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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-05282009-155748


Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
MARCONCINI, MARZIA
URN
etd-05282009-155748
Titolo
Derivati finanziari e vigilanza
Settore scientifico disciplinare
IUS/05
Corso di studi
DIRITTO PUBBLICO DELL'ECONOMIA, FINANZA E PROCESSO TRIBUTARIO
Relatori
Relatore Prof.ssa Bani, Elisabetta
Parole chiave
  • derivati finanziari
  • vigilanza
Data inizio appello
06/07/2009
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
06/07/2049
Riassunto
I derivati sono strumenti finanziari ormai da anni saliti alla ribalta delle cronache, anche non specializzate, in primo luogo per le problematiche sorte in seguito ad un utilizzo che si potrebbe definire, almeno in certi casi, un po’ “avventato”, che ha comportato l’insorgere di aspetti problematici, talvolta sfociati in clamorosi default.
Il motivo principale per cui si sarebbero venuti a creare tali profili di criticità è che questi strumenti, più di molti altri, si prestano, per loro caratteristiche intrinseche e strutturali, a far fronte a praticamente tutte le forme di rischio rinvenibili di volta in volta nelle operazioni finanziarie architettate dagli intermediari, e ciò non solo a fini di copertura, ma anche di arbitraggio e speculativi.
L’ovvio portato di queste considerazioni è che ci troviamo di fronte a prodotti finanziari piuttosto “pericolosi”, dal momento che sono potenzialmente idonei a produrre guadagni, ma anche perdite, anche molto ingenti – astrattamente illimitati –, come in effetti si è potuto constatare in alcuni casi concreti, che, proprio per tali motivi, hanno avuto tanta risonanza a livello giornalistico.
Un altro ovvio portato delle medesime valutazioni è che, in conseguenza degli elevati profili di rischio che connotano questi strumenti, gli investitori che intendono farvi ricorso devono essere avvertiti di “maneggiare con cautela”, in parole più ortodosse, l’utilizzo di tali prodotti finanziari deve essere consentito solo a soggetti “esperti”, che svolgono tale attività professionalmente, o, comunque, a soggetti che, pur non rivolgendosi abitualmente a questo tipo di prodotti, siano stati adeguatamente informati su tutti gli eventuali profili di rischio ad essi connessi.
Per questo motivo i derivati richiedono una vigilanza particolare, che in questo lavoro si intende, appunto, approfondire.
A partire dalla fine degli anni settanta del secolo scorso, sulla scia ed in recepimento delle spinte comunitarie, si è andata sempre più decisamente affermando nel nostro ordinamento quella forma di vigilanza definita comunemente “prudenziale”, che, partendo dall’assunto che il mercato, se lasciato senza regole, non è in grado di mantenere un andamento corretto ed efficiente, ma si presta, si potrebbe dire “ontologicamente”, a creare situazioni distorsive, si propone di ovviare al verificarsi di tali eventi perversi e negativi attraverso l’adozione di una serie di regole e l’istituzione di appositi organismi tecnici ed indipendenti, che vengano a dar vita ad una sorta di “recinto”, all’interno del quale gli operatori sono, tuttavia, pur sempre lasciati liberi di muoversi e di adottare liberamente le scelte che ritengono più convenienti e più confacenti alle loro attività.
In altre parole, i fini assegnati dal legislatore alle varie autorità di vigilanza preposte al controllo degli altrettanto vari segmenti in cui suole articolarsi il mercato finanziario, si possono riassumere e rinvenire, anche se senza brama di completezza, in quegli obiettivi di sana e prudente gestione, tutela degli investitori e salvaguardia della loro perdurante fiducia nel mercato e stabilità, buon funzionamento e competitività del sistema finanziario, che si ritrovano, expressis verbis, ai rispettivi articoli 5 del Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58) e del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385).
Ciò che ci proponiamo in questo lavoro, partendo da tali presupposti, è, da un lato, di esaminare almeno gli aspetti principali di questi strumenti, il loro concreto operare, le possibili forme di strutturazione, le finalità che con il loro utilizzo si possono perseguire, i rischi ad essi connessi e che essi stessi sono suscettibili di generare, gli eventuali correttivi; dall’altro, di individuare quali sono gli strumenti allo stato predisposti dal nostro ordinamento per cercare di prevenire eventuali fenomeni distorsivi causati dal loro concreto impiego, o, quanto meno, per limitare la portata dei danni che essi sono in grado di provocare a livello economico a carico degli operatori che vi abbiano fatto ricorso, verificando se essi siano veramente idonei a ovviare a tali criticità, o se si possano individuare ulteriori forme di intervento più efficaci, anche tenendo conto dei richiamati principi di vigilanza prudenziale, che, tuttavia, devono pur sempre guidare gli interventi del legislatore in campo economico.
In altri termini ci si chiede: fino a che punto è opportuno lasciare gli operatori liberi di ricorrere a questi strumenti che ormai sono più o meno trasversalmente ed unanimemente indicati da dottrina e tecnici del settore come particolarmente rischiosi, in nome dei principi che vogliono il mercato il più possibile lasciato libero di operare e di dispiegare le proprie potenzialità in un senso piuttosto che in un altro, ricorrendo ad alcuni tipi di strumenti piuttosto che ad altri, e quando, invece, diviene opportuno, se non necessario, l’intervento correttivo e regolatore del legislatore, con tutte le possibili implicazioni, prima tra tutte la ipotetica perdita di competitività delle imprese italiane sul piano internazionale.
Si è, così, articolato questo lavoro in tre capitoli: nel primo capitolo si è tentato di elaborare una nozione che riesca a fotografare quanto meno gli aspetti essenziali, comuni a questi strumenti, tenendo presente che essi si caratterizzano proprio per il fatto di non seguire schemi predefiniti, ma per essere di volta in volta plasmati ed adattati ai singoli casi concreti, per meglio rispondere alle esigenze pratiche emergenti; quindi si sono analizzati le possibili funzioni e i vari tipi di impieghi (a fini di copertura, speculativi o di arbitraggio) e si è preso in considerazione alcuni casi emblematici di concreto utilizzo.
Nel corso del lavoro si è evidenziato come il legislatore abbia recentemente consentito anche allo Stato, agli enti locali e ad altri soggetti pubblici di ricorrere a questi prodotti, pur se solo in certe forme e a particolari condizioni: partendo da un esame, ancora una volta, di alcuni casi di concreto impiego di questi strumenti da parte di enti pubblici, e guardando alle analisi svolte da alcune istituzioni e da operatori, sia pubblici che privati, nonché a un’indagine parlamentare, tutte avviate e promosse anche proprio a seguito di alcuni clamorosi fenomeni critici rilevati nei casi concreti, è emerso come, a seconda che l’investitore sia un soggetto pubblico o privato, non solo cambiano almeno alcune norme regolatrici in materia di vigilanza, ma soprattutto diversi sono i soggetti a cui sono attribuiti i poteri di applicare tali norme e che, più in generale, sono chiamati a svolgere funzioni di controllo, con tutte le implicazioni in termini di portata di tali funzioni e di coordinamento con le altre autorità di vigilanza che ne possono chiaramente derivare.
Tutto ciò è oggetto dell’analisi svolta nel secondo capitolo, dove ci si sofferma soprattutto sulle possibili conseguenze che l’utilizzo di questi strumenti da parte di enti pubblici può provocare a livello di bilanci e di ripercussioni sulle generazioni future e i relativi correttivi predisposti dal legislatore.
Nel terzo capitolo, infine, si affronta l’ipotesi, potremmo dire più fisiologica, in cui l’investitore sia un soggetto privato, puntando in particolare l’attenzione sul caso in cui si tratti di una piccola o media impresa o un investitore retail, ipotesi in cui sono emersi, ancora una volta in concreto, maggiori profili di rischiosità. In questo ambito l’analisi non si è potuta non incentrare sulle recenti novità introdotte a livello legislativo con il recepimento nel nostro ordinamento della direttiva MiFid, la cui completa attuazione è stata dal legislatore demandata anche alle autorità di vigilanza del settore, che stanno ancora adesso elaborando i relativi regolamenti attuativi.
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