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• Konstantin Lopušanskij

Quanto ha senso, oggi, utilizzare un termine come cinema poetico? E, ancor di più, quanto ha senso circoscrivere geograficamente l’analisi di questo stile alla sola Russia? Questo studio è nato dalla necessità di conoscere le forme della poesia (al cinema) a seguito di un innesco generato dalla visione di alcuni film. Tutto nasce da Tarkovskij, da Lo specchio, e prosegue per le vie del cinema di Konstantin Lopušanskij, Aleksandr Sokurov e Aleksej German Jr., non necessariamente in quest’ordine. E c’è un sentimento che rimbalza tra i film di questi autori, nasce da uno e finisce nell’altro, si espande, si spalma, si frammenta, parla contemporaneamente con Dostoevskij e con Čechov, con Puškin e Dovženko. Alla lunga diventa in un certo senso familiare – da qui la curiosità di indagarne la natura. È stato fondamentale cercare di dare una definizione di uno specifico "cinema poetico russo", uno che non è stato finora oggetto di analisi approfondite e metodiche e che ha in Tarkovskij il suo nucleo. C’è poi qualcosa che avviene al tavolo di montaggio di questo autore di cui non v’è menzione nella vasta produzione critica dedicata al suo cinema: un particolare procedimento di montaggio che genera un effetto unico e assente nel cinema pre-1975. Ho individuato e isolato quella che, in termini sfacciatamente scientifici, ho chiamato "giunta tarkovskiana", una peculiare soluzione tecnica che si fonda sul concetto della "pressione del tempo all’interno dell’inquadratura".