Tesi etd-06072017-103947 |
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Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
HASANAJ, SHKELZEN
URN
etd-06072017-103947
Titolo
MULTICULTURALISMO VERSUS INTERCULTURALISMO: UN NUOVO PARADIGMA? Aspetti antropologici, sociologici e giuridici
Settore scientifico disciplinare
SPS/08
Corso di studi
SCIENZE POLITICHE
Relatori
tutor Prof. Salvini, Andrea
tutor Consorti, Pierluigi
tutor Consorti, Pierluigi
Parole chiave
- Diversity
- Identity
- Interculturalism
- Minorities
- Multiculturalism
Data inizio appello
30/06/2017
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il lavoro di questa tesi prende spunto dalle più recenti critiche e l’attuale contrasto all’approccio multiculturale e segue quattro obiettivi principali:
1) Dimostrare che il multiculturalismo non è fallito, attraverso spiegazioni analitiche ed empiriche;
2) Dimostrare che le comunità segregate si formano a prescindere dalle politiche migratorie o dai modelli di riferimento, ipotizzando che il vero impatto di queste politiche sta nella natura liberale o meno della formazione delle comunità segregate;
3) Dimostrare che in ambito locale stiamo assistendo all’implementazione di politiche multiculturali in contrasto con quelle nazionali e che le stesse forze politiche che in ambito nazionale criticano l’approccio multiculturale, a livello locale cercano il dialogo con le comunità etniche e religiosi e stimolano l’integrazione;
4) Superare il modello multiculturale introducendo il nuovo paradigma della “interculturalità”, un concetto che tiene conto della moltiplicazione degli elementi di differenziazione all’interno dei flussi migratori, della loro reciproca interazione, e che sembra essere l’approccio più adatto a garantire la coesione sociale, il riconoscimento dei diritti e il rispetto delle identità culturali e religiose delle diverse componenti etniche presenti nelle realtà locali.
Nel primo capitolo discuto i contributi dei più importanti studiosi che hanno concorso allo sviluppo del pensiero politico liberale nelle società passate e in quelle attuali (post-globali). Prendo in esame il dibattito sul liberalismo, comunitarismo e neo-comunitarismo e successivamente analizzo le riflessioni teoriche dei principali studiosi del pensiero politico legate all’epistemologia multiculturale. Questi studiosi, con i loro contributi, hanno in qualche maniera contribuito alla nascita ed allo sviluppo delle nuove teorie multiculturali. A partire dalle riformulazioni liberali di John Rawls, quelle neo-comunitariste di Charles Taylor, la critica sul fronte liberale di Jürgen Habermas e le riflessioni di Will Kymlicka. Questo Excursus servirà per dimostrare che recentemente il multiculturalismo è diventato un argomento di prima importanza nel dibattito nord-americano ed europeo, e le sue origini remote si rintracciano nel “pluralismo delle culture” di Giambattista Vico e nella “autocoscienza culturale” di Johann Gottfried Herder.
Per questo ho ritenuto importante ricostruire le tappe di questa discussione. Per comprendere meglio i concetti e per analizzare i modelli e le politiche odierne è necessario partire dalle memorie collettive – i “mattoni” del progresso attuale.
Il secondo capitolo tratta il concetto di multiculturalismo, le origini del problema multiculturale e le sue sfide. In una seconda parte, considero la questione multiculturale e multietnica in una prospettiva analitica che spiega alcuni modelli multiculturali; nella terza parte esamino la differenza tra multiculturalismo e modello multiculturale britannico, facendo emergere le criticità di quest’ultimo. Sempre in questa sezione, cerco di capire alcune cause che contribuiscono alla formazione delle comunità segregate e nell’ultima parte del capitolo svolgo alcune riflessioni su ulteriori casi di costruzione di queste comunità in altri Paesi europei (Germania, Francia e Italia). Dopo aver analizzato alcune ricerche di altri studiosi, espongo alcune ipotesi secondo le quali le comunità segregate si costruiscono a prescindere dalle politiche migratorie, visto che anche nei Paesi che adottano altri modelli di integrazione – ad esempio, quello assimilazionista o quello assistenzialista – si sono create delle comunità segregate. Le politiche migratorie, quindi, possono soltanto influenzare la forma delle comunità segregate, per un verso, lasciando i migranti liberi di costituirle (comunità “volute”), oppure imponendo delle situazioni di concentramento (comunità “imposte”), rendendole più aperte o più chiuse alle comunità di accoglienza.
Nel terzo e nel quarto capitolo sono esaminate le riflessioni dei maggiori studiosi internazionali, attraverso la lettura le più recenti pubblicazioni di Tariq Modood, Ted Cantle e Gerard Bouchard. Ho rivolto particolare attenzione al Canada e al Québec: nel primo caso si rileva un modello implementato nel 1971, definito “modello multiculturale”, invece nel secondo, contrapposto al primo, abbiamo un modello interculturale, sviluppato nella città nazione del Québec.
Nel quinto capitolo esamino altri modelli interculturali, anzitutto quello formulato in America Latina da Fidel Tubino, in riferimento alle minoranze indigene del Perù e del Messico e alle loro richieste di partecipazione attiva nella vita pubblica; in Italia quello proposto da Pierluigi Consorti, con riferimento al discorso che sta sviluppando riguardo al dialogo religioso e al ruolo delle religioni nella società globale. In tale quadro verrà messo a fuoco il dibattito accademico che ha coinvolto molti Paesi europei nella sfida tra multiculturalismo e interculturalismo.
Nelle conclusioni ho provato a comprendere come sia possibile percorrere una via di mezzo tra le posizioni multiculturali e interculturali, tenendo presente che in entrambi i casi rimane centrale il problema del riconoscimento tra maggioranza e minoranza all’interno di società diversificate. In questo caso, svolgo una riflessione sulle possibili linee-guida di un modello di implementazione di queste politiche in Italia, per superare i limiti presentati dal multiculturalismo: riconoscimento di molti gruppi etnici e culturali, possibile riconoscimento, frammentazione o ghettizzazione, con la prospettiva di un nuovo paradigma interculturale, dove alla maggioranza della società viene riconosciuta, attraverso regolamenti ad hoc, il mantenimento di alcuni elementi di memoria culturale collettiva ( i simboli, le religioni, la lingua, le festività, l’uso di elementi religiosi negli spazi pubblici con riserva), mentre alle minoranze nazionali, e in particolare ai nuovi arrivi, vengono riconosciuti alcuni diritti di rappresentanza e mantenimento della loro cultura.
1) Dimostrare che il multiculturalismo non è fallito, attraverso spiegazioni analitiche ed empiriche;
2) Dimostrare che le comunità segregate si formano a prescindere dalle politiche migratorie o dai modelli di riferimento, ipotizzando che il vero impatto di queste politiche sta nella natura liberale o meno della formazione delle comunità segregate;
3) Dimostrare che in ambito locale stiamo assistendo all’implementazione di politiche multiculturali in contrasto con quelle nazionali e che le stesse forze politiche che in ambito nazionale criticano l’approccio multiculturale, a livello locale cercano il dialogo con le comunità etniche e religiosi e stimolano l’integrazione;
4) Superare il modello multiculturale introducendo il nuovo paradigma della “interculturalità”, un concetto che tiene conto della moltiplicazione degli elementi di differenziazione all’interno dei flussi migratori, della loro reciproca interazione, e che sembra essere l’approccio più adatto a garantire la coesione sociale, il riconoscimento dei diritti e il rispetto delle identità culturali e religiose delle diverse componenti etniche presenti nelle realtà locali.
Nel primo capitolo discuto i contributi dei più importanti studiosi che hanno concorso allo sviluppo del pensiero politico liberale nelle società passate e in quelle attuali (post-globali). Prendo in esame il dibattito sul liberalismo, comunitarismo e neo-comunitarismo e successivamente analizzo le riflessioni teoriche dei principali studiosi del pensiero politico legate all’epistemologia multiculturale. Questi studiosi, con i loro contributi, hanno in qualche maniera contribuito alla nascita ed allo sviluppo delle nuove teorie multiculturali. A partire dalle riformulazioni liberali di John Rawls, quelle neo-comunitariste di Charles Taylor, la critica sul fronte liberale di Jürgen Habermas e le riflessioni di Will Kymlicka. Questo Excursus servirà per dimostrare che recentemente il multiculturalismo è diventato un argomento di prima importanza nel dibattito nord-americano ed europeo, e le sue origini remote si rintracciano nel “pluralismo delle culture” di Giambattista Vico e nella “autocoscienza culturale” di Johann Gottfried Herder.
Per questo ho ritenuto importante ricostruire le tappe di questa discussione. Per comprendere meglio i concetti e per analizzare i modelli e le politiche odierne è necessario partire dalle memorie collettive – i “mattoni” del progresso attuale.
Il secondo capitolo tratta il concetto di multiculturalismo, le origini del problema multiculturale e le sue sfide. In una seconda parte, considero la questione multiculturale e multietnica in una prospettiva analitica che spiega alcuni modelli multiculturali; nella terza parte esamino la differenza tra multiculturalismo e modello multiculturale britannico, facendo emergere le criticità di quest’ultimo. Sempre in questa sezione, cerco di capire alcune cause che contribuiscono alla formazione delle comunità segregate e nell’ultima parte del capitolo svolgo alcune riflessioni su ulteriori casi di costruzione di queste comunità in altri Paesi europei (Germania, Francia e Italia). Dopo aver analizzato alcune ricerche di altri studiosi, espongo alcune ipotesi secondo le quali le comunità segregate si costruiscono a prescindere dalle politiche migratorie, visto che anche nei Paesi che adottano altri modelli di integrazione – ad esempio, quello assimilazionista o quello assistenzialista – si sono create delle comunità segregate. Le politiche migratorie, quindi, possono soltanto influenzare la forma delle comunità segregate, per un verso, lasciando i migranti liberi di costituirle (comunità “volute”), oppure imponendo delle situazioni di concentramento (comunità “imposte”), rendendole più aperte o più chiuse alle comunità di accoglienza.
Nel terzo e nel quarto capitolo sono esaminate le riflessioni dei maggiori studiosi internazionali, attraverso la lettura le più recenti pubblicazioni di Tariq Modood, Ted Cantle e Gerard Bouchard. Ho rivolto particolare attenzione al Canada e al Québec: nel primo caso si rileva un modello implementato nel 1971, definito “modello multiculturale”, invece nel secondo, contrapposto al primo, abbiamo un modello interculturale, sviluppato nella città nazione del Québec.
Nel quinto capitolo esamino altri modelli interculturali, anzitutto quello formulato in America Latina da Fidel Tubino, in riferimento alle minoranze indigene del Perù e del Messico e alle loro richieste di partecipazione attiva nella vita pubblica; in Italia quello proposto da Pierluigi Consorti, con riferimento al discorso che sta sviluppando riguardo al dialogo religioso e al ruolo delle religioni nella società globale. In tale quadro verrà messo a fuoco il dibattito accademico che ha coinvolto molti Paesi europei nella sfida tra multiculturalismo e interculturalismo.
Nelle conclusioni ho provato a comprendere come sia possibile percorrere una via di mezzo tra le posizioni multiculturali e interculturali, tenendo presente che in entrambi i casi rimane centrale il problema del riconoscimento tra maggioranza e minoranza all’interno di società diversificate. In questo caso, svolgo una riflessione sulle possibili linee-guida di un modello di implementazione di queste politiche in Italia, per superare i limiti presentati dal multiculturalismo: riconoscimento di molti gruppi etnici e culturali, possibile riconoscimento, frammentazione o ghettizzazione, con la prospettiva di un nuovo paradigma interculturale, dove alla maggioranza della società viene riconosciuta, attraverso regolamenti ad hoc, il mantenimento di alcuni elementi di memoria culturale collettiva ( i simboli, le religioni, la lingua, le festività, l’uso di elementi religiosi negli spazi pubblici con riserva), mentre alle minoranze nazionali, e in particolare ai nuovi arrivi, vengono riconosciuti alcuni diritti di rappresentanza e mantenimento della loro cultura.
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