Tesi etd-06012015-131112 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
FAZIO, MANUELA
URN
etd-06012015-131112
Titolo
Il procedimento per decreto penale: evoluzione sistematica ed ampliamento operativo.
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Bonini, Valentina
correlatore Prof. Bresciani, Luca
correlatore Prof. Bresciani, Luca
Parole chiave
- condanna per decreto
- decreto penale di condanna
- procedimenti speciali
- rito monitorio
Data inizio appello
19/06/2015
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il concetto di <<procedimento speciale>> , a mente del titolo del libro VI del codice di procedura penale, va relazionato alla dinamica processuale e si definisce in base alle differenze che questo presenta rispetto al procedimento ordinario di primo grado. Posto che quest'ultimo si snoda lungo una linea composta da tre segmenti principali rappresentati da indagini preliminari, udienza preliminare e giudizio, il procedimento speciale si caratterizza per la mancanza di almeno uno di quei tre segmenti. I procedimenti speciali previsti dal libro VI del codice del 1988 sono costituiti dal giudizio abbreviato, l'applicazione della pena su richiesta delle parti, il giudizio direttissimo, il giudizio immediato ed il procedimento per decreto.
Dei procedimenti speciali sono proposte diverse classificazioni che, raggruppando i vari riti sulla base di determinate caratteristiche, rivelano punti in comune e distanze tra gli stessi.
Una prima classificazione identifica la specialità dei procedimenti in base al segmento processuale che è possibile evitare mediante il loro utilizzo. Consentono di evitare il dibattimento il giudizio abbreviato e l'applicazione della pena su richiesta delle parti; consentono di evitare l'udienza preliminare il giudizio direttissimo ed il giudizio immediato; il procedimento per decreto consente invece di evitare sia l'udienza preliminare che il dibattimento.
Altra classificazione discerne i riti speciali in ragione della tradizione processuale a cui appartengono, assegnando così alla tradizione accusatoria il giudizio abbreviato, l'applicazione della pena su richiesta delle parti ed il giudizio immediato richiesto dall'imputato; alla tradizione inquisitoria il procedimento per decreto; alla tradizione del processo misto il giudizio direttissimo ed il giudizio immediato richiesto dal pubblico ministero.
Ulteriore metodo classificatorio è quello che fa perno sui requisiti soggettivi od oggettivi su cui i procedimenti speciali si fondano. Secondo tale impostazione, viene delineato un primo gruppo di riti che poggiano su una scelta volontaria di una o di entrambe le parti, e cioè il giudizio abbreviato (art. 438 c.p.p.) e l'applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444 c.p.p).
Questi riti sono espressione di una giustizia consensuale, ispirata ad una visione pragmatica del processo che riconosce una certa signoria delle parti su alcune situazioni processuali, in particolare sul modo di formare la prova e su questioni attinenti la qualificazione giuridica del fatto e la quantificazione della pena. Un secondo gruppo è enucleato sulla base di requisiti di carattere oggettivo (come la esiguità del reato o l'evidenza della prova), autoritativamente affermati dal pubblico ministero. Appartengono a questo gruppo il giudizio direttissimo (art. 449 c.p.p.) ed il giudizio immediato (art. 453 c.p.p.). I riti che fanno parte di questo gruppo sono espressione di una concezione autoritativa della giurisdizione, la semplificazione processuale attuata tramite il loro utilizzo si giustifica in base a definiti presupposti processuali, la cui sussistenza viene in prima battuta asserita dal pubblico ministero per poi essere vagliata e confermata dal giudice.
Vi è poi un terzo gruppo, che può definirsi misto per la compresenza di requisiti appartenenti al primo ed al secondo. Ne fanno parte il procedimento per decreto e il giudizio direttissimo esperibile con il consenso delle parti (art. 449 comma 2° c.p.p.), in quanto la scelta del rito è rimessa inizialmente al pubblico ministero, combinandosi questa con il consenso dell'imputato o con l'accordo di entrambi.
Dalle classificazioni proposte, il procedimento per decreto emerge per le sue caratteristiche specifiche, che lo rendono unico nel panorama dei riti speciali.
Improntato al criterio di massima speditezza, mancante di udienza preliminare e dibattimento, è il più distante dal rito accusatorio nonché l'unico accertamento <<sommario>> previsto dal sistema. Vi si giunge a seguito delle indagini preliminari, e quindi con elementi raccolti pressoché esclusivamente da una delle parti, il pubblico ministero. Per di più il giudice a cui il pubblico ministero richiede l'emissione del decreto è tenuto ad una rapida delibazione ai fini del proscioglimento, a norma dell'art. 129 c.p.p., rimanendo preclusa la possibilità di far riferimento a formule assolutorie come quelle di cui all'art. 530 comma 2° c.p.p.
Le esigenze di economia processuale e la celerità richiesta nell'adozione del rito sottendono un ricorso alla procedura monitoria solo per ipotesi di reato che non necessitano di particolari attenzioni investigative, caratterizzando rito in esame per una estrema compressione della fase delle indagini preliminari.
L'aspetto più caratteristico del procedimento per decreto, e che più suscita l'interesse di dottrina e giurisprudenza, rimane comunque l'assenza di contraddittorio processuale. È proprio la struttura del processo, come actus trium personarum, che risulta demolita. L'imputato viene condannato in esito ad un rapporto esclusivo tra la parte pubblica e il giudice, in un contesto in cui non ha modo di interloquire alla pari: non è necessario che sia a conoscenza della richiesta del pubblico ministero e quindi che vi è un procedimento a suo carico; non può apportare contributi ai fini della decisione e dimostrare, avvalendosi delle proprie prove e contestando le prove altrui, che la mancanza, insufficienza e la contraddittorietà della prova possono essere superate in suo favore. Pertanto, la prova non si forma affatto nel contraddittorio tra le parti ed è arduo ricondurre l'anomalia al concetto di <<consenso>> previsto dall'art. 111 Cost. comma 5°, dal momento che questo è successivo all'utilizzazione della prova ai fini decisori. Appare più opportuno, ai fini di inquadramento della natura giuridica del comportamento non oppositivo dell'imputato, parlare di <<acquiescenza>>.
Anche le fasi successive l'emissione del decreto penale risultano peculiari: il provvedimento di condanna costituisce una sorta di <<manifestazione del giudice a carattere preparatorio>>, ovvero una <<decisione di condanna sottoposta a condizione risolutiva>>, suscettibile di essere posta nel nulla con la revoca, nel momento in cui il condannato decida di non prestarvi acquiescenza presentando opposizione. L'opposizione validamente presentata non solo impedisce al decreto penale di produrre effetti, ma impone l'instaurazione di un giudizio di primo grado nelle forme ordinarie. Quest'ultimo profilo la differenzia dagli ordinari mezzi di impugnazione, connotando il procedimento per decreto come un processo a contraddittorio <<eventuale>> o <<differito>>, e fungendo da cardine ai fini della sua conservazione anche nel nuovo assetto costituzionale designato dall'art. 111 Cost. Il contraddittorio che si viene a realizzare con l'instaurazione del giudizio a seguito di opposizione, sarà però un contraddittorio esclusivamente postumo: anche con l'esperimento del rimedio dell'opposizione, una fase processuale non è comunque più recuperabile. L'azione penale è ormai stata esercitata senza alcuna partecipazione dell'imputato e senza che questi abbia potuto introdurre elementi utili che avrebbero portato per esempio ad un'archiviazione, evitando la celebrazione di un processo magari inopportuno.
Tuttavia, a fronte di tali problematiche, non è impensabile che, attraverso interventi miranti a riequilibrare il deficit di garanzie che fanno capo all'imputato, il procedimento per decreto possa recuperare una sistematica compatibilità con i principi del due process of law, avendo riguardo al bilanciamento dei poteri della pubblica accusa e recuperando forme anche minime di contraddittorio che possano essere ricomprese negli ambiti del <<consenso>>, garantendo uno spazio di intervento della difesa prima dell'emissione del decreto penale.
Dei procedimenti speciali sono proposte diverse classificazioni che, raggruppando i vari riti sulla base di determinate caratteristiche, rivelano punti in comune e distanze tra gli stessi.
Una prima classificazione identifica la specialità dei procedimenti in base al segmento processuale che è possibile evitare mediante il loro utilizzo. Consentono di evitare il dibattimento il giudizio abbreviato e l'applicazione della pena su richiesta delle parti; consentono di evitare l'udienza preliminare il giudizio direttissimo ed il giudizio immediato; il procedimento per decreto consente invece di evitare sia l'udienza preliminare che il dibattimento.
Altra classificazione discerne i riti speciali in ragione della tradizione processuale a cui appartengono, assegnando così alla tradizione accusatoria il giudizio abbreviato, l'applicazione della pena su richiesta delle parti ed il giudizio immediato richiesto dall'imputato; alla tradizione inquisitoria il procedimento per decreto; alla tradizione del processo misto il giudizio direttissimo ed il giudizio immediato richiesto dal pubblico ministero.
Ulteriore metodo classificatorio è quello che fa perno sui requisiti soggettivi od oggettivi su cui i procedimenti speciali si fondano. Secondo tale impostazione, viene delineato un primo gruppo di riti che poggiano su una scelta volontaria di una o di entrambe le parti, e cioè il giudizio abbreviato (art. 438 c.p.p.) e l'applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444 c.p.p).
Questi riti sono espressione di una giustizia consensuale, ispirata ad una visione pragmatica del processo che riconosce una certa signoria delle parti su alcune situazioni processuali, in particolare sul modo di formare la prova e su questioni attinenti la qualificazione giuridica del fatto e la quantificazione della pena. Un secondo gruppo è enucleato sulla base di requisiti di carattere oggettivo (come la esiguità del reato o l'evidenza della prova), autoritativamente affermati dal pubblico ministero. Appartengono a questo gruppo il giudizio direttissimo (art. 449 c.p.p.) ed il giudizio immediato (art. 453 c.p.p.). I riti che fanno parte di questo gruppo sono espressione di una concezione autoritativa della giurisdizione, la semplificazione processuale attuata tramite il loro utilizzo si giustifica in base a definiti presupposti processuali, la cui sussistenza viene in prima battuta asserita dal pubblico ministero per poi essere vagliata e confermata dal giudice.
Vi è poi un terzo gruppo, che può definirsi misto per la compresenza di requisiti appartenenti al primo ed al secondo. Ne fanno parte il procedimento per decreto e il giudizio direttissimo esperibile con il consenso delle parti (art. 449 comma 2° c.p.p.), in quanto la scelta del rito è rimessa inizialmente al pubblico ministero, combinandosi questa con il consenso dell'imputato o con l'accordo di entrambi.
Dalle classificazioni proposte, il procedimento per decreto emerge per le sue caratteristiche specifiche, che lo rendono unico nel panorama dei riti speciali.
Improntato al criterio di massima speditezza, mancante di udienza preliminare e dibattimento, è il più distante dal rito accusatorio nonché l'unico accertamento <<sommario>> previsto dal sistema. Vi si giunge a seguito delle indagini preliminari, e quindi con elementi raccolti pressoché esclusivamente da una delle parti, il pubblico ministero. Per di più il giudice a cui il pubblico ministero richiede l'emissione del decreto è tenuto ad una rapida delibazione ai fini del proscioglimento, a norma dell'art. 129 c.p.p., rimanendo preclusa la possibilità di far riferimento a formule assolutorie come quelle di cui all'art. 530 comma 2° c.p.p.
Le esigenze di economia processuale e la celerità richiesta nell'adozione del rito sottendono un ricorso alla procedura monitoria solo per ipotesi di reato che non necessitano di particolari attenzioni investigative, caratterizzando rito in esame per una estrema compressione della fase delle indagini preliminari.
L'aspetto più caratteristico del procedimento per decreto, e che più suscita l'interesse di dottrina e giurisprudenza, rimane comunque l'assenza di contraddittorio processuale. È proprio la struttura del processo, come actus trium personarum, che risulta demolita. L'imputato viene condannato in esito ad un rapporto esclusivo tra la parte pubblica e il giudice, in un contesto in cui non ha modo di interloquire alla pari: non è necessario che sia a conoscenza della richiesta del pubblico ministero e quindi che vi è un procedimento a suo carico; non può apportare contributi ai fini della decisione e dimostrare, avvalendosi delle proprie prove e contestando le prove altrui, che la mancanza, insufficienza e la contraddittorietà della prova possono essere superate in suo favore. Pertanto, la prova non si forma affatto nel contraddittorio tra le parti ed è arduo ricondurre l'anomalia al concetto di <<consenso>> previsto dall'art. 111 Cost. comma 5°, dal momento che questo è successivo all'utilizzazione della prova ai fini decisori. Appare più opportuno, ai fini di inquadramento della natura giuridica del comportamento non oppositivo dell'imputato, parlare di <<acquiescenza>>.
Anche le fasi successive l'emissione del decreto penale risultano peculiari: il provvedimento di condanna costituisce una sorta di <<manifestazione del giudice a carattere preparatorio>>, ovvero una <<decisione di condanna sottoposta a condizione risolutiva>>, suscettibile di essere posta nel nulla con la revoca, nel momento in cui il condannato decida di non prestarvi acquiescenza presentando opposizione. L'opposizione validamente presentata non solo impedisce al decreto penale di produrre effetti, ma impone l'instaurazione di un giudizio di primo grado nelle forme ordinarie. Quest'ultimo profilo la differenzia dagli ordinari mezzi di impugnazione, connotando il procedimento per decreto come un processo a contraddittorio <<eventuale>> o <<differito>>, e fungendo da cardine ai fini della sua conservazione anche nel nuovo assetto costituzionale designato dall'art. 111 Cost. Il contraddittorio che si viene a realizzare con l'instaurazione del giudizio a seguito di opposizione, sarà però un contraddittorio esclusivamente postumo: anche con l'esperimento del rimedio dell'opposizione, una fase processuale non è comunque più recuperabile. L'azione penale è ormai stata esercitata senza alcuna partecipazione dell'imputato e senza che questi abbia potuto introdurre elementi utili che avrebbero portato per esempio ad un'archiviazione, evitando la celebrazione di un processo magari inopportuno.
Tuttavia, a fronte di tali problematiche, non è impensabile che, attraverso interventi miranti a riequilibrare il deficit di garanzie che fanno capo all'imputato, il procedimento per decreto possa recuperare una sistematica compatibilità con i principi del due process of law, avendo riguardo al bilanciamento dei poteri della pubblica accusa e recuperando forme anche minime di contraddittorio che possano essere ricomprese negli ambiti del <<consenso>>, garantendo uno spazio di intervento della difesa prima dell'emissione del decreto penale.
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