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Thesis etd-06072024-123547


Thesis type
Tesi di laurea magistrale
Author
BARATTA, BEATRICE
URN
etd-06072024-123547
Thesis title
Il racconto biblico dei "Bené Israel": un confronto fra alcune opere liriche religiose e la Bibbia
Department
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Course of study
FILOLOGIA E STORIA DELL'ANTICHITA'
Supervisors
relatore Tommasi Moreschini, Chiara Ombretta
Keywords
  • Bibbia
  • opera lirica
  • storia ebraica
Graduation session start date
05/07/2024
Availability
Withheld
Release date
05/07/2094
Summary
L’elaborato si propone di mostrare divergenze e punti in comune della storia ebraica raccontata nella Bibbia e all’interno di una raccolta selezionata di opere liriche religiose di argomento biblico. Nella scelta che ho fatto è per puro caso che le opere liriche selezionate siano tutte del XIX secolo e create da autori italiani, tuttavia non è casuale che argomenti biblici siano così cari a un secolo come l’800 e a un popolo come quello della Nuova Italia nascente, soprattutto per quanto riguarda il Nabucco.
Il “primo Ottocento” almeno in campo musicale deve molto alle tradizioni Settecentesche dell’opera buffa e dell’opéra comique essendo generi che al contrario dell’opera seria, ne rappresentano l’ala rivoluzionaria: fanno leva sullo sviluppo e sul conflitto dei personaggi. Molte opere hanno ancora retaggi di quelle “napoletane” dell’età metastasiana poiché come queste esprimono gli stessi ideali e fanno le medesime concessioni al pubblico. Le ragioni sono in parte istituzionali: la rivoluzione francese e le guerre napoleoniche causarono profondi sconvolgimenti nella società europea e crearono nuove condizioni nel mondo dell’arte e dello spettacolo. Ciò che ne è conseguito è che in un clima di forte incertezza almeno in Italia qualcosa restava saldo e vagamente immutato: anche nei giorni più neri delle guerre e dell’occupazione militare, l’opera italiana restava un’industria fiorente sia nazionalmente che all’estero. Inoltre l’opera romantica italiana tendeva a rimanere identica all’opera seria del Settecento proprio per quel gusto conservatore e quella fiducia nelle convenzioni che invece nel resto dell’Europa aveva ormai cessato di esistere. Fondamentale per quello che si vuole evidenziare con questo lavoro è che l’opera italiana dei primi anni dell’Ottocento fu viziata dal progressivo declino della sua tradizione strumentale: non più l’opera, intesa come il libretto, è subordinata al compositore, ma ora è addirittura diventata il fulcro di tutto e l’unico mezzo di sostentamento dei compositori stessi che ormai non dominano più la scena, in favore dei librettisti e dei cantanti (questi ultimi hanno sempre avuto un ruolo di prim’ordine, visto che le opere erano cucite, scritte e musicate su di loro e non viceversa). È quindi ovvio che i compositori lottavano violentemente fra loro per accaparrarsi “scritture” di cui poi si liberavano subito dopo per acciuffarne delle altre. Sovrano musicale dell’Europa romantica, colui che ha definito la forma e il linguaggio dell’opera romantica italiana delle origini e ne aveva gettato le fondamenta è Rossini, lasciando a Donizetti e Verdi il compito di costruirvi sopra, ognuno a suo modo. Rossini nella sua costante ricerca della verità drammatica era spesso spinto verso la melodia popolare italiana, un tipo di melodia folklorico, linguaggio della dignità e della sincerità (Verdi e Donizetti accentueranno questo elemento popolare nelle loro opere). La preghiera del Mosè è un esempio di idioma popolare innalzato al rango di stile alto: Mosè è l’incarnazione di un intero popolo e in questo sta la sua forza sia musicale sia drammatica. Il linguaggio dell’opera romantica italiana è in definitiva una creazione di Rossini e ne riflette la personalità. Il problema sorse nel momento in cui questo stesso linguaggio fu imposto a compositori dotati di temperamento e concezioni differenti soprattutto per quel che riguarda l’espressione drammatica: Rossini infatti rimaneva estraneo all’azione che rappresentava, il suo atteggiamento resta sempre puramente estetico, mentre i suoi successori tentarono di immedesimarvisi. Egli non era un patriota, anzi addirittura manifestava un certo orrore per lo “spirito delle barricate”. Verdi, all’opposto, era coinvolto emotivamente nel movimento risorgimentale e la sua musica lo dimostra. In materia di libretto lirico è necessario porre in evidenza che il librettista italiano era un artigiano di alto rango , era chiamato “poeta” e scriveva non già libretti, ma melodrammi. Il suo nome occupava il posto d’onore sul cartellone; tuttavia nessuno pensava a chiedergli di mostrare originalità. Verdi dava la colpa ai librettisti per l’eccessivo ossequio ai modelli letterari canonizzati e in questo i librettisti non facevano altro che adeguarsi ai gusti del pubblico. L’opera della prima metà del XIX secolo, nella fattispecie quella del 1830 e dintorni, era l’equivalente del cinematografo di un secolo dopo. Il pubblico voleva il film tratto dal libro di successo, come la Bibbia. Dunque i librettisti non volgevano mai rotta verso altri lidi che non fossero quelli già esplorati dei drammi e dei romanzi più conosciuti, che erano ora classici ora popolari, e quasi sempre stranieri. Da tenere a mente infine è la questione censura. I libretti erano sempre stati soggetti al controllo delle autorità. Tuttavia il diciottesimo secolo dal canto suo era stato un’epoca di stabilità e tolleranza, e soltanto dopo i primi sussulti della rivoluzione francese la censura divenne un fattore con il quale era necessario farci i conti. Con la caduta di Napoleone, questa si radicò in tutta Italia, soprattutto nel Regno delle due Sicilie , come una necessità politica e guai al compositore che osasse non tenerla in debito conto. Nel caso di “un’opera di ripiego” i censori erano tanto privi di riguardi, quanto infinitamente zelanti, poiché non vi era alcun verso tanto innocente da non poter occultare un significato sospetto: così qualsiasi parola ritenuta inadeguata soprattutto in materia religiosa doveva essere sostituita . Pochissime delle opere “risorgimentali” di Verdi conservarono i loro titoli originali sulle scene di Napoli o di Palermo. E quello che accadeva a Napoli e a Roma prima del 1848 si estese dopo quella data a tutta la penisola, prima che la proclamazione del Regno d’Italia, nel 1861, portasse alla sospirata liberalizzazione. Durante quegli anni di oppressione e di delusione nazionale anche lo stesso Verdi si abbassò alla necessità di alterare alcuni titoli, personaggi, e ambientazioni. Aveva ragione Verdi quando si lamentò con il suo editore che quando alcuni teatri rappresentavano i suoi lavori avrebbero dovuto scrivere sotto il titolo: “Parole e musica di Don...” e quindi aggiungere il nome del censore. “Che diresti tu”, scrivendo al suo amico, lo scultore Luccardi “se ad una tua bella statua si mettesse una benda nera sul naso?”. Ma al tendere a limitare la libera realizzazione di un’opera italiana, c’è da aggiungere anche il gusto del pubblico. Per un compositore era impossibile pensare di elevare il livello culturale dei suoi ascoltatori. Bisognava farli divertire. Il pubblico sapeva perfettamente ciò che voleva, e se veniva deluso manifestava la sua opinione senza tanti fronzoli. L’opinione dei critici teatrali non era tenuta in gran conto: il trionfo di un’opera lo sanciva la platea. Tutti i compositori contemporanei a Verdi dovevano avere l’obbligo, la necessità e la capacità di trascinare il proprio pubblico, non potevano permettersi di scrivere per l’avvenire. Il successo maggiore di Verdi come compositore d’opera italiana fu di riuscire a raggiungere una posizione tale da poter dire in una lettera a Giulio Ricordi a riguardo dello Falstaff: “Io mi diverto a farne la musica” .
La scelta di un argomento come quello biblico da parte dei compositori e librettisti italiani si deve proprio alla moda del secolo XIX di creare un “film” di un libro famoso; e quale miglior “romanzo” se non la Bibbia, che per definizione è “Il libro dei libri”? A maggior ragione un libro celebre come la Bibbia che offriva episodi e storie ricche di pathos e lieti fine, come l’Esodo degli Ebrei dall’Egitto, l’esilio del popolo ebraico in Babilonia il successivo Editto di Ciro, l’alleanza con Dio successiva al diluvio universale si inserivano perfettamente in una tradizione d’opera lirica che adottava ancora in parte lo stile metastasiano e riuscivano a coinvolgere un pubblico che viveva in un clima storico di guerre e insurrezioni proiettato verso il desiderio di unità nazionale e di autodeterminazione.
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