e percorso ortogeriatrico: sopravvivenza e recupero funzionale
Department
MEDICINA CLINICA E SPERIMENTALE
Course of study
GERIATRIA
Supervisors
relatore Prof. Monzani, Fabio
Keywords
- fragilità ossea
- frattura
- frattura da fragilità
- frattura del femore
- geriatria
- ortogeriatria
- ortopedia
Graduation session start date
06/07/2016
Availability
Full
Summary
Il presente studio è stato condotto su una popolazione di 270 soggetti anziani ≥ 65 anni, di cui 169 donne (75,8%) e 54 uomini (24,2%), con età media (±DS) di 84,2± 6,9 anni, ricoverati in regime di urgenza presso la UO Traumatologia e Ortopedia Universitaria dell’Ospedale Cisanello di Pisa con diagnosi di frattura di collo del femore e seguiti durante la degenza nel percorso ortogeriatrico dall’Aprile 2013 ai primi giorni di Settembre del 2014. Rispetto alla valutazione basale 45 soggetti sono stati esclusi dal follow up (4 non hanno voluto partecipare allo studio, 41 soggetti non sono stati reperibili). Il campione è risultato omogeneo per l’età media nei due sessi (p>0.05). Il 93.3% dei pazienti accedeva in PS per caduta accidentale.
L’obiettivo dello studio era quello di individuare la mortalità media a 18 mesi e i fattori predittivi di morte. I pazienti deceduti sono risultati essere 72 con una sopravvivenza globale dei pazienti del 67,7%. Stratificando la popolazione in base al tipo di intervento chirurgico subito (54 endoprotesi/protesi, 127 osteosintesi). La sopravvivenza nei pazienti che sono andati incontro ad intervento di osteosintesi sia statisticamente superiore rispetto a quello dei pazienti andati incontro a posizionamento di endoprotesi/protesi con p di 0.013 secondo Log Rank (Mantel-Cox test) e una p di 0.043 secondo test Breslow (WilcoxonGeneralized).
La popolazione è stata stratificata in base al grado di autonomia, ADL (pre-evento), di decadimento cognitivo, SPMSQ, al filtrato glomerulare (MDRD) e alle comorbidità valutate tramite CIRS. L’analisi di sopravvivenza eseguita tramite test Log Rank (Mantel-Cox) ha evidenziato un altissimo livello di significatività (p=0,000) tra la mortalità e il livello autonomia pre-evento (ADL<4), decadimento cognitivo (SPMSQ>3) (p=0,002), funzionalità renale(MDRD ≤40 ml/min/ 1,73 m2 ) (p= 0,001).
Conclusioni:
Il nostro studio ha evidenziato che, in base al tipo di frattura, la maggior parte della popolazione è andata incontro ad un intervento di osteosintesi mentre solo un terzo sono stati sottoposti a posizionamento di protesi/endoprotesi, sebbene questo possa costituire un fattore prognostico negativo per la forzata astensione dal carico dell’arto operato che prevede questo tipo di intervento con un maggior rischio di eventi avversi associati all’ipomobilità derivante il nostro studio, tramite un’analisi di sopravvivenza che ha posto in correlazione la sopravvivenza con il tipo di intervento chirurgico, ha evidenziato un notevole vantaggio di sopravvivenza per quei soggetti che sono stati sottoposti ad un intervento di osteosintesi. Ciò potrebbe essere attribuibile al fatto che in effetti si tratta di un intervento meno invasivo e che presenta un grado di sanguinamento minore rispetto all’intervento di sostituzione protesica. Questo dato in disaccordo con altri studi.
L’analisi statistica dei dati ha evidenziato come l’essere ultraottantenni costituisca un fattore prognostico negativo, così come il sesso maschile (34,39), la presenza di un decadimento cognitivo, di una ridotta funzione renale e di disabilità.
Non risulta, invece, significativa la presenza e il grado di comorbidità a riprova del fatto che è la disabilità (fragilità) che più influisce sulla mortalità piuttosto che la presenza di comorbidità.
L’evidenza che la maggior mortalità è associata anche al tipo di intervento chirurgico dovrebbe spingere i chirurghi ortopedici a preferire, compatibilmente con la scelta suggerita dalle Linee Guida generali di trattamento, l’intervento di osteosintesi rispetto al posizionamento di protesi/endoprotesi. Ove non fosse possibile la predilezione della fissazione interna sarebbe opportuno escogitare tecniche chirurgiche mini-invasive che espongono a una quota minore di sanguinamento. In quest’ottica sarebbe interessante l’esecuzione di studi volti alla validazione di tecniche chirurgiche di minor impatto sul paziente anziano.
In linea con i dati della letteratura, il percorso ortogeriatrico pisano prevede la piena presa in carico del paziente anziano durante la degenza, il trattamento delle comorbidità e delle eventuali complicanze post-operatorie. Prevede, al momento della dimissione, la stesura di una lettera di dimissione, da allegare a quella ortopedica, che rende conto dell’andamento del ricovero dal punto di vista medico e presenta prescrizioni terapeutiche, inclusa vit D e/o bifosfonati (preceduti da un periodo di carico calcico) e un appuntamento ambulatoriale per la rivalutazione del paziente anziano fragile e la correzione di alcune problematiche non studiabili durante la degenza. Nella pratica clinica la presenza di un team multidisciplinare unico evita la frammentazione delle cure e mantiene una visione globale del paziente fragile con un vantaggio per il paziente in termini di continuità delle cure e di qualità assistenziale (33).
Tra le questioni aperte vi sono la necessità di adottare dei protocolli standardizzati e condivisi da tutte le figure del team multidisciplinare per poter fronteggiare in maniera sistematica alcune problematiche di frequente riscontro come l’antibioticoterapia, la profilassi antitromboembolica e l’utilizzo di emotrasfusioni che dovrebbero essere utilizzate con cautela nel paziente anziano e solo nei casi in cui si instauri un’anemizzazione acuta tale da compromettere i parametri vitali (non solo sulla base dei valori di emoglobina ma anche in base alle comorbidità dell’individuo).
Dato che diversi studi confermano come la dimissione in strutture dedicate alla riabilitazione favorisca una migliore ripresa dell’autonomia sarebbe auspicabile la costituzione di un maggior numero di strutture volte a questo tipo di trattamento riabilitativo in maniera da far fronte alla crescente necessità e assicurare una continuità riabilitativa tra le prime mobilizzazioni ospedaliere e il periodo post dimissioni e creare dei percorsi dedicati alla riabilitazione dell’anziano fragile, fruibili dal maggior numero possibile di pazienti.
Questo studio come altri condotti su popolazioni di pazienti anziani dimostrano come sia la fragilità che condiziona la sopravvivenza e non le comorbidità quindi conferma come fragilità e complessità non siano sinonimi ma due entità nosologiche differenti. Questo deve spingere il geriatra e non solo a prevenire e trattare la cause che favoriscono la sindrome da fragilità per esempio la riabilitazione nel paziente fratturato. Infatti questo studio mette in luce come i pazienti che sono andati incontro a fisiochinesiterapia abbiano una minore perdita di abilità quindi viene preservata la funzionalità.
L’obiettivo dello studio era quello di individuare la mortalità media a 18 mesi e i fattori predittivi di morte. I pazienti deceduti sono risultati essere 72 con una sopravvivenza globale dei pazienti del 67,7%. Stratificando la popolazione in base al tipo di intervento chirurgico subito (54 endoprotesi/protesi, 127 osteosintesi). La sopravvivenza nei pazienti che sono andati incontro ad intervento di osteosintesi sia statisticamente superiore rispetto a quello dei pazienti andati incontro a posizionamento di endoprotesi/protesi con p di 0.013 secondo Log Rank (Mantel-Cox test) e una p di 0.043 secondo test Breslow (WilcoxonGeneralized).
La popolazione è stata stratificata in base al grado di autonomia, ADL (pre-evento), di decadimento cognitivo, SPMSQ, al filtrato glomerulare (MDRD) e alle comorbidità valutate tramite CIRS. L’analisi di sopravvivenza eseguita tramite test Log Rank (Mantel-Cox) ha evidenziato un altissimo livello di significatività (p=0,000) tra la mortalità e il livello autonomia pre-evento (ADL<4), decadimento cognitivo (SPMSQ>3) (p=0,002), funzionalità renale(MDRD ≤40 ml/min/ 1,73 m2 ) (p= 0,001).
Conclusioni:
Il nostro studio ha evidenziato che, in base al tipo di frattura, la maggior parte della popolazione è andata incontro ad un intervento di osteosintesi mentre solo un terzo sono stati sottoposti a posizionamento di protesi/endoprotesi, sebbene questo possa costituire un fattore prognostico negativo per la forzata astensione dal carico dell’arto operato che prevede questo tipo di intervento con un maggior rischio di eventi avversi associati all’ipomobilità derivante il nostro studio, tramite un’analisi di sopravvivenza che ha posto in correlazione la sopravvivenza con il tipo di intervento chirurgico, ha evidenziato un notevole vantaggio di sopravvivenza per quei soggetti che sono stati sottoposti ad un intervento di osteosintesi. Ciò potrebbe essere attribuibile al fatto che in effetti si tratta di un intervento meno invasivo e che presenta un grado di sanguinamento minore rispetto all’intervento di sostituzione protesica. Questo dato in disaccordo con altri studi.
L’analisi statistica dei dati ha evidenziato come l’essere ultraottantenni costituisca un fattore prognostico negativo, così come il sesso maschile (34,39), la presenza di un decadimento cognitivo, di una ridotta funzione renale e di disabilità.
Non risulta, invece, significativa la presenza e il grado di comorbidità a riprova del fatto che è la disabilità (fragilità) che più influisce sulla mortalità piuttosto che la presenza di comorbidità.
L’evidenza che la maggior mortalità è associata anche al tipo di intervento chirurgico dovrebbe spingere i chirurghi ortopedici a preferire, compatibilmente con la scelta suggerita dalle Linee Guida generali di trattamento, l’intervento di osteosintesi rispetto al posizionamento di protesi/endoprotesi. Ove non fosse possibile la predilezione della fissazione interna sarebbe opportuno escogitare tecniche chirurgiche mini-invasive che espongono a una quota minore di sanguinamento. In quest’ottica sarebbe interessante l’esecuzione di studi volti alla validazione di tecniche chirurgiche di minor impatto sul paziente anziano.
In linea con i dati della letteratura, il percorso ortogeriatrico pisano prevede la piena presa in carico del paziente anziano durante la degenza, il trattamento delle comorbidità e delle eventuali complicanze post-operatorie. Prevede, al momento della dimissione, la stesura di una lettera di dimissione, da allegare a quella ortopedica, che rende conto dell’andamento del ricovero dal punto di vista medico e presenta prescrizioni terapeutiche, inclusa vit D e/o bifosfonati (preceduti da un periodo di carico calcico) e un appuntamento ambulatoriale per la rivalutazione del paziente anziano fragile e la correzione di alcune problematiche non studiabili durante la degenza. Nella pratica clinica la presenza di un team multidisciplinare unico evita la frammentazione delle cure e mantiene una visione globale del paziente fragile con un vantaggio per il paziente in termini di continuità delle cure e di qualità assistenziale (33).
Tra le questioni aperte vi sono la necessità di adottare dei protocolli standardizzati e condivisi da tutte le figure del team multidisciplinare per poter fronteggiare in maniera sistematica alcune problematiche di frequente riscontro come l’antibioticoterapia, la profilassi antitromboembolica e l’utilizzo di emotrasfusioni che dovrebbero essere utilizzate con cautela nel paziente anziano e solo nei casi in cui si instauri un’anemizzazione acuta tale da compromettere i parametri vitali (non solo sulla base dei valori di emoglobina ma anche in base alle comorbidità dell’individuo).
Dato che diversi studi confermano come la dimissione in strutture dedicate alla riabilitazione favorisca una migliore ripresa dell’autonomia sarebbe auspicabile la costituzione di un maggior numero di strutture volte a questo tipo di trattamento riabilitativo in maniera da far fronte alla crescente necessità e assicurare una continuità riabilitativa tra le prime mobilizzazioni ospedaliere e il periodo post dimissioni e creare dei percorsi dedicati alla riabilitazione dell’anziano fragile, fruibili dal maggior numero possibile di pazienti.
Questo studio come altri condotti su popolazioni di pazienti anziani dimostrano come sia la fragilità che condiziona la sopravvivenza e non le comorbidità quindi conferma come fragilità e complessità non siano sinonimi ma due entità nosologiche differenti. Questo deve spingere il geriatra e non solo a prevenire e trattare la cause che favoriscono la sindrome da fragilità per esempio la riabilitazione nel paziente fratturato. Infatti questo studio mette in luce come i pazienti che sono andati incontro a fisiochinesiterapia abbiano una minore perdita di abilità quindi viene preservata la funzionalità.
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