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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-06062008-105231


Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
BIAGIONI, FRANCESCA
URN
etd-06062008-105231
Titolo
Morfologia e funzione patologica nell’ippocampo associata al trattamento con 3,4-metilendiossimetanfetamina (ecstasy)
Settore scientifico disciplinare
BIO/14
Corso di studi
MORFOLOGIA E FUNZIONE NORMALE E PATOLOGICA DI CELLULE E TESSUTI
Relatori
Relatore Prof. Fornai, Francesco
Parole chiave
  • neurodegenerazione
  • MDMA
  • ippocampo
  • P-tau
Data inizio appello
23/06/2008
Consultabilità
Completa
Riassunto
Introduzione
Ecstasy è il nome comune della 3,4-metilendiossimetanfetamina (MDMA). Si tratta di un derivato dell’anfetamina strutturalmente correlato alla mescalina. Gli effetti inducono psicostimolazione, allucinazioni, e, a lungo termine, effetti neuropsichiatrici come psicosi e depressioni. La sostanza fu brevettata in Germania da Merk nel 1914 (Shulgin, 1990) come soppressore dell’appetito, ma non fu mai immessa sul mercato. Successivamente rimase sconosciuto ed inutilizzato per molti anni finché non divenne la droga più popolare dei rave party, feste in cui si ballava fino all’alba, molto popolari negli anni ottanta e novanta. I piacevoli effetti comportamentali, che comprendono aumento dell’empatia, riduzione del senso di ansia e perdita delle inibizioni, associati con l’apparente scarsità di effetti collaterali, hanno portato all’affermazione dell’ecstasy come droga ricreazionale (Morton, 2005).
L’MDMA interferisce con le funzioni del sistema nervoso centrale e periferico, agendo principalmente sul sistema serotonergico (Lyles e Cadet, 2003). La sostanza possiede proprietà simpatico-mimetiche (Seiden et al., 1996) e può modulare la funzione psicomotoria (Bankson et al., 2001) e neuroendocrina (de la Torre et al., 2000).
L’azione dell’MDMA sul sistema nervoso centrale è complessa, poiché colpisce principalmente le vie serotonergiche ma può colpire anche le vie di trasmissione dopaminergiche e noradrenergiche (Morton, 2005).
La sua tossicità si attua mediante il legame con i tre trasportatori presinaptici delle monoamine, con affinità più elevata per i trasportatori della serotonina. Agisce, inoltre, come un agonista monoaminergico indiretto legandosi a diversi recettori classici, con affinità più elevata per i recettori ?2-adrenergici, 5-HT2 serotonergici, M-1 muscarinici e H-1 per l’istamina, e affinità più bassa, per i recettori muscarinici M-2, ?1 e ?-adrenergici, 5-HT1 serotonergici ed i recettori D1 e D2 dopaminergici (Green et al., 2003).
Ci sono importanti differenze tra le varie specie animali in merito alla sensibilità ad MDMA. Nei topi, a differenza di quanto avviene in ratti e primati, in cui gli effetti sono per lo più limitati ai neuroni serotonergici, MDMA sembra colpire principalmente il sistema dopaminergico nigrostriatale determinando un rapido rilascio di dopamina (DA) dal tessuto cerebrale (Colado et al., 2004).
Meccanismi di neurotossicità da MDMA
È stato proposto che gli agenti causali della degenerazione a lungo termine indotta da MDMA siano i suoi metaboliti che generano radicali liberi, associati con stress ossidativo e danneggiamento delle membrane (Colado et al., 1993; Paris e Cunnigham, 1992). I metaboliti dell’ MDMA generano specie reattive attraverso cicli redox. Queste specie reattive potrebbero causare danno ossidativo alle proteine ed ai lipidi che compongono le terminazioni nervose. Inoltre i catecoli, gli idrochinoni ed i chinoni vanno incontro a spontanea ossidazione utilizzando idrogeno e generando superossido e perossido di idrogeno che portano a perossidazione lipidica e danneggiamento delle terminazioni serotonergiche. Queste osservazioni sono sostenute dal fatto che il trattamento con scavenger dei radicali liberi previene la neurotossicità indotta da MDMA (Colado et al., 1995).
Coinvolgimento preferenziale del sistema limbico negli abusatori di MDMA
Gli studi di neurotossicità da MDMA si sono focalizzati quasi esclusivamente sui gangli della base (sul sistema nigro-striatale), ad ogni modo l’evidenza che l’MDMA induce anomalie elettroencefalografiche (Dafters et al., 1999; Gamma et al., 2000) e danneggiamento cognitivo richiede l’analisi del potenziale coinvolgimento di aree cerebrali diverse dai gangli della base. I nostri studi hanno dimostrato un maggior coinvolgimento del sistema limbico rispetto ai gangli della base.
Il ruolo del sistema limbico appare importante in quanto si tratta di un’area coinvolta nella memoria e nelle attività cognitive. Infatti i consumatori di MDMA hanno difficoltà nel codificare informazioni di memoria a lungo termine, difficoltà nell’apprendimento verbale, sono più facilmente distratti e sono meno efficienti nel concentrarsi durante prove complesse. Il livello di danno è in relazione alla severità dell’uso (Lundqvist, 2005).
Le immagini di risonanza magnetica funzionale in soggetti umani facenti uso di MDMA evidenziano delle differenze rispetto a soggetti di controllo in un test di associazioni viso-professione per la memoria episodica, ed in particolare i consumatori di MDMA, presentano l’attivazione di un’area più ristretta nell’ippocampo sinistro rispetto ai controlli (Daumann et al., 2005). Inoltre i consumatori di MDMA, con tempi di reazione più prolungati nei test di attenzione, non riescono ad attivare in maniera normale l’ippocampo nei test di memoria verbale (Jacobsen et al., 2004).
Inizialmente i disturbi mnemonici e cognitivi sono stati attribuiti al fatto che l’MDMA danneggia i neuroni serotonergici (McCann et al., 1998; Semple et al., 1999; Reneman et al., 2001); tali studi si sono soffermati sull’uso dei livelli cerebrali di trasportatori serotonergici, come indicatori di integrità neuronale. Tuttavia la possibilità di un danno diretto per i neuroni dell’ippocampo non è stata mai indagata in maniera specifica. Solo recentemente è stato visto nel topo che dosi ripetute di MDMA producono stress ossidativo, rottura del DNA a singolo e doppio filamento, e cambiamenti metabolici di lunga durata nell’ippocampo, associati con suscettibilità ad attacchi convulsivi limbici (Frenzilli et al., 2007). I cambiamenti elettroencefalografici indotti nel topo da MDMA sono coerenti con l’aumento dell’eccitabilità limbica (Giorgi et al., 2005). Nel complesso questi dati suggeriscono che il sistema limbico, e con esso l’ippocampo, potrebbe essere un’area cerebrale preferenziale per l’azione neurotossica dell’MDMA. In altri termini, i neuroni appartenenti al sistema limbico potrebbero rappresentare bersagli primariamente colpiti da questa droga.
Alterazioni cognitive ed iperfosforilazione della tau
Nell’uomo le malattie neurodegenerative caratterizzate da deficit cognitivo portano ad alterazioni strutturali delle proteine del citoscheletro ed in particolare dei microtubuli.
I microtubuli sono coinvolti nel mantenimento della corretta polarità cellulare e nel trasporto assonale (Buee et al., 2000). Probabilmente le proteine associate ai microtubuli (MAPs) sono le principali responsabili del mantenimento di tali funzioni. Tra queste proteine la proteina tau appartenente al gruppo delle MAPs è localizzata principalmente nell’assone (Leger et al., 1994); essa gioca un ruolo fondamentale nell’assemblaggio dei monomeri di tubulina in microtubuli, nel mantenimento della struttura dei microtubuli (Alonso et al., 2001), e nella costruzione di legami tra microtubuli ed altri componenti citoscheletrici o proteine (Buee et al., 2000). In vivo, tau induce la costruzione e la stabilizzazione dei microtubuli cellulari, promuove la crescita assonale e stabilisce e mantiene la corretta polarità cellulare (Leger et al., 1994)
Nella malattia di Alzheimer ed in altre patologie neurodegenerative le proteine tau si aggregano in filamenti dritti ed accoppiati ad elica (Sergeant et al., 2005), col progredire della patologia le fibrille si associano tra di loro a formare delle dense reti di filamenti interconnessi tra di loro che prendono il nome di grovigli neurofibrillari; è stato visto che la quantità di grovigli neurofibrillari è correlata con la severità della demenza (Arriagada et al., 1992; Flament et al., 1990).
Una serie di studi hanno evidenziato la presenza di elevati livelli di fosforilazione nei filamenti accoppiati ad elica, la principale forma di tau filamentosa presente nella malattia di Alzheimer, indicando così un importante ruolo della fosforilazione nello sviluppo dei grovigli neurofibrillari (Sergeant et al., 2005; Buee et al., 2005; Lee et al., 2001).
In effetti l’isoforma iperfosforilata di tau non si lega alla tubulina ma inibisce in vitro l’assemblaggio dei microtubuli e distrugge i microtubuli preformati, sequestrando la tau normale e le proteine ad elevato peso molecolare associate ai microtubuli (MAPs) (Alonso et al., 1994) portando alla destabilizzazione dei microtubuli stessi (Bramblett et al., 1993; Biernat et al., 1993) e alterando il trasporto assonale (Stamer et al., 2002; Mandelkow et al., 2004). L’anormale iperfosforilazione di tau, tramite tali meccanismi, conduce a degenerazione, formazione di grovigli neurofibrillari e demenza (Iqbal et al., 2005).
L’iperfosforilazione di tau sembra essere controllata sia a livello dell’enzima che a livello del substrato (Iqbal et al., 2005). La regolazione a livello dell’enzima avviene per attivazione di una o più chinasi e si riduce per attivazione di una o più fosfatasi. Sono stati identificati più di 25 siti differenti nei quali tau può essere fosforilata da diverse protein chinasi (Iqbal et al., 2005). Si crede che i due principali enzimi coinvolti nell’iperfosforilazione di tau siano la chinasi ciclina-dipendente 5 (Cdk5) e la glicogeno sintetasi chinasi 3 beta (GSK-3?), due chinasi serina/treonina dipendenti (Hanger et al., 1992; Ishiguro et al., 1992; Mandelkow et al., 1992; Paudel et al., 1993).
La regolazione a livello del substrato avviene ad opera della struttura di tau, in particolare si è visto che isoforme di tau con due inserti amino-terminali sono maggiormente suscettibili alla fosforilazione da parte di Cdk5 seguita da fosforilazione da parte di GSK-3? (Sengupta et al., 1997). Infatti delle proteine tau si conoscono diverse isoforme ottenute dallo splicing alternativo di 11 esoni nel cromosoma 17 (17q21). Le isoforme del sistema nervoso centrale sono prodotte dallo splicing dell’esone 2, 3 e 10; questo produce sei isoforme di tau in un range che va da 352 a 441 aminoacidi. La variabilità è in relazione sia con la porzione carbossi-terminale sia con quella amino-terminale della molecola.
Coinvolgimento della glicoproteina Dickkopf-1
Dickkopf-1 è una glicoproteina secreta che agisce come antagonista selettivo della via canonica di Wnt interagendo con le lipoproteine a bassa densità legate ai recettori LRP 5/6, che sono anche i recettori delle glicoproteine Wnt. Nella “via canonica” di Wnt queste glicoproteine si legano ad un gruppo di recettori noti come “Frizzled receptors” ed “LRP5/6” promuovendo una cascata di eventi intracellulari che inibiscono l’attività della glicogeno sintetasi chinasi 3? (GSK-3?) e che quindi prevengono la fosforilazione, ubiquitinazione e anche la degradazione di una serie di proteine tra le quali la beta-catenina e le proteine tau. Un effetto indotto dalla fosforilazione della beta-catenina è che questa migra nel nucleo della cellula dove promuove la trascrizione di geni importanti per l’omeostasi e la sopravvivenza neuronale.
Dkk-1 agisce legandosi ad LRP quindi impedendo l’interazione di queste con le proteine Wnt (Zorn, 2001; Mao et al., 2002; Grotewold e Ruther, 2002 a e b, Huelsken e Behrens, 2002) determinando l’internalizzazione del recettore.
Una delle conseguenze del blocco della via di Wnt è un’aumentata degradazione della ?-catenina risultante dalla disinibizione di GSK-3? (Kim et al., 2003; Levina et al., 2004). Ciò priva i neuroni del supporto trofico fornito dal programma genico portato avanti dalla ?-catenina (Willert e Nusse, 1998), portando alla sua fosforilazione e degradazione da parte del complesso ubiquitina/proteosoma quindi non rendendola più disponibile per la traslocazione nucleare (Aberle et al., 1997). Alternativamente la ?-catenina può essere fosforilata da GSK-3? nel nucleo (Bijur e Hope, 2003). Oltre che promuovere la degradazione della ?-catenina, l’inibizione della via di Wnt da parte di Dkk-1 potrebbe anche promuovere la fosforilazione della proteina tau mediata da GSK-3? con conseguente danneggiamento delle dinamiche citoscheletriche (Caricasole et al., 2004). La proteina tau è un costituente essenziale dei microtubuli e l’anomala struttura ne impedisce la polimerizzazione causando, da un lato, il suo addensamento in grovigli insolubili e, dall’altro, la mancata sintesi dei microtubuli e la perdita delle funzioni ad essi legate, in particolare il trasporto di sostanze da una parte all’altra della cellula.
Nel presente studio abbiamo valutato l’alterazione della glicoprioteina Dickkopf-1 (Dkk-1) nel cervello di topi trattati con MDMA. Studi recenti dimostrano, infatti, che l’induzione di tale proteina può costituire un evento chiave nello sviluppo della morte neuronale ischemica ed eccitotossica (Cappuccio et al., 2005). In virtù di questo ruolo ne abbiamo valutato l’espressione come marker di vulnerabilità neuronale.
Scopo dello studio
Lo scopo di questo studio consiste nel valutare il coinvolgimento delle aree limbiche nel danno indotto dall’MDMA e la presenza di alterazioni cognitive, biochimiche e comportamentali in topi trattati con MDMA, in acuto ed in cronico.
Questa caratterizzazione si è basata sulla valutazione dello stress ossidativo dal momento che è stato proposto nella parte introduttiva che gli agenti causali della degenerazione a lungo termine indotta da MDMA siano i suoi metaboliti che generano radicali liberi, associati con stress ossidativo e danneggiamento delle membrane (Colado et al., 1993; Paris e Cunnigham, 1992); sulla valutazione, in particolar modo nell’ippocampo rispetto ad altre aree, dello stato di fosforilazione della proteina tau e delle vie coinvolte in questo fenomeno tra cui la glicoproteina Dkk-1 valutazioni effettuate in relazione al loro coinvolgimento nello sviluppo di patologie neurodegenerative e nello sviluppo delle demenze.
Materiali e metodi
Animali
Gli esperimenti sono stati condotti su topi C57/BL6 maschi di 10 settimane di vita (Charles River, Calco, CO, Italia) o topi omozigoti per un allele ipomorfico di Dkk-1 (topi doubleridge) (gentilmente forniti da M.H. Meisler, Università di Michigan, USA) usando topi C3H come controlli wild-type (Charles River, Calco, CO, Italia). I topi doubleridge sono mutanti inserzionali privi di un enhancer trascrizionale nel gene per Dkk-1 (MacDonald et al., 2004). Tutti i topi sono stati tenuti in condizioni ambientali controllate (temperatura ambiente = 22° C, umidità = 40%) in un ciclo luce/buio di 12 ore con cibo ed acqua ad libitium. Gli esperimenti sono stati condotti seguendo le Linee Guida per la Cura e l’Uso degli Animali dell’Istituto Nazionale di Sanità.
Strategie sperimentali: protocolli di somministrazione dell’MDMA
In tutti gli esperimenti i topi C57/BL6 sono stati trattati, sia acutamente che ripetutamente, con MDMA. Il trattamento acuto consisteva di due somministrazioni consecutive intraperitoneali (i.p.) di 25 mg/kg di MDMA cloridrato racemico (iniettati a due ore di intervallo). La dose cumulativa di 50 mg/kg corrisponde a 42 mg/kg di MDMA base libera. In alternativa i topi sono stati trattati per 6 giorni con due somministrazioni consecutive intraperitoneali (i.p.) di 15 mg/kg di MDMA cloridrato racemico (iniettati a due ore di intervallo). La dose cumulativa di 30 mg/kg corrisponde a 23.5 mg/kg di MDMA base libera al giorno per sei giorni.
Queste dosi sono state selezionate sapendo che i consumatori assumono da 80 a 250 mg di MDMA al giorno, e che l’equivalente dose parenterale negli animali può essere calcolata secondo la relazione Duomo= Danimale (Wuomo/Wanimale)0.7 dove D è la dose della droga in mg e W è il peso corporeo in kg (Green et al., 2003). Secondo questa relazione le dosi selezionate nel topo sono approssimativamente equivalenti ad una dose acuta di 217 mg o 130 mg giornalieri per 6 giorni in un uomo di 70 kg. I topi di controllo sono stati trattati esclusivamente con salina. Tutti i topi sono stati sacrificati per decapitazione in tempi differenti (da 1 a 7 giorni dopo il trattamento acuto con MDMA e da 1 giorno a 3 mesi dopo iniezioni ripetute di MDMA).
In un ulteriore ciclo di esperimenti l’MDMA (25 mg/Kg x 2 i.p. = 50 mg/Kg) è stato somministrato a topi ipomorfici per Dkk-1 (topi doubleridge; n = 6) usando topi C3H come linea wild-type. Gli animali di controllo sono stati sottoposti a due iniezioni consecutive di salina (a distanza di 2 h). I topi doubleridge e C3H sono stati sacrificati mediante decapitazione 1 giorno dopo il trattamento con MDMA o salina.
Infine, l’MDMA (25 mg/Kg x 2 i.p. = 50 mg/Kg) è stato iniettato in topi pre-trattati con cloruro di litio (1 mEq/kg, i.p. ogni dodici ore iniziando 7 giorni prima di un trattamento con MDMA) e/o pre-trattati con l’inibitore dell’enzima Cdk5, roscovitina (30 nmol/2?l di DMSO 50%, i.c.v. due volte, 30 minuti prima di ognuna delle due iniezioni consecutive di MDMA). I topi di controllo sono stati trattati con salina (i.p.) (due iniezioni consecutive a distanza di 2 h) in topi pre-trattati i.p. con salina (ogni 12 ore a partire da 7 giorni prima del trattamento con salina) e/o pre-trattati i.c.v. con DMSO 50% (2?l, i.c.v., 30 minuti prima di ognuna delle due consecutive iniezioni di salina). Tutte le iniezioni i.c.v. sono state effettuate tramite una cannula guida impiantata in animali anestetizzati con ketamina (100 mg/Kg) + xilazina (10 mg/Kg), i.p., (coordinate: AP -0.8 mm; ML 1.4 mm; DV -2.4 mm dal cranio dell’animale, secondo l’atlante Paxinos e Franklin, 1997). Tutti gli animali sono stati uccisi per decapitazione 1 giorno dopo il trattamento con MDMA o salina.
I cervelli prelevati sono stati usati per l’analisi istologica/immunoistochimica e biochimica. Da ciascun cervello, un emiencefalo è stato fissato in Carnoi, incluso in paraffina, sezionato a 10 ?m e processato per analisi istologica/immunoistochimica. Dall’altro emiencefalo sono state microdissezionate le aree cerebrali di interesse (ippocampo e striato) e le proteine sono state processate per l’ analisi Western blot.
Analisi istologica e quantitativa
Per valutare la possibile degenerazione neuronale le sezioni sparaffinate (10 ?m) sono state processate per colorazione con la tionina (colorazione Nissl). Dopo lavaggi in dH2O, le sezioni sono state incubate per 8 minuti in tionina. Per valutare il danno ippocampale, il numero di neuroni sopravvissuti nello strato di cellule piramidali è stato contato con un metodo non stereologico per la valutazione della densità neuronale (neuroni per mm3 di tessuto, Nv) utilizzando la formula seguente: Nv=NA/(t+D), dove NA è il numero di neuroni per mm2 di tessuto, t è lo spessore della sezione, e D è il diametro del neurone (Abercrombie, 1946). I neuroni di forma rotonda simile a quella comunemente osservata nelle sezioni di controllo sono stati considerati vitali. È stata anche valutata la presenza di morte neuronale, tramite colorazione Fluoro-Jade B che marca i neuroni in degenerazione come fluorescenza verde (Schmued et al., 1997; Schmued e Hopkins, 2000). A tal fine, le sezioni sparaffinate (10 ?m) sono state incubate 20 minuti in una soluzione di acido acetico allo 0.1% /v/v) contenente lo 0.001% (w/v) di Fluoro-Jade B e successivamente analizzate mediante un microscopio a fluorescenza.
Per la valutazione della presenza di frammentazione del DNA, sono state usate sezioni paraffinate di 10 micron e processate per il TUNEL labeling utilizzando il kit In situ cell Death detection, POD (Roche Applied Science, Mannheim, Germania).
Immunoistochimica
I cervelli prelevati sono stati fissati in Carnoi (miscela di Etanolo/Ac.acetico/Cloroformio, 6:1:3), inclusi in paraffina e sezionati a 10 ?m. Le sezioni sono state sparaffinate mediante immersione in xilene per 40 minuti ed immerse in soluzioni di etanolo successive (dal 100% al 70%) fino all’immersione in acqua distillata per 6 min. Eliminata la paraffina, sono state immerse in perossido di idrogeno al 3% per bloccare l'attività delle perossidasi endogene. L’immunoistochimica è stata eseguita con tecnica immunoperossidasica basata sul metodo del complesso avidina-biotina (ABC elite kit, Vector Laboratories,Burlingame, CA, USA). I campioni sono stati incubati per 12 ore con un anticorpo monoclonale di topo anti-proteina fibrillare acida gliale (GFAP) (1:400, Signa Aldrich, Milano, Italia) e poi per 1 ora con l’anticorpo biotinilato anti-IgG di topo (1:200; Vector Laboratoires, Burlingame, CA, USA); con l’anticorpo di coniglio anti-fosfo-tau (pSer404) (P-tau, 1:100, Signa Aldrich, Milano, Italia) e poi per 1 ora con l’anticorpo secondario biotinilato anti-IgG di coniglio (1:200; Vector Laboratoires, Burlingame, CA, USA); con l’anticorpo monoclonale di topo anti-PHF tau (PHF-1, 1:100; pSer396 e pSer404) e poi per 1 ora con l’anticorpo biotinilato anti-IgG di topo (1:200; Vector Laboratoires, Burlingame, CA, USA); con l’anticorpo monoclonale di ratto anti-Dkk-1 (Dkk-1, 1:10; R&D System Inc. Minneapolis, MN, USA) e poi per 1 ora con l’anticorpo biotinilato anti-IgG di ratto (1:200; Vector Laboratoires, Burlingame, CA, USA). Per quanto riguarda l’immunistochimica per Dkk-1 la procedura ha richiesto un passaggio di smascheramento antigenico eseguito mediante incubazione nel tampone citrato (10 mM, pH 6) riscaldato in forno a microonde a 350 W per 10 minuti. Come sistema di rivelazione è stata utilizzata la 3,3’-diamminobenzidina (DAB) come substrato perossidasico. La colorazione di controllo è stata eseguita senza gli anticorpi primari. L’immunopositività per P-tau e PHF tau è stata quantificata misurando la densità ottica della regione CA2/CA3 ippocampale in sezioni colorate usando un sistema applicato ad un software di immagine (NIH Image Software, Bethesda, MD, USA).
Analisi tramite Western blot
I tessuti di topo sono stati omogeneizzati a 4° C in un tampone di lisi con un omogeneizzatore Teflon-glass (1700 rev/min). 5 ?l di tessuto sono stati utilizzati per la determinazione delle proteine, 50 ?g di proteine sono stati risospesi nel tampone riducente SDS-blu di bromofenolo e utilizzati per la determinazione delle proteine. Le analisi tramite Western blot sono state condotte utilizzando gel di poliacrilamide con SDS (10% per P-tau e PHF tau, 15% per la proteina Dkk-1, e 12% per le proteine p35/p25) e corso su un apparato minigel o maxigel (Biorad, Mini o Maxi Protean II Cell; Biorad, Milano, Italia), l’elettroblotting del gel è stato eseguito su una membrana Immunblot PVDF (Biorad, Italia) per un’ora utilizzando un sistema di elettroblotting semi-asciutto (Biorad, Trans-blot system SD) e i filtri sono stati bloccati overnight in un tampone TTBS (100 mM Tris-HCl; 0.9% NaCl, 0.1% Tween 20, pH 7.4) contenente 5% di latte in polvere non grasso, per la proteina fosforilata la soluzione bloccante conteneva 3% di BSA e 2% di latte in polvere non grasso.
I blots per le proteine fosforilate sono stati incubati per 1 h a temperatura ambiente con l’anticorpo primario policlonale di coniglio anti-P-tau (0.5 µg/ml, Oncogene, DBA, Italia) e con l’anticorpo monoclonale di topo anti-PHF-tau (PHF-1 pSer396 e pSer404, 1 µg/ml, forniti gentilmente dal professor Peter Davies, Albert Einstein College of Medicine, NY, USA).
I blots per Dkk-1, Cdk5 e p35/25 sono stati incubati O/N a 4°C con i rispettivi anticorpi: policlonale di capra anti-Dkk-1 (2 microg/ml, R&D System), monoclonale di topo anti-Cdk5 (1 microg/ml, Upstate Biotecnology, Lake Placid, NY, USA), policlonale di coniglio anti-p35/25 (2 microg/ml, Santa Cruz Biotechnology, Tebu, France). I blots per la beta-actina (anticorpo monoclonale di topo; Sigma) sono stati incubati per 1 h a temperatura ambiente (1:60,000).
I blots per GSK-3beta e P-GSK-3 beta) sono stati incubati O/N a 4°C con i rispettivi anticorpi: monoclonale di topo anti-GSK-3beta (1:200, Santa Cruz Biotechnology, Tebu, France), policlonale di coniglio anti-P-GSK-3? (1:1000, Cell Signaling Technology, Inc., Danvers, MA, USA). I filtri sono stati lavati per tre volte in tampone TTBS e quindi incubati con il relativo anticorpo secondario legato alla perossidasi per 1 h in TBS (anti-coniglio 1:7,000; anti-topo, 1:7,000; o anti-capra 1:2,000; Calbiochem, DBA, Italia).
La marcatura immunologica è stata rilevata tramite chemioluminescenza indotta (Amersham Biosciences, Milano, Italia). L’analisi densitometrica è stata condotta misurando l’intensità della banda. I risultati sono espressi in unità arbitrarie di densità ottica.
Valutazione dell’attività enzimatica di GSK-3 beta
La valutazione dell’attività di GSK-3 beta è stata effettuata per il trasferimento del fosforo radioattivo (32P) dal [P-32P]ATP ad un peptide substrato usando un kit specifico (Sigma). La chinasi è stata precipitata da un estratto di proteine ippocampali con un anticorpo anti-GSK-3???La reazione è stata effettuata a temperatura ambiente e fermata 8 minuti dopo caricando 20 microlitri della mistura su fogli di fosfocellulosa P81, dopo una serie di lavaggi la radioattività è stata valutata mediante il beta counter (model SL 3801; Beckman Coulter, Fullerton, CA, USA).
Valutazione dell’attività enzimatica di Cdk5
Il lisato tissutale contenente 500 microg di proteine è stato diluito in tampone di lisi in un volume di 500 microl e prechiarificato con 50 microl di biglie di proteina A (beads) (50% di tampone di lisi; Santa Cruz Biotechnology) a 4°C per 2 ore. La Cdk5 è stata immunoprecipitata con 5 microg di anticorpo anti-Cdk5. L’immunoprecipitato è stato lavato con tampone di lisi e con tampone chinasi (20 mM Tris HCl, pH 7.4, 10 mM MgCl2, 1 mM EDTA, 10 µM NaF, e 1 µM Na2VO3) e risospeso in 30 ?l di acqua. Sono poi stati aggiunti dieci ?l di mix chinasi [100 mM Tris HCl, pH 7.4, 50 mM MgCl2, 5 mM EDTA, 50 µM NaF, 5 µM Na2VO3, 5 mM DTT, e 50 µM NF-H peptide (VKSPAKEKAKSPVK; Sigma Genosys, Milano)] a 30 ?l di immunoprecipitato. L’attività chinasica è stata valutata aggiungendo 5 µCi di [P-32P]ATP (attività specifica, 3 Ci/mmol, GE Healthcare). La specificità dell’attività è stata confermata in presenza di roscovitina (10 microM). La reazione è stata quindi bloccata aggiungendo 20 microl di acido tricloroacetico (10%) a 20 microl di mistura di reazione e il tutto è stato quindi caricato su fogli di fosfocellulosa P81. L’attività della chinasi è stata valutata al beta counter.
Quantificazione mediante microdialisi dei radicali liberi nello spazio extracellulare corticale, striatale e ippocampale
Topi C57/BL6 maschi di 10 settimane di vita (Charles-River) sono stati utilizzati per misurare la produzione di radicali liberi in diverse aree cerebrali (striato, ippocampo e corteccia frontale) indotta dal trattamento sistemico con MDMA (25 mg/Kg x 2 i.p. = 50 mg/Kg). A tal fine è stata utilizzata la tecnica della microdialisi eseguita in animali consci e liberi di muoversi. Ai topi è stata impiantata una guida intracerebrale da microdialisi (CMA/7 Cannula Guida, CMA/Microdialisi, Stoccolma, Svezia) in anestesia con Ketamina (100mg/kg) e xilazina (10mg/kg, i.p.), utilizzando un apparato stereotassico di Kopf. L’analisi è stata eseguita selezionando tre siti di impianto alternativi: lo striato sinistro (coordinate: 0.6 mm anteriormente al bregma, 1.7 mm lateralmente alla linea mediana, 2.5-4.5 mm ventralmente rispetto alla superficie del cranio); l’ippocampo sinistro (coordinate: 3.0 mm posteriore al bregma, 2.8 mm lateralmente alla linea mediana, 2.0-4.0 mm ventralmente rispetto alla superficie del cranio) o la corteccia frontale (coordinate: 1.8 mm anteriormente al bregma, 2.2 mm lateralmente alla linea mediana, 1.8-3.8 mm ventralmente rispetto alla superficie del cranio). Le coordinate riportate sono state ricavate in accordo all’atlante di Paxinos e Franklin (1997). Dopo l'operazione, i topi sono stati sistemati in gabbie differenti in un ambiente a temperatura controllata con un ciclo luce/buio di 12 ore, con libero accesso ad acqua e cibo, ed è stato permesso loro di riprendersi per quattro giorni. Il giorno prima dell'esperimento, un probe è stato inserito nella guida intracerebrale e i topi sono stati trasferiti in una gabbia di plastica con un braccio mobile (CMA/120 Sistema per animali liberi di muoversi, CMA/ Microdialisi, Stoccolma, Svezia) con libero accesso ad acqua e cibo. E’ stato utilizzato un probe da microdialisi verticale concentrico lungo 2 mm, e del diametro di 0.24 mm avente una membrana di cuprophane con un cut-off molecolare di 6,000 Daltons (CMA/7 probe per Microdialisi, CMA/Microdialisi, Stoccolma, Svezia). Il probe è stato continuamente perfuso con liquido cerebro-spinale artificiale (ACSF), ad un flusso di 1.5 ?l/min, attraverso l’ utilizzo di una pompa da microinfusione (Sistema Inc. Bioanalitico, Ovest Lafayette, Indiana, USA). La mattina seguente, sono state raccolte le frazioni ogni 20 minuti contenenti 30 ?l di perfusato mediante l’utilizzo di un collettore di frazioni (CMA/ 142 Microfraction Collector, CMA/Microdialisi, Stoccolma, Svezia). Dopo la raccolta di tre frazioni, usate per determinare i livelli basali di radicali liberi (ROS), i topi sono stati sottoposti a due somministrazioni sistemiche MDMA (25 mg/kg, i.p. x 2 i.p. = 50 mg/Kg) e le frazioni sono state raccolte per le successive 2 ore seguenti ad ogni singola iniezione di MDMA. La formazione di specie reattive dell’ossigeno è stata esaminata monitorando i livelli dell’acido 2,3-diidrossibenzoico (2,3-DHBA), prodotto dalla reazione dell’acido salicilico (aggiunto a ACSF alla concentrazione di 5 mM) con i radicali liberi. L’analisi è stata effettuata mediante un sistema HPLC accoppiato ad un detettore elettrochimico. Venti ?l del perfusato sono stati iniettati nell’HPLC equipaggiato con una colonna analitica a fase inversa a C-18 mantenuta a 30 gradi centigradi (Ultrasfera ODS 5 ?m sferica, 80 Å poro, 250 mm × 4.6 mm, Beckman Instruments) e di un detettore elettrochimico (ESA, Inc., Chelmsford, MA, USA). I potenziali di ossidoriduzione erano settati a + 350 and – 350 mV per la detezione dell’acido 2,3-DHBA. La fase mobile utilizzata era costituita da sodio fosfato (80 mM), acido citrico (40 mM), EDTA (0.4 mM), acido 1-eptansulfonico (3 mM) e metanolo (12.5%) a un pH 2.75 con acido fosforico (corsa in condizioni isocratiche, 1 ml/min).
Test water maze di Morris
Il test water maze è stato condotto come descritto da Morris (1984). L’apparato sperimentale consisteva in un recipiente circolare (diametro, 97 cm; altezza 60 cm) contenente acqua a 24 ± 1° C. La piattaforma bersaglio (diametro 10 cm) era sommersa 1 cm al di sotto della superficie dell’acqua ed era piazzata nel punto centrale di un quadrante. La piattaforma era localizzata in una posizione fissa, equidistante dal centro e dalle pareti della piscina. La piscina era situata in una stanza di test contenente vari riferimenti visivi fissi. La sessione di acquisizione training è stata condotta 30 giorni dopo iniezioni ripetute di MDMA (30 giorni dopo l’ultima delle dosi di 30 mg/kg ripetute giornalmente per 6 giorni). Ogni topo è stato sottoposto ad una sessione giornaliera comprendente 5 prove per 4 giorni successivi (giorni 1-3) durante i quali gli animali sono stati lasciati nella vasca liberi di nuotare fino alla piattaforma di fuga. Se un animale non trovava la piattaforma in un periodo di 60 s vi era delicatamente guidato. Agli animali era consentito di rimanere sulla piattaforma per 20 s dopo averla raggiunta. I punti di inizio variavano in maniera pseudo-casuale. La sessione di probe è stata effettuata rimuovendo la piattaforma dalla vasca e lasciando il topo libero di nuotare per 60 s nella vasca. Il tempo impiegato dall’animale a raggiungere la piattaforma è stato registrato e preso come indice inversamente proporzionale alla capacità di apprendimento spaziale. Un tempo di latenza lungo tra l’immersione e il raggiungimento della piattaforma era interpretato come mancata memorizzazione del percorso eseguito nelle prove precedenti.
Risultati
Quantificazione tramite microdialisi della formazione tessutale di radicali liberi
La formazione di ROS è stata valutata in topi consci e liberi di muoversi trattati con MDMA, attraverso la determinazione dei livelli di acido 2,3-DHBA, ottenuto dall’acido salicilico presente nel perfusato. Il trattamento con MDMA acuto ha indotto un immediato aumento di ROS nell’ippocampo (fig.1), ma non ha avuto lo stesso effetto nello striato o nella corteccia cerebrale.
Il trattamento con MDMA non causa morte neuronale ma determina gliosi reattiva nell’ippocampo
È stato valutato se il trattamento con MDMA potesse causare morte neuronale, attraverso un’analisi istologica eseguita mediante colorazione di Nissl e Fluoro Jade B (fig. 2) 7 giorni dopo il trattamento acuto con MDMA. Dai dati ottenuti non è stato evidenziato nessun segno di morte neuronale nella finestra temporale esaminata. Non è stata osservata, mediante TUNEL, frammentazione del DNA nell’ippocampo degli animali trattati. Nonostante la mancanza di morte neuronale, abbiamo trovato una consistente gliosi reattiva nell’ippocampo di topi trattati con MDMA che molti autori associano a danno cellulare. La gliosi reattiva nell’ippocampo era transitoria in risposta ad un trattamento acuto con MDMA e permaneva fino a 90 giorni dopo un trattamento cronico (fig. 3-4).
Il trattamento con MDMA causa iperfosforilazione della proteina tau ippocampale
È stata effettuata l'analisi semi-quantitativa della tau fosforilata attraverso immunoblotting usando sia un anticorpo policlonale che riconosce la proteina tau fosforilata in Ser404 (P-tau) che un anticorpo monoclonale PHF-1 che riconosce la proteina tau fosforilata in Ser396 e Ser404 (PHF-tau). Un trattamento acuto con MDMA induce un aumento transitorio sia dei livelli di PHF-tau che di P-tau nell’ippocampo, visualizzabile dopo un giorno per tornare a livelli normali dopo tre giorni (fig. 5). Un trattamento prolungato con MDMA ha indotto l’incremento sia dei livelli di PHF-tau che di P-tau ippocampale, visualizzabile fino a sette giorni dopo l'ultimo trattamento ma non più visualizzabile a 45 e 90 giorni dopo (fig. 6). Un incremento nei livelli di tau è visualizzabile sette giorni dopo un trattamento cronico a bassa dose di MDMA (10 mg/kg/die). L'analisi immunoistochimica di espressione ippocampale di P-tau e di PHF-tau (fig. 7-8) ha confermato il profilo temporale di induzione della fosforilazione della proteina tau. Lo studio condotto su base morfologica ha consentito, inoltre, di osservare che l'aumento nella fosforilazione di tau indotta dall’MDMA è regionalizzato in maniera specifica nello strato radiato della regione CA2 e nello strato lucido e radiato della regione CA3. Il profilo temporale di incremento di P-tau e PHF-tau visualizzato in immunoistochimica è stato confermato dall’immunoblotting.
Caratterizzazione delle vie coinvolte nella fosforilazione della tau indotta dall’MDMA
Come anticipato nell’introduzione la glicogeno sintetasi chinasi 3 beta (GSK-3 beta) e Cdk5 sono due dei maggiori enzimi coinvolti nella fosforilazione della proteina tau (Yamaguchi et al., 1996; Pei et al., 1997; 1998; 1999). L’attività della GSK-3 beta è negativamente regolata dalla via canonica di Wnt, che a sua volta è inibita dalla glicoproteina secreta Dkk-1. L’espressione di Dkk-1 è stata messa in evidenza in cervelli autoptici di pazienti affetti da Alzheimer, ed è stata messa in relazione con la fosforilazione della tau in colture neuronali trattate con il peptide ?-amiloide (Caricasole et al., 2004).
Il trattamento acuto ha condotto ad un incremento dell’espressione di Dkk-1 nell’ippocampo ad 1 e 3 giorni dopo una somministrazione acuta, in maniera simile si è potuta mettere in evidenza la fosforilazione della tau. Un maggior incremento è stato riscontrato dopo un trattamento cronico con MDMA, da un giorno fino a sette giorni dopo l’MDMA (fig. 9).
É stata anche esaminata l’espressione, mediante immunoblotting, di Cdk5 e dei suoi partner proteici p35, e il prodotto della degradazione di p35, p25 (Hisanaga e Saito, 2003). L’espressione di queste proteine nell’ippocampo aumenta progressivamente a partire da un giorno dopo un trattamento acuto.
Questo incremento si riduce a sette giorni ma comunque è sempre presente (fig. 10-11). Negli animali trattati cronicamente l’incremento è visibile da sette giorni dopo l’ultima iniezione di MDMA.
Per esaminare la relazione causale tra l’inibizione della via di Wnt da parte di Dkk-1, la attivazione della Cdk5 e la fosforilazione della tau sono state utilizzate diverse strategie sperimentali. Per primo sono stati utilizzati i topi doubleridge, che sono mutanti inserzionali mancanti di un enhancer trascrizionale del gene di Dkk-1 (Adamska et al. 2003; MacDonald et al., 2004). Questi animali mostrano una espressione costitutiva di Dkk-1 normale, ma l’espressione è ridotta in seguito al trattamento con MDMA se messi a confronto con i relativi topi di controllo (C3H) (fig. 12-13). L’induzione di P-tau e PHF-tau è ancora presente nell’ippocampo dei topi doubleridge anche se di entità minore (fig. 12-13).
È stato effettuato anche il trattamento con l’inibitore di Cdk5, roscovitina, con o senza trattamento concomitante con litio cloruro (che ripristina la via di Wnt agendo a valle del blocco di Dkk-1). Il trattamento con roscovitina ha ridotto l’incremento di P-tau e PHF-tau indotto dall’MDMA in maniera più efficiente del litio. Il trattamento combinato ha abolito completamente l’incremento di tau fosforilata nell’ippocampo dei topi trattati con MDMA (fig. 14 A-B).
Tutti questi dati indicano che l’incremento della fosforilazione di tau indotto dall’MDMA è mediato dall’attivazione di Cdk5 combinata con l’inibizione della via canonica di Wnt.
Alterazione della capacità di apprendimento spaziale nei topi trattati con MDMA
È stata valutata la capacità di apprendimento spaziale in topi trattati con MDMA cronicamente per sei giorni (10 mg/kg o 30 mg/kg). La valutazione è stata condotta sette e trenta giorni dopo l’ultima somministrazione. Il risultato di tale analisi ha evidenziato che i topi trattati con MDMA presentano una significativa alterazione nell’apprendimento, già dal secondo e terzo giorno di sessione di allenamento nel test del Morris water maze.
Conclusioni
In questo studio è stato dimostrato che il trattamento con MDMA incrementa la fosforilazione della proteina tau, un marker biochimico della patologia di Alzheimer, della demenza fronto-temporale, e di altre malattie neurodegenerative caratterizzate da un progressivo declino cognitivo (Grundke-Iqbal et al., 1986; Iqbal et al., 1989; Lee et al., 1991).
Questo dato porta a ipotizzare che la neurotossicità indotta dall’ abuso di MDMA possa riprodurre le alterazioni neuropatologiche tipiche delle demenze degenerative. Rimangono alcuni quesiti importanti da chiarire: 1) Se l’iperfosforilazione della tau sia anche in relazione con un’azione primaria dell’MDMA sui terminali assonici dei neuroni dopaminergici e serotonergici; 2) Quanto sia permanente, ed eventualmente irreversibile, l’iperfosforilazione della tau in relazione alla dose, alla frequenza ed al tempo di somministrazione dell’MDMA.
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