Tesi etd-05312021-123116 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
PETRILLO, ADRIANO
URN
etd-05312021-123116
Titolo
Associazione della frequenza cardiaca office e del monitoraggio pressorio nelle 24 ore con i parametri di rimodellamento cardiovascolare nel paziente iperteso
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Taddei, Stefano
correlatore Prof. Masi, Stefano
correlatore Prof. Masi, Stefano
Parole chiave
- ipertensione arteriosa
Data inizio appello
15/06/2021
Consultabilità
Tesi non consultabile
Riassunto
L’ipertensione arteriosa rappresenta il principale fattore di rischio per malattie cardiovascolari, che attualmente sono la prima causa di morbidità e mortalità a livello mondiale.
Le Linee Guida ESC/ESH 2018 raccomandano, nei pazienti ipertesi, la valutazione del rischio cardiovascolare globale, dato il noto clustering degli stessi, che determina spesso la concomitanza dell’ipertensione con altri fattori di rischio. Il sistema di valutazione del rischio cardiovascolare raccomandato dalle stesse linee guida è rappresentato dal sistema SCORE, cui dovrebbe essere sempre associata la valutazione del danno d’organo mediato dall’ipertensione (HMOD). Quest’ultimo, fornendo importanti informazioni circa il controllo a lungo termine dell’ipertensione arteriosa ed essendo fortemente associato alla prognosi del paziente iperteso consente la riclassificazione del rischio cardiovascolare, soprattutto in quei soggetti che in base allo SCORE presentano un rischio basso-intermedio.
Negli ultimi anni, oltre ai comuni fattori di rischio cardiovascolare inclusi nello SCORE, le linee guida suggeriscono la determinazione di altri importanti marcatori di rischio nei pazienti ipertesi, tra cui la frequenza cardiaca. Questo perché numerosi studi epidemiologici hanno documentato la capacità della frequenza cardiaca di agisre daindicatore di iperattivazione simpatica, caratteristica dei pazienti ipertesi ed associata ad un maggior rischio di progressione di malattia subclinica. Probabilmente per la capacità della frequenza cardiaca di riflettere lo stato di attivazione simpatica, numerosi studi hanno documentato un’associazione significativa tra aumento dei valori di frequenza cardiaca ed elevato rischio di mortalità cardiovascolare e da tutte le cause sia in nei pazienti con ipertensione che a livello di popolazione.
Rimane comunque poco chiaro quali dati di frequenza cardiaca siano più accurati nel predire il rischio cardiovascolare del paziente iperteso. Quelli registrati durante la visita ambulatoriale, infatti potrebbero essere influenzati dal noto fenomeno della reazione d’allarme che coinvolge anche la misurazione dei valori pressori. Il monitoraggio pressorio delle 24 ore (ABPM), invece, consente di attenuare la possibile influenza ella reazione d’allarme nei valori pressori e potrebbe quindi fornire anche informazioni più attendibili circa gli effettivi valori di frequenza cardiaca del paziente. Inoltre, essi forniscono importanti informazioni circa i valori di frequenza cardiaca diurni e notturni, consentendo quindi di verificare se, come atteso, nel corso della notte il paziente presenta la fisiologica riduzione della frequenza cardiaca che si accompagna alla fisiologica riduzione dei valori pressori. Per questi motivi, l’ABPM potrebbe fornire informazioni più attendibili dell’iperattività simpatica dell’individuo iperteso. Lo scopo di questa tesi è stato dunque quello di verificare se la misurazione della frequenza cardiaca durante ABPM possa fornire maggiori informazioni rispetto alla misurazione durante le visite ambulatoriali circa la severità dell’HMOD.
Secondo un disegno di studio retrospettivo osservazionale sono stati raccolti dati clinici, dei principali fattori di rischio cardiovascolare, della pressione e frequenza cardiaca misurate durante la visita ambulatoriale ed all’ABPM, oltre ad informazioni relative allo stato di danno d’organo subclinico mediato dall’ipertensione (ecocardiogramma, ecodoppler dei tronchi sopraortici) ed alla terapia di 147 pazienti ipertesi afferenti all’ambulatorio ipertensione della UO Medicina I dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana. Tramite associazioni semplici e multivariate è stato quindi valutato se i valori di frequenza cardiaca all’ABPM potessero fornire informazioni più attendibili circa la severità dell’HMOD rispetto ai valori registrati nel corso della visita ambulatoriale. Lo studio ha dimostrato, inaspettatamente, che pazienti con valori di frequenza cardiaca superiore presentavano minor massa cardiaca indicizzata per superficie corporea. Tale associazione è stata riscontrata sia con i valori di frequenza cardiaca ambulatoriale che quelli registrati all’ABPM, anche se questi ultimi sembravano presentare un’associazione più forte con i parametri di rimodellamento ventricolare rispetto ai primi. L’associazione della massa ventricolare sinistra indicizzata per superficie corporea con i valori di frequenza cardiaca risultava più forte rispetto a quella con i valori di pressione arteriosa sistolica e diastolica, sia quando venivano considerati i parametri ambulatoriali, che quando venivano utilizzati i parametri registrati all’ABPM. Infatti, la correzione per i valori di pressione arteriosa sistolica non alterava la significatività dell’associazione tra frequenza cardiaca e massa ventricolare.
Suddividendo la popolazione in base ai pazienti con e senza ipertrofia ventricolare sinistra, veniva riscontrata un’associazione negativa più forte tra frequenza e massa in soggetti con ipertrofia ventricolare sinistra. Inoltre, soggetti in terapia con beta-bloccanti presentavano una più forte associazione negativa tra frequenza e massa ventricolare sinistra rispetto a coloro che non assumevano beta-bloccanti. Dati analoghi erano ottenuti quando al posto della massa ventricolare veniva considerata la presenza di ateromasia carotidea. Infatti, soggetti con ateromasia carotidea presentavano valori più elevati di frequenza cardiaca rispetto a coloro che non avevano ateromasia. La terapia con beta-bloccanti non alterava la relazione inversa tra frequenza cardiaca e presenza di ateromasia carotidea.
I risultati del nostro studio dimostrano che la frequenza cardiaca potrebbe dare informazioni circa lo stato dell’HMOD addirittura superiore rispetto a quello ottenuto dai valori pressori nel paziente iperteso, anche se, inaspettatamente, secondo una relazione inversa rispetto a quella ipotizzata inizialmente. Infatti valori di frequenza cardiaca più elevati sembrano essere associati ad una minor severità di HMOD. Un aspetto importante è che questa associazione è stata confermata sia con i valori di frequenza cardiaca registrati durante la visita ambulatoriale che con quelli registrati all’ABPM, e non si limita solamente alla stima della massa ventricolare sinistra ma anche alla presenza di ateromasia carotidea. Queste associazioni risultano più evidenti nei soggetti con ipertrofia ventricolare sinistra e in coloro che assumevano terapia con beta-bloccanti.
Nonostante i risultati inattesi, lo studio conferma l’importanza dell’ABPM per una più accurata stratificazione del paziente iperteso e suggerisce l’importanza di valutare non solo i valori pressori ma anche quelli di frequenza cardiaca in ogni paziente iperteso sottoposto a monitoraggio pressorio nelle 24 ore.
Le Linee Guida ESC/ESH 2018 raccomandano, nei pazienti ipertesi, la valutazione del rischio cardiovascolare globale, dato il noto clustering degli stessi, che determina spesso la concomitanza dell’ipertensione con altri fattori di rischio. Il sistema di valutazione del rischio cardiovascolare raccomandato dalle stesse linee guida è rappresentato dal sistema SCORE, cui dovrebbe essere sempre associata la valutazione del danno d’organo mediato dall’ipertensione (HMOD). Quest’ultimo, fornendo importanti informazioni circa il controllo a lungo termine dell’ipertensione arteriosa ed essendo fortemente associato alla prognosi del paziente iperteso consente la riclassificazione del rischio cardiovascolare, soprattutto in quei soggetti che in base allo SCORE presentano un rischio basso-intermedio.
Negli ultimi anni, oltre ai comuni fattori di rischio cardiovascolare inclusi nello SCORE, le linee guida suggeriscono la determinazione di altri importanti marcatori di rischio nei pazienti ipertesi, tra cui la frequenza cardiaca. Questo perché numerosi studi epidemiologici hanno documentato la capacità della frequenza cardiaca di agisre daindicatore di iperattivazione simpatica, caratteristica dei pazienti ipertesi ed associata ad un maggior rischio di progressione di malattia subclinica. Probabilmente per la capacità della frequenza cardiaca di riflettere lo stato di attivazione simpatica, numerosi studi hanno documentato un’associazione significativa tra aumento dei valori di frequenza cardiaca ed elevato rischio di mortalità cardiovascolare e da tutte le cause sia in nei pazienti con ipertensione che a livello di popolazione.
Rimane comunque poco chiaro quali dati di frequenza cardiaca siano più accurati nel predire il rischio cardiovascolare del paziente iperteso. Quelli registrati durante la visita ambulatoriale, infatti potrebbero essere influenzati dal noto fenomeno della reazione d’allarme che coinvolge anche la misurazione dei valori pressori. Il monitoraggio pressorio delle 24 ore (ABPM), invece, consente di attenuare la possibile influenza ella reazione d’allarme nei valori pressori e potrebbe quindi fornire anche informazioni più attendibili circa gli effettivi valori di frequenza cardiaca del paziente. Inoltre, essi forniscono importanti informazioni circa i valori di frequenza cardiaca diurni e notturni, consentendo quindi di verificare se, come atteso, nel corso della notte il paziente presenta la fisiologica riduzione della frequenza cardiaca che si accompagna alla fisiologica riduzione dei valori pressori. Per questi motivi, l’ABPM potrebbe fornire informazioni più attendibili dell’iperattività simpatica dell’individuo iperteso. Lo scopo di questa tesi è stato dunque quello di verificare se la misurazione della frequenza cardiaca durante ABPM possa fornire maggiori informazioni rispetto alla misurazione durante le visite ambulatoriali circa la severità dell’HMOD.
Secondo un disegno di studio retrospettivo osservazionale sono stati raccolti dati clinici, dei principali fattori di rischio cardiovascolare, della pressione e frequenza cardiaca misurate durante la visita ambulatoriale ed all’ABPM, oltre ad informazioni relative allo stato di danno d’organo subclinico mediato dall’ipertensione (ecocardiogramma, ecodoppler dei tronchi sopraortici) ed alla terapia di 147 pazienti ipertesi afferenti all’ambulatorio ipertensione della UO Medicina I dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana. Tramite associazioni semplici e multivariate è stato quindi valutato se i valori di frequenza cardiaca all’ABPM potessero fornire informazioni più attendibili circa la severità dell’HMOD rispetto ai valori registrati nel corso della visita ambulatoriale. Lo studio ha dimostrato, inaspettatamente, che pazienti con valori di frequenza cardiaca superiore presentavano minor massa cardiaca indicizzata per superficie corporea. Tale associazione è stata riscontrata sia con i valori di frequenza cardiaca ambulatoriale che quelli registrati all’ABPM, anche se questi ultimi sembravano presentare un’associazione più forte con i parametri di rimodellamento ventricolare rispetto ai primi. L’associazione della massa ventricolare sinistra indicizzata per superficie corporea con i valori di frequenza cardiaca risultava più forte rispetto a quella con i valori di pressione arteriosa sistolica e diastolica, sia quando venivano considerati i parametri ambulatoriali, che quando venivano utilizzati i parametri registrati all’ABPM. Infatti, la correzione per i valori di pressione arteriosa sistolica non alterava la significatività dell’associazione tra frequenza cardiaca e massa ventricolare.
Suddividendo la popolazione in base ai pazienti con e senza ipertrofia ventricolare sinistra, veniva riscontrata un’associazione negativa più forte tra frequenza e massa in soggetti con ipertrofia ventricolare sinistra. Inoltre, soggetti in terapia con beta-bloccanti presentavano una più forte associazione negativa tra frequenza e massa ventricolare sinistra rispetto a coloro che non assumevano beta-bloccanti. Dati analoghi erano ottenuti quando al posto della massa ventricolare veniva considerata la presenza di ateromasia carotidea. Infatti, soggetti con ateromasia carotidea presentavano valori più elevati di frequenza cardiaca rispetto a coloro che non avevano ateromasia. La terapia con beta-bloccanti non alterava la relazione inversa tra frequenza cardiaca e presenza di ateromasia carotidea.
I risultati del nostro studio dimostrano che la frequenza cardiaca potrebbe dare informazioni circa lo stato dell’HMOD addirittura superiore rispetto a quello ottenuto dai valori pressori nel paziente iperteso, anche se, inaspettatamente, secondo una relazione inversa rispetto a quella ipotizzata inizialmente. Infatti valori di frequenza cardiaca più elevati sembrano essere associati ad una minor severità di HMOD. Un aspetto importante è che questa associazione è stata confermata sia con i valori di frequenza cardiaca registrati durante la visita ambulatoriale che con quelli registrati all’ABPM, e non si limita solamente alla stima della massa ventricolare sinistra ma anche alla presenza di ateromasia carotidea. Queste associazioni risultano più evidenti nei soggetti con ipertrofia ventricolare sinistra e in coloro che assumevano terapia con beta-bloccanti.
Nonostante i risultati inattesi, lo studio conferma l’importanza dell’ABPM per una più accurata stratificazione del paziente iperteso e suggerisce l’importanza di valutare non solo i valori pressori ma anche quelli di frequenza cardiaca in ogni paziente iperteso sottoposto a monitoraggio pressorio nelle 24 ore.
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