Tesi etd-06052014-095104 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
TOSI, MARTINA
URN
etd-06052014-095104
Titolo
Eutanasia e scelte di fine vita nel diritto penale.
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Dott.ssa Venafro, Emma
Parole chiave
- Englaro
- Eutanasia
- Welby
Data inizio appello
07/07/2014
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il tema dell’eutanasia è ampiamente dibattuto a livello giuridico, ma coinvolge molti più settori come quello medico, teologico e filosofico; inoltre è diventato sempre più spesso argomento di discussione per l’opinione pubblica.
Lo stesso termine “eutanasia” non assume mai un significato unitario ma riconduce, in generale, ad un molteplice insieme di fenomeni appartenenti alla vita reale.
Etimologicamente “eutanasia” significa “dolce morte” (dal greco εὐθανασία, composta da εὔ-, bene e θάνατος, morte) e, nel linguaggio comune, spesso anche impropriamente, è utilizzata per riferirsi al caso in cui un soggetto terzo pone fine alla vita di un altro soggetto in maniera indolore.
In realtà questa è una accezione del termine che, però, lascia fuori una moltitudine di casi che, invece, devono essere ricompresi sotto la definizione stessa di eutanasia.
Per avere un quadro giuridico più chiaro e coerente, è bene precisare che i suddetti casi, diversi tra loro per finalità, modalità o moventi, sono riconducibili a due macro-raggruppamenti di fenomeni eutanasici:
l’eutanasia collettivistica (posta in essere per un fine di utilità pubblico- collettiva);
l’eutanasia individualistica o cosiddetta “pietosa” (posta in essere per un sentimento di pietà verso lo stato della vittima).
Il dibattito sull’eutanasia, sicuramente, non è limitato al nostro secolo ed è, infatti, proprio la storia che mostra come il fenomeno di eutanasia collettiva sia in realtà molto variegato.
Ovviamente anche l’eutanasia individualistica è connotata da diverse tipologie della stessa (pura, passiva, attiva) che verrano esaminate dettagliatamente.
Lo scopo di questo lavoro è infatti quello di cercare di delineare al meglio la situazione attuale in merito a questo tema prendendo, però, le mosse da una analisi generale sia a livello storico, per capire come cambi nel tempo il concetto dell’originario significato etimologico della parola “eutanasia”, sia a livello religioso, in quanto le diverse confessioni influiscono e spesso si collocano addirittura come base ideologica delle conseguentemente diverse discipline giuridiche formatesi nelle nazioni.
Proprio per la differenza con cui ogni stato affronta il tema, sarà fatto cenno al diritto comparato; in particolar modo riferendoci a quei sistemi giuridici che da tempo hanno una legislazione avanguardistica in materia come l’Olanda e la Svizzera.
Come si è visto poco sopra sarà oggetto di approfondimento quella che è la forma più comune di eutanasia ovvero l’eutanasia individualistica pietosa, da quella indiretta a quella attiva e passiva per poi poter passare ad esaminare, alcuni casi giurisprudenziali particolarmente complessi.
Infatti, in un clima culturale, in cui è giusto e doveroso cercare di dare a tutti le migliori cure a disposizione, può capitare che, grazie agli enormi progressi e risultati raggiunti dalle scienze mediche, si salvino delle vite rendendole, però, allo stesso tempo, dipendenti da apparecchiature artificiali.
L’utilizzo di dispositivi salvavita o di altri trattamenti clinici invasivi, ha portato ad interrogarsi sulla loro liceità e soprattutto sulla loro disponibilità:
attivarli, sospenderli o interromperli; interrompendo così, con essi, anche la propria vita.
Si sta parlando di casi limite, casi in cui la linea di demarcazione, fra il legittimo esercizio del diritto a rifiutare un trattamento sanitario (art. 32,co.2 COST.) e la condotta penale di soppressione della vita altrui, è lieve.
Ed è proprio in queste circostanze che si annida uno dei problemi cardine di questa tematica : il consenso, una manifestazione diretta e attuale della volontà del soggetto.
Come esempi paradigmatici di eutanasia analizzeremo il caso di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro, casi giurisprudenziali che in Italia hanno suscitato un importante dibattito culturale intorno ad essi ed hanno imposto al diritto penale di dover dare soluzioni convincenti su temi così delicati.
Nel caso Welby era lo stesso paziente, pienamente cosciente e capace, a richiedere la disconnessione dal ventilaltore, nel caso Englaro, la volontà, secondo la Cassazione, doveva essere ricostruita sulla base di elementi probatori “chiari, univoci e convincenti ”.
L’accertamento del consenso, anche nel caso in cui non vi siano dubbi, non è, però, sufficiente a escludere l’illiceità penale della sospensione del trattamento salvavita; anzi l’efficacia della scriminante del consenso dell’avente diritto, è esclusa nel caso in cui riguardi beni indisponibili (art. 50 c.p.).
Tuttavia, la giurisprudenza si sta muovendo verso un più ampio riconoscimento dell’autodeterminazione in ambito sanitario, con particolare rilievo per il diritto, costituzionalmente tutelato, al rifiuto di trattamenti sanitari anche salvavita.
Ma il confine fra il lecito e l’illecito rimane sempre molto labile.
Inoltre, se è vero che, queste situazioni di dubbio, creano molte problematiche a livello etico-morale, è oltremodo vero che irrompono negli schemi rigidi del diritto e proprio a questo chiedono una risposta.
Alla giurisprudenza è, dunque, stato lasciato l’arduo compito di destreggiarsi e trovare un punto di equilibrio fra le regole della deontologia medica, l’autodeterminazione del paziente e le norme di diritto.
Un ultimo esame sarà incentrato sull’attuale situazione del diritto penale in materia di eutanasia e trattamenti di fine vita, con particolare attenzione sia alla normativa vigente sia alle proposte elaborate de iure condendo.
In conclusione, si vuole dimostrare come una legge ad hoc che disciplini la materia a livello sostanziale e processuale, oltre a colmare il vuoto normativo, ricondurrebbe il Giudice Penale al ruolo di sussidiarietà che il nostro ordinamento costituzionale ha da sempre previsto per lui e cioè quello di presidiare ad un’eventuale situazione patologica senza più essere costretto ad elevarsi a “giudice e dei giudici” per dirimere il conflitto costituzionale sorto fra il diritto alla vita ed il diritto all’autodeterminazione dell'individuo.
Lo stesso termine “eutanasia” non assume mai un significato unitario ma riconduce, in generale, ad un molteplice insieme di fenomeni appartenenti alla vita reale.
Etimologicamente “eutanasia” significa “dolce morte” (dal greco εὐθανασία, composta da εὔ-, bene e θάνατος, morte) e, nel linguaggio comune, spesso anche impropriamente, è utilizzata per riferirsi al caso in cui un soggetto terzo pone fine alla vita di un altro soggetto in maniera indolore.
In realtà questa è una accezione del termine che, però, lascia fuori una moltitudine di casi che, invece, devono essere ricompresi sotto la definizione stessa di eutanasia.
Per avere un quadro giuridico più chiaro e coerente, è bene precisare che i suddetti casi, diversi tra loro per finalità, modalità o moventi, sono riconducibili a due macro-raggruppamenti di fenomeni eutanasici:
l’eutanasia collettivistica (posta in essere per un fine di utilità pubblico- collettiva);
l’eutanasia individualistica o cosiddetta “pietosa” (posta in essere per un sentimento di pietà verso lo stato della vittima).
Il dibattito sull’eutanasia, sicuramente, non è limitato al nostro secolo ed è, infatti, proprio la storia che mostra come il fenomeno di eutanasia collettiva sia in realtà molto variegato.
Ovviamente anche l’eutanasia individualistica è connotata da diverse tipologie della stessa (pura, passiva, attiva) che verrano esaminate dettagliatamente.
Lo scopo di questo lavoro è infatti quello di cercare di delineare al meglio la situazione attuale in merito a questo tema prendendo, però, le mosse da una analisi generale sia a livello storico, per capire come cambi nel tempo il concetto dell’originario significato etimologico della parola “eutanasia”, sia a livello religioso, in quanto le diverse confessioni influiscono e spesso si collocano addirittura come base ideologica delle conseguentemente diverse discipline giuridiche formatesi nelle nazioni.
Proprio per la differenza con cui ogni stato affronta il tema, sarà fatto cenno al diritto comparato; in particolar modo riferendoci a quei sistemi giuridici che da tempo hanno una legislazione avanguardistica in materia come l’Olanda e la Svizzera.
Come si è visto poco sopra sarà oggetto di approfondimento quella che è la forma più comune di eutanasia ovvero l’eutanasia individualistica pietosa, da quella indiretta a quella attiva e passiva per poi poter passare ad esaminare, alcuni casi giurisprudenziali particolarmente complessi.
Infatti, in un clima culturale, in cui è giusto e doveroso cercare di dare a tutti le migliori cure a disposizione, può capitare che, grazie agli enormi progressi e risultati raggiunti dalle scienze mediche, si salvino delle vite rendendole, però, allo stesso tempo, dipendenti da apparecchiature artificiali.
L’utilizzo di dispositivi salvavita o di altri trattamenti clinici invasivi, ha portato ad interrogarsi sulla loro liceità e soprattutto sulla loro disponibilità:
attivarli, sospenderli o interromperli; interrompendo così, con essi, anche la propria vita.
Si sta parlando di casi limite, casi in cui la linea di demarcazione, fra il legittimo esercizio del diritto a rifiutare un trattamento sanitario (art. 32,co.2 COST.) e la condotta penale di soppressione della vita altrui, è lieve.
Ed è proprio in queste circostanze che si annida uno dei problemi cardine di questa tematica : il consenso, una manifestazione diretta e attuale della volontà del soggetto.
Come esempi paradigmatici di eutanasia analizzeremo il caso di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro, casi giurisprudenziali che in Italia hanno suscitato un importante dibattito culturale intorno ad essi ed hanno imposto al diritto penale di dover dare soluzioni convincenti su temi così delicati.
Nel caso Welby era lo stesso paziente, pienamente cosciente e capace, a richiedere la disconnessione dal ventilaltore, nel caso Englaro, la volontà, secondo la Cassazione, doveva essere ricostruita sulla base di elementi probatori “chiari, univoci e convincenti ”.
L’accertamento del consenso, anche nel caso in cui non vi siano dubbi, non è, però, sufficiente a escludere l’illiceità penale della sospensione del trattamento salvavita; anzi l’efficacia della scriminante del consenso dell’avente diritto, è esclusa nel caso in cui riguardi beni indisponibili (art. 50 c.p.).
Tuttavia, la giurisprudenza si sta muovendo verso un più ampio riconoscimento dell’autodeterminazione in ambito sanitario, con particolare rilievo per il diritto, costituzionalmente tutelato, al rifiuto di trattamenti sanitari anche salvavita.
Ma il confine fra il lecito e l’illecito rimane sempre molto labile.
Inoltre, se è vero che, queste situazioni di dubbio, creano molte problematiche a livello etico-morale, è oltremodo vero che irrompono negli schemi rigidi del diritto e proprio a questo chiedono una risposta.
Alla giurisprudenza è, dunque, stato lasciato l’arduo compito di destreggiarsi e trovare un punto di equilibrio fra le regole della deontologia medica, l’autodeterminazione del paziente e le norme di diritto.
Un ultimo esame sarà incentrato sull’attuale situazione del diritto penale in materia di eutanasia e trattamenti di fine vita, con particolare attenzione sia alla normativa vigente sia alle proposte elaborate de iure condendo.
In conclusione, si vuole dimostrare come una legge ad hoc che disciplini la materia a livello sostanziale e processuale, oltre a colmare il vuoto normativo, ricondurrebbe il Giudice Penale al ruolo di sussidiarietà che il nostro ordinamento costituzionale ha da sempre previsto per lui e cioè quello di presidiare ad un’eventuale situazione patologica senza più essere costretto ad elevarsi a “giudice e dei giudici” per dirimere il conflitto costituzionale sorto fra il diritto alla vita ed il diritto all’autodeterminazione dell'individuo.
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