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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-06112009-104156


Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica
Autore
TIRA, GIOVANNA ANDREA
URN
etd-06112009-104156
Titolo
Euripide, Eracle 910-1015. Introduzione, traduzione e commento.
Dipartimento
LETTERE E FILOSOFIA
Corso di studi
SCIENZE DELL'ANTICHITA'
Relatori
Relatore Prof. Paduano, Guido
Parole chiave
  • Nessuna parola chiave trovata
Data inizio appello
01/07/2009
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
01/07/2049
Riassunto
Euripide nell'Eracle sottolinea con forza la frustrazione di ogni tentativo di autodeterminazione dell’uomo, rilevando l'imprevedibilità della condizione umana; l'ironia tragica prodotta dalla crisi improvvisa di follia, che determina il passaggio del protagonista da eroe invincibile ad assassino, esprime appunto il crollo di ogni speranza: neppure Eracle ha saputo rispondere ai bisogni dei suoi.
La contrapposizione tra la prima e la seconda parte del dramma, che ad alcuni è parsa indizio di mancanza di unità, è quindi dettata da necessità ideologiche ed è funzionale a rappresentare l'arbitrio irrazionale che governa le vicende, sprofondando il genere umano nella sofferenza.
La narrazione del messaggero, che introduce la catastrofe, permettendo al poeta di mettere in atto la trasformazione del protagonista da eroe divino a mortale, costituisce la scena centrale della tragedia: il nunzio, interrogato dal coro, narra il sopraggiungere della follia, senza trascurare i particolari più cruenti, dando vita a una rappresentazione intensamente drammatica, che ha suscitato fin dall'antichità una profonda ammirazione per la potenza narrativa che la contraddistingue. Di fronte alla forza devastante della divinità, neppure l'uomo più forte della Grecia riesce a resistere e si abbandona ad azioni disumane, precipitando in un'illusione autistica che lo spinge a uccidere i figli e la moglie, credendo che si tratti dei familiari del nemico Euristeo.
La follia che colpisce l'eroe è forse ancora più tragica di quella messa in scena da Sofocle, in quanto è assente qualsiasi tentativo di spiegazione e il ribaltamento si verifica con una rapidità agghiacciante, denunciando l'assenza di una giustizia divina che garantisca un significato.
Riacquistata la ragione, Eracle si volge a considerare la vanità della propria esistenza, senza cedere agli argomenti messi in campo da Teseo. L'eroe infatti rifiuta la concezione degli dei proposta dall'amico, respingendo ogni forma di antropomorfismo e restituendo alla divinità un'atarassica autosufficienza. La duplice paternità dell'eroe, motivo fondamentale che percorre l'intero dramma, si risolve quindi in direzione esclusivamente umana: Eracle rinnega la partecipazione del dio nella sua procreazione, pronunciando parole di accusa nei confronti di un padre divino assente, estraneo alle sventure del figlio, inferiore in virtù al genitore umano.
L'eroe tuttavia può decidere di continuare a vivere, abbandonando il progetto del suicidio, che lo farebbe apparire vile, perché Teseo gli offre la sua protezione e la sua amicizia. Eracle, quindi, riconoscendosi bisognoso della solidarietà umana, afferma il primato dell'amicizia sul valore e sulla forza e sancisce la sconfitta del modello eroico.

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