Tesi etd-06012016-133149 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
CORBANI, VIRGINIA
URN
etd-06012016-133149
Titolo
minori e pena perpetua (uno sguardo alla più recente giurisprudenza della Corte Suprema Americana)
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Bresciani, Luca
Parole chiave
- assemblea costituente
- constituent assembly
- education
- educazione
- ergastolo
- life sentence
- minori
- minors
- pena
- punishment
- reeducation
- rieducazione
Data inizio appello
20/06/2016
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il presente lavoro si propone di effettuare un'analisi in parte temporale, ma
soprattutto territoriale, del concetto rieducativo della pena. L'intento è quello di
dimostrare come, se pur con tempistiche e modalità differenti, la funzione della
rieducazione si stia facendo spazio tra i diversi ideali punitivi. La questione viene
affrontata attraverso l'analisi di due tipologie diverse di condannati: i minori e gli
adulti. Partendo da una doverosa disamina del problema più generale della
funzionalità della pena e le sue radici storiche si arriva agli odierni orientamenti
giurisprudenziali in casi e territori differenti. Per arrivare al concetto di rieducazione
della pena il cammino non è certo semplice e immediato.
Il percorso storico di questo pensiero lo dimostra: passando da orientamenti retributivi
e general-preventivi, si giunge solo col tempo ad accogliere, in maniera più o meno
convinta, la funzione di rieducazione. Un esempio che rende chiaramente la difficoltà
dell'approdare alla rieducazione è quello dei lavori preparatori dell'Assemblea
Costituente per raggiungere l'attuale formulazione dell'articolo 27 comma 3;
nonostante la divergenza delle opinioni dei padri costituenti, tutto sommato,
quantomeno a livello teorico-costituzionale, si raggiunge un enunciato dal quale
traspare un chiaro intento rieducativo della pena. Lo stesso risultato, a distanza di
qualche anno da questo trionfo costituzionale in Italia, non sarà ottenuto nel territorio
statunitense: uno studio condotto dal sociologo Robert Martinson negli anni sessanta
dimostrerà, infatti, che i programmi rieducativi applicati a giovani detenuti in diversi
carceri o istituti, non porteranno alcun risultato significativamente positivo, a tal
punto da instillare nella coscienza collettiva l'importanza della funzione rieducativa.
Dalle conclusioni degli studi di Martinson si approda direttamente all'odierna Corte
Suprema degli Stati Uniti. L'ambito preso in analisi è quello dei minori: attraverso tre
sentenze, dal 2005 al 2012, si può appurare come il contemplare un ideale rieducativo
non sia un orientamento condiviso. Nei tre casi di specie, infatti, attraverso i pareri dei
giudici di maggioranza, ma soprattutto grazie a quelli dissenzienti, emerge una
mentalità in cui la volontà di punire chi ha pagato sia stata, fino a quel momento,
nettamente più importante di un tentativo di rieducazione. Fortunatamente, però, con
queste tre pronunce, almeno in materia di minori, sembra esserci una graduale
inversione di marcia, verso la consapevolezza che privare un giovane di una seconda
chance, attraverso una condanna a morte o ergastolo perenne, sia contrario al divieto
di infliggere pene crudeli e inconsuete sancito dall'VIII emendamento costituzionale.
Prosegue l'analisi tornando sul territorio italiano, dove, invece, la Corte Costituzionale
nel 1968 vieta l'ergastolo ai minori, salvaguardandoli da tale punizione in nome della
loro educazione, sancita dal 31 della Costituzione. Ma se i minori possono dirsi “salvi”,
non si può dire altrettanto degli adulti. Certamente, come affrontato in apertura nei
lavori dell'assemblea costituente, le pene tendono alla rieducazione, eppure
l'ordinamento penale contempla un istituto che mette in dubbio il dettato
costituzionale e da anni divide giurisprudenza e dottrina sulla sua legittimità:
l'ergastolo ostativo. Il cammino tra pena e rieducazione si chiude con uno sguardo
all'Europa, dove la Corte di Strasburgo evidenzia come sia possibile parlare di
ergastolo, senza cadere nell'incompatibilità con l'art.3 Cedu, soltanto qualora
l'ordinamento interno preveda un meccanismo - giurisdizionale o amministrativo - di
revisione della pena, nel nome di un percorso rieducativo del detenuto.
soprattutto territoriale, del concetto rieducativo della pena. L'intento è quello di
dimostrare come, se pur con tempistiche e modalità differenti, la funzione della
rieducazione si stia facendo spazio tra i diversi ideali punitivi. La questione viene
affrontata attraverso l'analisi di due tipologie diverse di condannati: i minori e gli
adulti. Partendo da una doverosa disamina del problema più generale della
funzionalità della pena e le sue radici storiche si arriva agli odierni orientamenti
giurisprudenziali in casi e territori differenti. Per arrivare al concetto di rieducazione
della pena il cammino non è certo semplice e immediato.
Il percorso storico di questo pensiero lo dimostra: passando da orientamenti retributivi
e general-preventivi, si giunge solo col tempo ad accogliere, in maniera più o meno
convinta, la funzione di rieducazione. Un esempio che rende chiaramente la difficoltà
dell'approdare alla rieducazione è quello dei lavori preparatori dell'Assemblea
Costituente per raggiungere l'attuale formulazione dell'articolo 27 comma 3;
nonostante la divergenza delle opinioni dei padri costituenti, tutto sommato,
quantomeno a livello teorico-costituzionale, si raggiunge un enunciato dal quale
traspare un chiaro intento rieducativo della pena. Lo stesso risultato, a distanza di
qualche anno da questo trionfo costituzionale in Italia, non sarà ottenuto nel territorio
statunitense: uno studio condotto dal sociologo Robert Martinson negli anni sessanta
dimostrerà, infatti, che i programmi rieducativi applicati a giovani detenuti in diversi
carceri o istituti, non porteranno alcun risultato significativamente positivo, a tal
punto da instillare nella coscienza collettiva l'importanza della funzione rieducativa.
Dalle conclusioni degli studi di Martinson si approda direttamente all'odierna Corte
Suprema degli Stati Uniti. L'ambito preso in analisi è quello dei minori: attraverso tre
sentenze, dal 2005 al 2012, si può appurare come il contemplare un ideale rieducativo
non sia un orientamento condiviso. Nei tre casi di specie, infatti, attraverso i pareri dei
giudici di maggioranza, ma soprattutto grazie a quelli dissenzienti, emerge una
mentalità in cui la volontà di punire chi ha pagato sia stata, fino a quel momento,
nettamente più importante di un tentativo di rieducazione. Fortunatamente, però, con
queste tre pronunce, almeno in materia di minori, sembra esserci una graduale
inversione di marcia, verso la consapevolezza che privare un giovane di una seconda
chance, attraverso una condanna a morte o ergastolo perenne, sia contrario al divieto
di infliggere pene crudeli e inconsuete sancito dall'VIII emendamento costituzionale.
Prosegue l'analisi tornando sul territorio italiano, dove, invece, la Corte Costituzionale
nel 1968 vieta l'ergastolo ai minori, salvaguardandoli da tale punizione in nome della
loro educazione, sancita dal 31 della Costituzione. Ma se i minori possono dirsi “salvi”,
non si può dire altrettanto degli adulti. Certamente, come affrontato in apertura nei
lavori dell'assemblea costituente, le pene tendono alla rieducazione, eppure
l'ordinamento penale contempla un istituto che mette in dubbio il dettato
costituzionale e da anni divide giurisprudenza e dottrina sulla sua legittimità:
l'ergastolo ostativo. Il cammino tra pena e rieducazione si chiude con uno sguardo
all'Europa, dove la Corte di Strasburgo evidenzia come sia possibile parlare di
ergastolo, senza cadere nell'incompatibilità con l'art.3 Cedu, soltanto qualora
l'ordinamento interno preveda un meccanismo - giurisdizionale o amministrativo - di
revisione della pena, nel nome di un percorso rieducativo del detenuto.
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