Tesi etd-06102016-115318 |
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Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
PISCHEDDA, ELEONORA
URN
etd-06102016-115318
Titolo
Il finanziamento delle operazioni militari nell'Atene del IV secolo a.C.
Le casse pubbliche e l'amministrazione di Eubulo
Settore scientifico disciplinare
L-ANT/02
Corso di studi
SCIENZE DELL'ANTICHITA' E ARCHEOLOGIA
Relatori
tutor Prof. Bettalli, Marco
commissario Prof. Giangiulio, Maurizio
commissario Prof. Fantasia, Ugo
commissario Prof. Giangiulio, Maurizio
commissario Prof. Fantasia, Ugo
Parole chiave
- Eisphora
- Epidosis
- Eubulo
- Merismos
- Syntaxeis
- Theorikon
- Trierarchia
Data inizio appello
11/07/2016
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
11/07/2019
Riassunto
Quando scoppia la guerra del Peloponneso Atene è all’acme delle sue forze militari, l’impero navale non ha eguali in tutta la Grecia. Il modello politico ed economico della città sembra essere quello vincente e, prima della sconfitta ad opera degli Spartani, finanziati dai Persiani, gli Ateniesi non solo non avevano mai risposto a domande sulla provenienza del denaro pubblico, sulla sua gestione e la quadratura del bilancio di verifica, ma non le avevano proprio mai formulate. L’Atene della prima lega delio-attica poteva infatti contare sugli ingenti tributi degli alleati, non sorprende quindi che la città fosse molto legata al suo impero e ai suoi proventi, che andavano a gravare in gran parte sulle spalle della ricca aristocrazia terriera delle poleis alleate. Quest'ultimo dato ci spiega il perché Atene fosse così attiva nell'esportazione del governo popolare: la flotta conferiva il potere al popolo, che raramente era solidale con i ricchi vessati dalle tasse. Al popolo non veniva presentato nessun conto per la sicurezza offerta dalle navi ateniesi. La ricchezza e il potere garantiti dalla flotta avevano fatto sì che il Pireo, insieme alle lunghe mura che lo univano alla città, diventasse una sorta di divinità laica per gli Ateniesi.
La politica estera ateniese l’aveva resa invisa a molti stati greci, in particolare Sparta. La tendenza ad eliminare i governi oligarchici all'interno della propria sfera d'azione, indipendentemente dalle motivazioni reali, e la trasformazione degli alleati in sudditi aveva fatto sì che molte poleis assumessero posizioni dichiaratamente ostili ad Atene. La sua potenza costava cara agli “alleati” che non beneficiavano certo della sua ricchezza. Non stupisce quindi che i membri della Lega iniziassero a prendere le distanze e a rifiutarsi di pagare i tributi.
Lo stesso Pericle, come racconta Plutarco, veniva accusato dai suoi nemici politici d'esser causa di questo odio. Essi gridavano che il popolo si era attirato una pessima fama facendo trasportare il tesoro comune da Delo ad Atene e che Pericle non aveva neanche cercato di nascondere la vera motivazione di questo trasferimento, magari usando come pretesto la minaccia dei barbari. Lo stratego senza rendersene conto si era ritrovato tra le mani un compito estremamente delicato e difficile: trovare un equilibrio tra il ruolo di potenza egemone e garante della libertà di tutte le città greche di Atene e l'avidità del suo popolo. Gli Ateniesi vivevano per certi versi in un continuo stato di insoddisfazione: viziati, convinti della propria superiorità, avevano ormai identificato il tesoro comune della lega con le casse pubbliche, ogni entrata della città doveva essere spesa, o almeno una sua buona parte, per pagare l'ingresso del popolo ai banchetti, a teatro, agli spettacoli e ai sacrifici.
Tutto questo però non deve trarci in inganno. Gli altri Greci non si ribellarono ad Atene per ragioni morali. L'imperialismo era un dato permanente nei rapporti tra gli stati greci, non vi era nulla di più naturale che scaricare sugli stranieri un peso che i cittadini non volevano portare in prima persona. La libertà per un greco non era solo l'assenza di dominio straniero ma anche la possibilità di imporre il proprio. L'impero portava numerosi vantaggi: tributi, cleruchie (assottigliamento quindi delle fasce più povere della popolazione), controllo sulle fonti di grano, metalli e altre materie prime. Qualunque stato greco sarebbe stato lieto di poterlo praticare. Sparta si oppose ad Atene non perché ripudiasse i suoi metodi ma per paura che un giorno arrivasse a limitare persino la sua libertà.
Qualsiasi Ateniese, se interrogato sull'etica dell'imperialismo, avrebbe sicuramente preso le difese della città. Secondo Tucidide l'imperialismo era un carattere integrante e inscindibile della Lega: la guerra contro i Persiani, il desiderio di rivalsa, il bisogno di rifarsi dalle perdite e la paura di perdere la propria libertà, erano solo un pretesto per imporre i tributi agli alleati. Atene era ben conscia del fatto che non sarebbe mai riuscita a mantenere attivo un simile impero senza un aiuto finanziario. Non è un caso che non abbia mai preso provvedimenti contro gli alleati che si rifiutavano di mandare navi e ciurme, accontentandosi dei tributi in moneta; questo lassismo da parte degli alleati le permetteva non solo di gestire come meglio credeva il tesoro della lega, ma anche di non veder mai messa in discussione la sua posizione di leadership.
Gli Ateniesi erano fermamente persuasi di trovarsi dalla parte della ragione, tanto che Pericle, parlando al popolo, fece capire che non doveva dar conto dei tributi agli alleati, perché per loro combattevano e da loro tenevano lontani i barbari, mentre essi non davano navi, cavalieri, opliti, ma soltanto denaro, che non è di chi lo dà, ma di chi lo riceve, se questi fornisce i servizi per cui lo riceve.
C'è poi un aspetto dell'egemonia ateniese che non va assolutamente trascurato: gli oligarchici, i democratici e i moderati avevano messo da parte i propri antagonismi per dedicarsi ad una politica che portava obiettivamente alla città enormi benefici economici e sociali. La stabilità della democrazia ateniese si ancorò dunque strettamente all'imperialismo: possiamo dire che Atene doveva alla sua flotta non solo l'ascesa al potere e il suo mantenimento, ma forse la stessa sopravvivenza della città. Il risultato fu che Atene ripensò se stessa in funzione di un impero navale e lo fece ben conscia dei benefici e delle responsabilità che ne sarebbero derivati. Se da una parte, infatti, l'impero aveva reso Atene preparata da ogni punto di vista e autosufficiente per la pace e per la guerra, dall'altra le aveva conferito un potere che era quasi una tirannide: esercitarla poteva sembrare ingiusto, ma abbandonarla pericoloso. L'unica prospettiva era dunque quella di conservare il potere a qualsiasi costo.
Questa è la situazione dell'Atene del V secolo e della sua flotta: con la sconfitta nella Guerra del Peloponneso le cose cambiarono radicalmente.
La democratica Atene dà vita ad un'oligarchia dai tratti tirannici che verrà presto sostituita da un nuovo regime: la città ritorna ad essere democratica. Si avverte il profondo stacco con il passato e si inizia ad avere un atteggiamento critico verso le decisioni del secolo appena trascorso. Una cosa però non cambia: il profondo attaccamento della polis verso il mare. I commerci si intensificano, le leggi a favore dei mercanti e degli stranieri aumentano, i rapporti diplomatici con le altre poleis e con i sovrani di altri paesi diventano più saldi.
Dopo la guerra del Peloponneso la pace dura poco e quello che inizia è un lungo periodo durante il quale i conflitti armati diventano la nuova “quotidianità”: continue guerre sconvolgeranno il continente e le città greche, destabilizzando le alleanze e gli ordinamenti interni.
Alla fine del V secolo Atene appare distrutta da un punto di vista militare, politico ed economico. La polis ha indubbiamente bisogno di ordine: vengono processati e allontanati i reali e presunti nemici; la politica rigida del secolo precedente basata sui due fronti opposti, quello democratico e quello oligarchico, lascia il posto alle sfumature, alle posizioni più tiepide, ai compromessi; viene ripreso il decreto di Pericle sulla cittadinanza; viene ricomposta la commissione dei nomothetai al fine di rivedere tutti i nomoi ed evitare che una legge fosse contraria ad un’altra. Sono sempre questi gli anni in cui la fama dei tribunali ateniesi va accrescendosi, i processi infatti sono una costante della vita politica della città. Emerge anche un nuovo ceto politico, o meglio, nasce un nuovo modo di concepire le cariche pubbliche e i requisiti ad esse legate, soprattutto quando si parla di strateghi e amministratori delle finanze pubbliche. In questo secolo infatti la nascita e i legami matrimoniali fanno spazio all’educazione, all’esperienza e alle provate capacità del singolo. Inoltre i legami di sangue vengono surclassati da quelli di “partito”: sono le posizioni politiche ad unire gli uomini e non le famiglie.
Le due grandi incombenze del secolo, la guerra e le entrate pubbliche, richiedono figure professionali preparate, per certi versi dei tecnici che nel rispetto della tradizione continuano ancora a rendere partecipe il demos, un demos sempre più diviso (soprattutto tra gli abitanti della città, nostalgici dei fasti del secolo trascorso, e quelli delle campagne desiderosi della pace, condizione fondamentale per la ricostituzione dei loro beni), che poco sa e vuole sapere dei problemi militari e finanziari sempre più specifici.
Atene ripensa dunque completamente sé stessa e rimette ordine: in poco meno di ventisette anni avrà di nuovo una flotta più che competitiva, le lunghe mura e una nuova lega navale da gestire. Finirà però col ricadere nei vecchi e deleteri schemi comportamentali che l’avevano resa tanto invisa al resto della Grecia: l’Atene dell’inizio del secolo, che trascina in giudizio Trasibulo per essere ricorso al saccheggio e all’uso della forza a Lesbo e in Asia Minore al fine di finanziare il suo equipaggio, lascerà il posto ad una polis che forte del suo predominio darà pieni poteri agli strateghi lasciandoli liberi di compiere razzie e riscuotere le syntaxeis dai nuovi alleati pur di tenere le truppe legate a sé.
Anche per questo, diversi soci, tra i primi Chio, Rodi e Cos, cercheranno di prendere le distanze da Atene, dando così inizio alla guerra sociale (357-355 a.C.). Alla fine la città dovrà accordare l’indipendenza alle ribelli e giungere ad un accordo.
In questi anni fa la sua comparsa un nuovo e temibile nemico: Filippo II di Macedonia. Un nemico contro il quale nessuna delle poleis greche potrà nulla.
Come vedremo meglio nei capitoli successivi, con la crisi economica e dunque il riordinamento delle finanze e relativa amministrazione, Atene opta per un ridimensionamento delle aree di competenza dell’ekklesia, troppo spesso vittima di passioni collettive e teatro di decisioni irresponsabili, tumulti e veloci cambiamenti di partito. In un secolo in cui ogni singola spesa andava vagliata e studiata al dettaglio, le entrate massimizzate e l’attività diplomatica portata ai suoi livelli più alti, la città non poteva permettersi di far gestire le finanze all’assemblea. L’ancora di salvezza è rappresentata ancora una volta dalle leggi: alla base infatti del nuovo sistema amministrativo ci saranno i nomoi.
Ma la crisi di cui parlano tanto gli scrittori antichi e quelli moderni ci fu davvero oppure no?
La crisi, intesa anche come semplice mancanza di cibo, era endemica del mondo antico, e poteva avere cause naturali, per esempio meteorologiche, o umane, come la guerra e lo spopolamento. Ciò che colpì davvero gli Ateniesi del IV secolo fu il fatto che questa volta, venuti a mancare i tributi degli alleati, la crisi divenne reale ed entrò a far parte del quotidiano.
Cambiare le abitudini, il modo di pensare, l’organizzazione sociale, amministrativa e religiosa, sono tutte azioni che richiedono tempo, tempo durante il quale alla crisi delle produzione agricola, dovuta alla devastazione delle terre e allo spopolamento delle campagne, si aggiunge anche quella dell’artigianato, settore nel quale la polis aveva sempre rivestito un ruolo di eccellenza. Coloro che prima della guerra erano dei produttori ora si trasformano in consumatori. È poi la volta del settore commerciale: i meteci e gli stranieri lasciano la città portando via con sé i capitali e l’esperienza. A tutto questo segue la bancarotta, il malcontento e le tensioni sociali. Una politica estera “avventurosa” inoltre tende a complicare ulteriormente la situazione. In questo nuovo contesto sociale, politico ed economico ci si chiede chi è che debba sopportare le spese riguardanti la flotta e l'esercito, in che misura, con quale frequenza e modalità. Nonostante questo la ripresa ateniese ha dell’incredibile.
Atene prende atto del fatto che in realtà il commercio non aveva bisogno delle pressioni militari e dei presidi, ma di convogli per garantire la sicurezza delle rotte commerciali, di leggi a tutela dei mercanti e dei contratti, di corti di giustizia apposite e nuove strutture portuali. Rivede anche la gestione degli appalti delle tasse e delle entrate patrimoniali derivanti dai beni di proprietà pubblica, struttura un nuovo stato sociale forte al fine di controllare i dissidi interni e non lasciare da sola la massa colpita dalla pauperizzazione, ma soprattutto riforma completamente l’amministrazione delle casse pubbliche.
Nella tesi si cercherà di fornire un quadro il più possibile completo delle entrate e delle spese della città, della nuova gestione del tesoro pubblico e delle linee politiche seguite sotto l’amministrazione di Eubulo.
Il IV secolo è senza dubbio un periodo di crisi, di riassestamento e di profonde trasformazioni. Le poleis e gli ambiti del vivere associato interessati dalle riforme sono molti e Atene, in particolare, dopo il fallimento della prima lega navale e la sconfitta nella guerra del Peloponneso, è costretta a ricostruire sé stessa. Dovrà però farlo in un periodo di forti tensioni interne, di continui conflitti militari e difficoltà economiche. Per ovviare a tutti questi problemi e salvare la città si opta per un programma, piuttosto articolato e assolutamente non scontato per l’epoca, di riforme amministrative e militari. La spinta verso una ripresa economica e un rinnovamento legislativo e amministrativo pervade tutto il secolo.
I cambiamenti e le innovazioni passano attraverso la professionalizzazione delle cariche, uno stretto rapporto tra nomoi e finanze pubbliche, e il bisogno di esercitare un maggiore controllo sull’operato dei magistrati, anche e soprattutto quelli militari, spesso accompagnato dall’opposta necessità pratica (mancanza ad esempio di fondi) ed egoistica (paura di pregiudicare la propria posizione politica) di concedere una quasi totale libertà decisionale e di manovra agli strateghi, salvo poi pretendere dagli stessi, in caso di fallimento, una piena accettazione del concetto di responsabilità personale. È questo il secolo dello scontro tra la ragion di stato e il bisogno del singolo; della contrapposizione tra le nuove figure professionali e il demos, la massa, composta da individui, spesso a noi poco noti, inghiottiti dalle strutture e dimenticati dalle fonti (d’altronde non potrebbe essere altrimenti). Si assiste allo scontro tra un sistema amministrativo basato sulle leggi, impersonali e oggettive, ma soprattutto intoccabili, pena la morte, e l’emergere inevitabile di figure di spicco. Esempi di questa nuova realtà sono senza dubbio il merismos ed Eubulo.
Il merismos, come già detto, consisteva in un piano predeterminato di distribuzione delle entrate pubbliche tra le varie casse e magistrature, gli allocamenti erano stabiliti per legge, così come la destinazione del surplus. Nella nuova amministrazione spiccano per importanza la cassa per gli spettacoli, a capo della quale troviamo appunto Eubulo insieme ad un collegio di ufficiali, e il fondo militare. Sotto l’amministrazione di Eubulo il theorikon diventa il fondo dal quale vengono prelevati tutti i pagamenti relativi alla sovvenzione dello stato sociale, ovvero dei servizi per i cittadini, quelli che noi oggi riassumeremmo nel termine generale di welfare. La cassa sovvenzionava anche i lavori di costruzione e restauro dei teatri, degli edifici pubblici, delle strade, dei cantieri navali, degli arsenali e delle navi. In tempo di pace era sempre lei a beneficiare del surplus.
Atene dà quindi la priorità alla quadratura del bilancio e alle spese legate al funzionamento della democrazia. La guerra dovrà spesso accontentarsi di vivere di misure di emergenza ed espedienti: tenere le truppe legate a sé diventa principalmente un problema del generale, al quale, in mancanza di denaro, viene affidato l’onere di trovare nuove forme di finanziamento attraverso razzie, vessazioni degli alleati e bottini. Il mercenario, figura centrale dell’epoca, è il destinatario di un compenso differenziato: il misthos, la paga, e il sitos, ovvero il denaro necessario per il vettovagliamento. Il primo veniva corrisposto di rado e il committente tendeva a pagare in anticipo solo il primo mese; l’approvvigionamento alimentare invece non era un’opzione, era la parte certa del compenso alla quale la polis non poteva sottrarsi. In mancanza di fondi un generale esperto poteva fare la differenza e trovare nuovi espedienti, di rado autorizzati e supervisionati dalla città; al contrario, in caso di una copertura totale da parte delle casse pubbliche lo stratego doveva rendere conto delle sue spese al dettaglio, misura volta ad arginare fenomeni quali la corruzione e l’appropriazione indebita. In caso di guerra la città faceva appello anche al senso civico e ai fondi privati dei cittadini più ricchi, i quali venivano chiamati ad occuparsi dell’allestimento delle navi e/o a versare la loro parte dell’eisphora, non mancavano neanche i caldi inviti alle donazioni volontarie.
La nuova politica economica e militare di Atene ha come ultimo obiettivo innanzitutto il ripristino dell’equilibrio perduto; personaggi come Eubulo, lontani dal vecchio e rigido dualismo politico del secolo precedente, iniziano a valutare e calcolare con estrema scrupolosità i pro e i contro di un qualsiasi intervento militare, soprattutto sul piano finanziario. Questi calcoli, non sempre precisi al dettaglio ma comunque sorprendenti per l’epoca, sono dettati dalla preoccupazione di salvare la città dalla bancarotta, di far ripartire l’economia e salvaguardare i cittadini più ricchi. Eubulo insiste sulla via diplomatica con Filippo non perché fosse un traditore della patria o volesse tutelare i soli interessi della sua classe, ma perché aveva capito che le continue battaglie e aiuti, di rado decisivi nel risolvere le controversie, avrebbero finito col logorare la polis e il suo tesoro, fino a causarne il collasso. Questo non vuol dire che le spese militari furono davvero ridotte al minimo come era solito dichiarare Demostene, al contrario, ogni volta che la città veniva coinvolta in una o più campagne militari, le spese belliche finivano col diventare decisamente superiori a tutte le altre.
La politica estera ateniese l’aveva resa invisa a molti stati greci, in particolare Sparta. La tendenza ad eliminare i governi oligarchici all'interno della propria sfera d'azione, indipendentemente dalle motivazioni reali, e la trasformazione degli alleati in sudditi aveva fatto sì che molte poleis assumessero posizioni dichiaratamente ostili ad Atene. La sua potenza costava cara agli “alleati” che non beneficiavano certo della sua ricchezza. Non stupisce quindi che i membri della Lega iniziassero a prendere le distanze e a rifiutarsi di pagare i tributi.
Lo stesso Pericle, come racconta Plutarco, veniva accusato dai suoi nemici politici d'esser causa di questo odio. Essi gridavano che il popolo si era attirato una pessima fama facendo trasportare il tesoro comune da Delo ad Atene e che Pericle non aveva neanche cercato di nascondere la vera motivazione di questo trasferimento, magari usando come pretesto la minaccia dei barbari. Lo stratego senza rendersene conto si era ritrovato tra le mani un compito estremamente delicato e difficile: trovare un equilibrio tra il ruolo di potenza egemone e garante della libertà di tutte le città greche di Atene e l'avidità del suo popolo. Gli Ateniesi vivevano per certi versi in un continuo stato di insoddisfazione: viziati, convinti della propria superiorità, avevano ormai identificato il tesoro comune della lega con le casse pubbliche, ogni entrata della città doveva essere spesa, o almeno una sua buona parte, per pagare l'ingresso del popolo ai banchetti, a teatro, agli spettacoli e ai sacrifici.
Tutto questo però non deve trarci in inganno. Gli altri Greci non si ribellarono ad Atene per ragioni morali. L'imperialismo era un dato permanente nei rapporti tra gli stati greci, non vi era nulla di più naturale che scaricare sugli stranieri un peso che i cittadini non volevano portare in prima persona. La libertà per un greco non era solo l'assenza di dominio straniero ma anche la possibilità di imporre il proprio. L'impero portava numerosi vantaggi: tributi, cleruchie (assottigliamento quindi delle fasce più povere della popolazione), controllo sulle fonti di grano, metalli e altre materie prime. Qualunque stato greco sarebbe stato lieto di poterlo praticare. Sparta si oppose ad Atene non perché ripudiasse i suoi metodi ma per paura che un giorno arrivasse a limitare persino la sua libertà.
Qualsiasi Ateniese, se interrogato sull'etica dell'imperialismo, avrebbe sicuramente preso le difese della città. Secondo Tucidide l'imperialismo era un carattere integrante e inscindibile della Lega: la guerra contro i Persiani, il desiderio di rivalsa, il bisogno di rifarsi dalle perdite e la paura di perdere la propria libertà, erano solo un pretesto per imporre i tributi agli alleati. Atene era ben conscia del fatto che non sarebbe mai riuscita a mantenere attivo un simile impero senza un aiuto finanziario. Non è un caso che non abbia mai preso provvedimenti contro gli alleati che si rifiutavano di mandare navi e ciurme, accontentandosi dei tributi in moneta; questo lassismo da parte degli alleati le permetteva non solo di gestire come meglio credeva il tesoro della lega, ma anche di non veder mai messa in discussione la sua posizione di leadership.
Gli Ateniesi erano fermamente persuasi di trovarsi dalla parte della ragione, tanto che Pericle, parlando al popolo, fece capire che non doveva dar conto dei tributi agli alleati, perché per loro combattevano e da loro tenevano lontani i barbari, mentre essi non davano navi, cavalieri, opliti, ma soltanto denaro, che non è di chi lo dà, ma di chi lo riceve, se questi fornisce i servizi per cui lo riceve.
C'è poi un aspetto dell'egemonia ateniese che non va assolutamente trascurato: gli oligarchici, i democratici e i moderati avevano messo da parte i propri antagonismi per dedicarsi ad una politica che portava obiettivamente alla città enormi benefici economici e sociali. La stabilità della democrazia ateniese si ancorò dunque strettamente all'imperialismo: possiamo dire che Atene doveva alla sua flotta non solo l'ascesa al potere e il suo mantenimento, ma forse la stessa sopravvivenza della città. Il risultato fu che Atene ripensò se stessa in funzione di un impero navale e lo fece ben conscia dei benefici e delle responsabilità che ne sarebbero derivati. Se da una parte, infatti, l'impero aveva reso Atene preparata da ogni punto di vista e autosufficiente per la pace e per la guerra, dall'altra le aveva conferito un potere che era quasi una tirannide: esercitarla poteva sembrare ingiusto, ma abbandonarla pericoloso. L'unica prospettiva era dunque quella di conservare il potere a qualsiasi costo.
Questa è la situazione dell'Atene del V secolo e della sua flotta: con la sconfitta nella Guerra del Peloponneso le cose cambiarono radicalmente.
La democratica Atene dà vita ad un'oligarchia dai tratti tirannici che verrà presto sostituita da un nuovo regime: la città ritorna ad essere democratica. Si avverte il profondo stacco con il passato e si inizia ad avere un atteggiamento critico verso le decisioni del secolo appena trascorso. Una cosa però non cambia: il profondo attaccamento della polis verso il mare. I commerci si intensificano, le leggi a favore dei mercanti e degli stranieri aumentano, i rapporti diplomatici con le altre poleis e con i sovrani di altri paesi diventano più saldi.
Dopo la guerra del Peloponneso la pace dura poco e quello che inizia è un lungo periodo durante il quale i conflitti armati diventano la nuova “quotidianità”: continue guerre sconvolgeranno il continente e le città greche, destabilizzando le alleanze e gli ordinamenti interni.
Alla fine del V secolo Atene appare distrutta da un punto di vista militare, politico ed economico. La polis ha indubbiamente bisogno di ordine: vengono processati e allontanati i reali e presunti nemici; la politica rigida del secolo precedente basata sui due fronti opposti, quello democratico e quello oligarchico, lascia il posto alle sfumature, alle posizioni più tiepide, ai compromessi; viene ripreso il decreto di Pericle sulla cittadinanza; viene ricomposta la commissione dei nomothetai al fine di rivedere tutti i nomoi ed evitare che una legge fosse contraria ad un’altra. Sono sempre questi gli anni in cui la fama dei tribunali ateniesi va accrescendosi, i processi infatti sono una costante della vita politica della città. Emerge anche un nuovo ceto politico, o meglio, nasce un nuovo modo di concepire le cariche pubbliche e i requisiti ad esse legate, soprattutto quando si parla di strateghi e amministratori delle finanze pubbliche. In questo secolo infatti la nascita e i legami matrimoniali fanno spazio all’educazione, all’esperienza e alle provate capacità del singolo. Inoltre i legami di sangue vengono surclassati da quelli di “partito”: sono le posizioni politiche ad unire gli uomini e non le famiglie.
Le due grandi incombenze del secolo, la guerra e le entrate pubbliche, richiedono figure professionali preparate, per certi versi dei tecnici che nel rispetto della tradizione continuano ancora a rendere partecipe il demos, un demos sempre più diviso (soprattutto tra gli abitanti della città, nostalgici dei fasti del secolo trascorso, e quelli delle campagne desiderosi della pace, condizione fondamentale per la ricostituzione dei loro beni), che poco sa e vuole sapere dei problemi militari e finanziari sempre più specifici.
Atene ripensa dunque completamente sé stessa e rimette ordine: in poco meno di ventisette anni avrà di nuovo una flotta più che competitiva, le lunghe mura e una nuova lega navale da gestire. Finirà però col ricadere nei vecchi e deleteri schemi comportamentali che l’avevano resa tanto invisa al resto della Grecia: l’Atene dell’inizio del secolo, che trascina in giudizio Trasibulo per essere ricorso al saccheggio e all’uso della forza a Lesbo e in Asia Minore al fine di finanziare il suo equipaggio, lascerà il posto ad una polis che forte del suo predominio darà pieni poteri agli strateghi lasciandoli liberi di compiere razzie e riscuotere le syntaxeis dai nuovi alleati pur di tenere le truppe legate a sé.
Anche per questo, diversi soci, tra i primi Chio, Rodi e Cos, cercheranno di prendere le distanze da Atene, dando così inizio alla guerra sociale (357-355 a.C.). Alla fine la città dovrà accordare l’indipendenza alle ribelli e giungere ad un accordo.
In questi anni fa la sua comparsa un nuovo e temibile nemico: Filippo II di Macedonia. Un nemico contro il quale nessuna delle poleis greche potrà nulla.
Come vedremo meglio nei capitoli successivi, con la crisi economica e dunque il riordinamento delle finanze e relativa amministrazione, Atene opta per un ridimensionamento delle aree di competenza dell’ekklesia, troppo spesso vittima di passioni collettive e teatro di decisioni irresponsabili, tumulti e veloci cambiamenti di partito. In un secolo in cui ogni singola spesa andava vagliata e studiata al dettaglio, le entrate massimizzate e l’attività diplomatica portata ai suoi livelli più alti, la città non poteva permettersi di far gestire le finanze all’assemblea. L’ancora di salvezza è rappresentata ancora una volta dalle leggi: alla base infatti del nuovo sistema amministrativo ci saranno i nomoi.
Ma la crisi di cui parlano tanto gli scrittori antichi e quelli moderni ci fu davvero oppure no?
La crisi, intesa anche come semplice mancanza di cibo, era endemica del mondo antico, e poteva avere cause naturali, per esempio meteorologiche, o umane, come la guerra e lo spopolamento. Ciò che colpì davvero gli Ateniesi del IV secolo fu il fatto che questa volta, venuti a mancare i tributi degli alleati, la crisi divenne reale ed entrò a far parte del quotidiano.
Cambiare le abitudini, il modo di pensare, l’organizzazione sociale, amministrativa e religiosa, sono tutte azioni che richiedono tempo, tempo durante il quale alla crisi delle produzione agricola, dovuta alla devastazione delle terre e allo spopolamento delle campagne, si aggiunge anche quella dell’artigianato, settore nel quale la polis aveva sempre rivestito un ruolo di eccellenza. Coloro che prima della guerra erano dei produttori ora si trasformano in consumatori. È poi la volta del settore commerciale: i meteci e gli stranieri lasciano la città portando via con sé i capitali e l’esperienza. A tutto questo segue la bancarotta, il malcontento e le tensioni sociali. Una politica estera “avventurosa” inoltre tende a complicare ulteriormente la situazione. In questo nuovo contesto sociale, politico ed economico ci si chiede chi è che debba sopportare le spese riguardanti la flotta e l'esercito, in che misura, con quale frequenza e modalità. Nonostante questo la ripresa ateniese ha dell’incredibile.
Atene prende atto del fatto che in realtà il commercio non aveva bisogno delle pressioni militari e dei presidi, ma di convogli per garantire la sicurezza delle rotte commerciali, di leggi a tutela dei mercanti e dei contratti, di corti di giustizia apposite e nuove strutture portuali. Rivede anche la gestione degli appalti delle tasse e delle entrate patrimoniali derivanti dai beni di proprietà pubblica, struttura un nuovo stato sociale forte al fine di controllare i dissidi interni e non lasciare da sola la massa colpita dalla pauperizzazione, ma soprattutto riforma completamente l’amministrazione delle casse pubbliche.
Nella tesi si cercherà di fornire un quadro il più possibile completo delle entrate e delle spese della città, della nuova gestione del tesoro pubblico e delle linee politiche seguite sotto l’amministrazione di Eubulo.
Il IV secolo è senza dubbio un periodo di crisi, di riassestamento e di profonde trasformazioni. Le poleis e gli ambiti del vivere associato interessati dalle riforme sono molti e Atene, in particolare, dopo il fallimento della prima lega navale e la sconfitta nella guerra del Peloponneso, è costretta a ricostruire sé stessa. Dovrà però farlo in un periodo di forti tensioni interne, di continui conflitti militari e difficoltà economiche. Per ovviare a tutti questi problemi e salvare la città si opta per un programma, piuttosto articolato e assolutamente non scontato per l’epoca, di riforme amministrative e militari. La spinta verso una ripresa economica e un rinnovamento legislativo e amministrativo pervade tutto il secolo.
I cambiamenti e le innovazioni passano attraverso la professionalizzazione delle cariche, uno stretto rapporto tra nomoi e finanze pubbliche, e il bisogno di esercitare un maggiore controllo sull’operato dei magistrati, anche e soprattutto quelli militari, spesso accompagnato dall’opposta necessità pratica (mancanza ad esempio di fondi) ed egoistica (paura di pregiudicare la propria posizione politica) di concedere una quasi totale libertà decisionale e di manovra agli strateghi, salvo poi pretendere dagli stessi, in caso di fallimento, una piena accettazione del concetto di responsabilità personale. È questo il secolo dello scontro tra la ragion di stato e il bisogno del singolo; della contrapposizione tra le nuove figure professionali e il demos, la massa, composta da individui, spesso a noi poco noti, inghiottiti dalle strutture e dimenticati dalle fonti (d’altronde non potrebbe essere altrimenti). Si assiste allo scontro tra un sistema amministrativo basato sulle leggi, impersonali e oggettive, ma soprattutto intoccabili, pena la morte, e l’emergere inevitabile di figure di spicco. Esempi di questa nuova realtà sono senza dubbio il merismos ed Eubulo.
Il merismos, come già detto, consisteva in un piano predeterminato di distribuzione delle entrate pubbliche tra le varie casse e magistrature, gli allocamenti erano stabiliti per legge, così come la destinazione del surplus. Nella nuova amministrazione spiccano per importanza la cassa per gli spettacoli, a capo della quale troviamo appunto Eubulo insieme ad un collegio di ufficiali, e il fondo militare. Sotto l’amministrazione di Eubulo il theorikon diventa il fondo dal quale vengono prelevati tutti i pagamenti relativi alla sovvenzione dello stato sociale, ovvero dei servizi per i cittadini, quelli che noi oggi riassumeremmo nel termine generale di welfare. La cassa sovvenzionava anche i lavori di costruzione e restauro dei teatri, degli edifici pubblici, delle strade, dei cantieri navali, degli arsenali e delle navi. In tempo di pace era sempre lei a beneficiare del surplus.
Atene dà quindi la priorità alla quadratura del bilancio e alle spese legate al funzionamento della democrazia. La guerra dovrà spesso accontentarsi di vivere di misure di emergenza ed espedienti: tenere le truppe legate a sé diventa principalmente un problema del generale, al quale, in mancanza di denaro, viene affidato l’onere di trovare nuove forme di finanziamento attraverso razzie, vessazioni degli alleati e bottini. Il mercenario, figura centrale dell’epoca, è il destinatario di un compenso differenziato: il misthos, la paga, e il sitos, ovvero il denaro necessario per il vettovagliamento. Il primo veniva corrisposto di rado e il committente tendeva a pagare in anticipo solo il primo mese; l’approvvigionamento alimentare invece non era un’opzione, era la parte certa del compenso alla quale la polis non poteva sottrarsi. In mancanza di fondi un generale esperto poteva fare la differenza e trovare nuovi espedienti, di rado autorizzati e supervisionati dalla città; al contrario, in caso di una copertura totale da parte delle casse pubbliche lo stratego doveva rendere conto delle sue spese al dettaglio, misura volta ad arginare fenomeni quali la corruzione e l’appropriazione indebita. In caso di guerra la città faceva appello anche al senso civico e ai fondi privati dei cittadini più ricchi, i quali venivano chiamati ad occuparsi dell’allestimento delle navi e/o a versare la loro parte dell’eisphora, non mancavano neanche i caldi inviti alle donazioni volontarie.
La nuova politica economica e militare di Atene ha come ultimo obiettivo innanzitutto il ripristino dell’equilibrio perduto; personaggi come Eubulo, lontani dal vecchio e rigido dualismo politico del secolo precedente, iniziano a valutare e calcolare con estrema scrupolosità i pro e i contro di un qualsiasi intervento militare, soprattutto sul piano finanziario. Questi calcoli, non sempre precisi al dettaglio ma comunque sorprendenti per l’epoca, sono dettati dalla preoccupazione di salvare la città dalla bancarotta, di far ripartire l’economia e salvaguardare i cittadini più ricchi. Eubulo insiste sulla via diplomatica con Filippo non perché fosse un traditore della patria o volesse tutelare i soli interessi della sua classe, ma perché aveva capito che le continue battaglie e aiuti, di rado decisivi nel risolvere le controversie, avrebbero finito col logorare la polis e il suo tesoro, fino a causarne il collasso. Questo non vuol dire che le spese militari furono davvero ridotte al minimo come era solito dichiarare Demostene, al contrario, ogni volta che la città veniva coinvolta in una o più campagne militari, le spese belliche finivano col diventare decisamente superiori a tutte le altre.
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