Tesi etd-05262016-164706 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
GORI, CATERINA
URN
etd-05262016-164706
Titolo
Apollo e l'apollineo negli scritti di Platone
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE
Relatori
relatore Prof. Centrone, Bruno
correlatore Dott. Petrucci, Federico Maria
correlatore Dott. Petrucci, Federico Maria
Parole chiave
- dialoghi
- grecia
- leggi
- oracoli
- repubblica
Data inizio appello
27/06/2016
Consultabilità
Completa
Riassunto
Introduzione
Il fine di questa ricerca è quello di individuare i luoghi in cui Apollo viene chiamato in causa e la funzione filosofica che questi richiami al dio assumono. Apollo, benchè in modo complesso e plurivoco, incarna un preciso tipo di ideale che non solo ha avuto una decisiva risonanza nella filosofia antica, ma rappresenta ed ha rappresentao un modello, un riferimentoper la divinazione e la sapienza oracolare, un paradigma di saggezza. Dunque, il mio intento è quello di individuare nel contesto platonico in che modo questa plurivocità di aspetti sia impegnata come strumento filosofico da Platone ogniqualvolta Apollo sia richiamato nei dialoghi.
Emergerà che, benchè in modo complesso, Platone sembra isolare e impiegare maggiormente una dimensione dell'apollineo, quella forse più pura, legata all'ordine, alla razionalità, e a ciò che non a caso oggi si definisce “apollineo” di individuare nel contesto letterario, ogni qual volta l'apollineo si manifesta, dimostrando il modo in cui lo stesso strumento filosofico-letterario del dialogo utilizzato da Platone, corrisponda alla stessa concezione ordinata e razionale che si incarna nell'apollineo. Chiarezza e forma sono due elementi che hanno pienamente a che fare con l'intento di quella parte di grecità che ha abbandonato l'ebrezza dionisiaca per aspirare al raggiungimento di un equilibrio.
Un primo passo necessario di questa idagine consiste nello stabilire alcune linee guida che gettino luce sul ruolo che Apollo ha nella cultura greca. Essa, in effetti, è permeata in innumerevoli aspetti - dalla musica, all'arte, alla poesia, alla scultura,- da caratteristiche proprie dell'ideale apollineo. Più nello specifico il capitolo primo riassume brevemente la leggenda mitologica della nascita di Apollo sull'Isola di Delo, avvenuta dopo i vagabondaggi della madre Latona perseguitata da Era, gelosa di Zeus e della sua permanenza nella terra degli Iperborei. Apollo è inoltre legato a varie figure mitologiche come Helios, Marsia ed anche Pitone, il serpente da lui sconfitto, a lui fanno capo differenti appellativi a seconda delle sue qualità via via attribuitegli nel tempo: il “raggiante”, il “soccorritore dei mali”. Apollo è inoltre il dio della musica, della danza, colui che soccorre dalle sventure, ma ne è anche foriero: la duplicità è un elemento di forte fascino, che colpisce colui il quale, scoprendo questa divinità, non potrà fare a meno di imbattersi in questa sua caratteristica. Il canto cultuale di Apollo è il Peana, canto risanatore intonato per la prima volta a Delo per celebrare la vittoria del Dio sul mostro mitologico, Pitone. Apollo è il kuros, il giovane bello e scolpito nelle sculture classiche, la sapienza a lui consacrata è una delle più antiche nella nostra cultura: la fondazione del tempio di Delfi a lui consacrato risale al 1400 a.C e nello stadio a fianco si svolgevano i famosi Giochi Pitici, che seguivano tre anni l'Olimpiade e prendevano il nome dalla Pizia, la sacerdotessa che pronunciava gli oracoli in nome di Apollo. Apollo è il più bell'esempio di un dio che esercitò per lungo tempo la massima influenza sulla vita religiosa della Grecia, pur senza far uso del suo potere per opprimere gli altri. Le due sezioni conclusive del primo capitolo sono dedicate rispettivamente: la prima agli edifici sacri e la seconda ad Asclepio, mitologico figlio di Apollo e divinità medica, legato al padre da molti aneddoti. Tali aneddoti in maniera interessante, anche per questo nostro elaborato, individuano una più ampia paternità apollinea: Apollo avrebbe creato Platone per curare i mali dell'anima con la sua filosofia e Asclepio, medico del corpo, per alleviare la sofferenza fisica all'umanità.
Il secondo capitolo è dedicato alle fonti, in particolare ai poeti di età arcaica, le cui opere sono ausilio importante per rintracciare la storia di questa divinità e l'influenza che essa ebbe all'interno della cultura scritta e orale greca. La prima fonte ad essere presa in considerazione sono alcune sezioni dell'Iliade, dalla quale deriva la maggior parte delle nostre conoscenze letterarie sulla mitologia greca e nelle quali l'intervento di Apollo si fa importante permettendo di riflette su quello che abbiamo già detto essere il duplice volto della divinità. Esaminando Gli Inni Omerici, in particolare due che sono dedicati ad Apollo: l'Inno III e XXI insieme a l'Inno Alle Muse, notiamo che essi comprendono alcune tra le pagine più belle della letteratura greca e corporazioni di poeti (soprattuto i cosiddetti Omeridi) li andarono recitando per secoli in Asia Minore, e in Grecia, per rallegrare le feste dove si radunavano i greci. Passando alla lirica corale, faremo riferimento a Pindaro (Tebe 518 a.C circa, Argo 438 a.C). Le sue opere, Olimpiche, Pitiche (dedicate ai giochi per Apollo), Inni e Peani, sono ricche di riferimenti ad Apollo, divinità spesso al centro di espisodi mitologici al centro dei componimenti poetici di Pindaro. Da Omero a Pindaro erano fiorite intense stagioni di poesia e insieme discussioni radicali sui “generi”: se in Pindaro ritroviamo una mistione di epos e lirica, di attualità e mito, in Omero si assisteva ad una pura ed estensiva narrazione mitologica, come anche negli Inni è presente l'invocazione al nume e l'evocazione delle sue gesta che si avvicendavano naturalmente. Spesso, infatti, Pindaro tocca un motivo epico al volo, ci ritorna a volte con impegno più profondo e lo sviluppa ariosamente. Tuttavia, non verrà trascurata la storiografia, in particolare Erodoto (Alicarnasso 484 a.C- Turi 430 a.C): storico greco fondamentale per la lettura della storia dei popoli esaminati nelle sue Storie, è indubbiamente utile per rintracciare l'importanza di Apollo e soprattutto della sapienza filosofico-oracolare a lui consacrata.
Conclusi questi due capitoli, i quali hanno una funzione introduttiva dal punto di vista della tematica, si entra nel vivo della argomentazione che ritengo centrale: l'analisi delle sezioni dei Dialoghi platonici nei quali entra a fare parte Apollo. Il capitolo III “Apollo all'interno dei dialoghi platonici”, sarà un breve excursus tra i Dialoghi, tra quelli in cui Apollo si manifesta, ed il suo mostrarsi noteremo che non avverrà in maniera casuale bensì in maniera strategica, a seconda della tematica affrontata nel dialogo. Si comincia con l'Apologia , nella quale, quasi all'inizio, il dio enigmatico di Delfi rivela a Socrate, tramite l'oracolo, che proprio lui, il più sapiente degli uomini, in quanto, il filosofo, “sapendo di non sapere”, è consapevole che la vera sapienza sia solo raggiungibile pienamente dalla divinità e all'uomo è dato sperimentarla solo in parte, cercando di raggiugerla con l'esercizio filosofico. Nel Protagora, si cerca di dimostrare che la prassi educativa utilizzata dai cosiddetti sofisti sia inconsistente. Apollo qui non compare ma, Socrate, cita il tempio Delfico e la celebre massima del “conosci te stesso” incisa su la sua parete. All'interno dell'Eutidemo, il dialogo che si occupa della critica dell'eristica (arte di “battagliare” con le parole) Apollo compare in primo luogo, in maniera indiretta, venendo nominata la sua statua crisoelefantina di Delfi ed in secondo luogo è definito patrio da Socrate: secondo gli ateniesi infatti Apollo era ritenuto padre di Ione, antenato degli ateniesi, dunque capostipite degli Ioni, una delle quattro popolazioni elleniche dell'antica Grecia del II millennio. Nel Cratilo, il dialogo dedicato al tema della correttezza dei nomi, viene analizzata l'etimologia del nome delle divinità tra le quali anche Apollo, essa mostra al lettore il suo volto variopinto e nuovamente duplice: distruttore e purificatore (“colui che lava e scioglie”). Così facendo, Apollo è un ausilio che conferma la tesi della concezione naturalistica del linguaggio evinta dal dialogo, ovvero l'identità (di significato) tra nome e cosa nominata.
Fedone, racconta le ultime ore della vita di Socrate e porta con sè il celebre tema dell'immortalità dell'anima, in questo dialogo, numerosi sono i riferimenti ad Apollo e al figlio Asclepio: si comincia con il ritorno delle navi recatesi a Delo per celebrare la vittoria della divinità sul Minotauro che fanno rientro ad Atene, ritardando così la morte del filosofo; nel corso del dialogo assisitiamo al discorso di Socrate, il quale si mostra sereno dinanzi alla morte grazie al conforto fornitogli da Apollo, ancilla di una musica altissima (filosofia). Nel Fedone si nota il modo in cui Socrate si assimili ai cigni, animali sacri ad Apollo, che alla fine della loro vita emettono un suono di gioia; questo comportamento è il medesimo del filosofo, che prima della morte appare disteso e sereno come testimoniano coloro che siedono intorno al maestro condividendo con lui le ultime ore della sua vita. Mentre, all'interno del celebre discorso sull'amore, il Simposio, Apollo è introdotto dal “Mito di Aristofane” nel quale si racconta la modalità con la quale avvenne la divisione nell'uomo che provocò in lui una perpetua ricerca della propria metà. La nostra divinità si inserisce nella argomentazione aristofanea come risanatore delle “cicatrici” provocate da suo padre Zeus, nel corpo umano: egli ricuce il ventre dell'uomo con la maestria di un artigiano. Apollo ritorna in seguito come discepolo di Amore il quale, guidandolo, gli ha permesso di esercitare quelle discipline che sono passate alla storia come sue proprie quali: medicina, musica e tiro con l'arco. Nel Fedro, si prende in esame un particolare tipo di sapienza mistica: la mantica. Essa appartiene senza dubbio ad Apollo, egli rende capace i suoi medium (la Pizia, profetessa di Delfi) di “vedere oltre” e lo scopo di Platone, per bocca di Socrate, è andare alla ricerca di questa “sapienza”. Ma ciò è possibile solo solo mediante la guida delle Muse, le nove divinità della religione greca che hanno come guida proprio Apollo. Il Timeo, è il dialogo dedicato alla creazione del cosmo ed Apollo è qui personificato con Helios, il sole; si narra infatti che Fetonte sia figlio del sole e che, mal conducendo il suo carro bruciò una parte del cielo, cosicchè si creò la Via Lattea. L'ultimo dialogo che viene affrontato nel Capitolo III è il Crizia, in cui è presente una invocazione ad Apollo e alle nove Muse a lui consacrate per bocca di Ermocrate all'interno di una argomentazione da lui condotta. La modalità con la quale Apollo viene inserito in questo dialogo consente di far luce sulla maniera con la quale il culto apollineo era entrato a far parte a tutti gli effetti della vita degli abitanti della antica Grecia. Nell' Assioco (dialogo pseudo-platonico) Apollo ricorre ben due volte. In primo luogo, nel momento in cui si parla dei due fratelli Agamede e Trofonio, dei quali la leggenda narra avessero edificato il tempio di Apollo Pizio; in secondo luogo, un altro personaggio della mitologia che viene nominato nel dialogo è Anfiarao, indovino protetto da Zues e Apollo. Da questa ampia ricognizione si evince che ad Apollo è attribuito sicuramente un ruolo, che sia secondario o primario, all'interno delle varie tematiche (soprattutto richiami mitologici) dei dialoghi. Tuttavia l'elemento da sottolineare è che Platone ne fa comunque un uso molto ampio e lo fa soprattutto per richiamare l'ideale apollineo, il quale, rappresentando ordine e armonia, diviene lo stesso strumento ordinatore delle tematiche e dei dialoghi stessi.
Il quarto, ed il quinto capitolo, si occupano degli scritti politici del filosofo, con particolare attenzione, ancora una volta, nei confronti del ruolo che Apollo svolge all'interno di essi, ma anche in relazione allo statuto della religione all'interno dei due grandi progetti politici della Repubblica e delle Leggi.
Il quarto capitolo tratta del grande dialogo politico della Repubblica. Il ruolo che svolgerà la religione è funzionale all'assetto statale e di controllo in quanto, Platone, condanna ogni forma di religiosità misterica (soprattutto nel libro IV) o ispirata ed il cittadino dovrà osservare, al di là del culto per una particolare divinità, un grande rispetto per il sacro. Gli dei e le divinità in primis, tra le quali Apollo, saranno rispettate dal cittadino, insieme ai templi sacri a lui consacrati. Nel secondo libro della Repubblica Platone compie una critica della mitologia: i miti sono pericolosi perchè, pur costituendo il nucleo principale dell'educazione, falsificano l'idea delle divinità che sono le protagoniste dei racconti. Apollo ricorre spesso in altri passi della Repubblica che riportano racconti mitologici ma in ogni caso sarà raffigurato come una divinità positiva in quanto al fanciullo deve sempre essere consegnata dai miti ammessi all'interno della educazione statale, una immagine benevola della divinità. I libri VI e VII della Repubblica si occupano di analizzare due miti importanti il cosiddetto “mito della caverna” nel quale Helios svolge un ruolo fondamentale e Apollo è tirato in causa dai dialoganti alla stregua di una esclamazione ma, la sua apparizione, insieme alla metafora del sole, impone una riflessione: egli, grande divintà solare, assume sempre di più, a partire dall'epoca arcaica fino ad oggi, il carattere del dio della luce, purificatore e guaritore, Apollo sembra quasi che abbia una funzione ancillare in questo snodo dell'opera, nel quale Platone per bocca di Socrate spiega la sua teoria della conoscenza; la divinità, quindi, accompagnerebbe il lettore intento a cercare quel fascio di luce nella argomentazione della “teoria della conoscenza” platonica. Notiamo, dunque, tornando al principio della nostra riflessione, la quale è partita dalla concezione della religione nella Repubblica, che lo spirito apollineo, in questa opera ricorre spesso e la pervade tutta.
La religione nel nuovo Stato rappresenta un ausilio alla norma generica della giustizia e del mantenimento dell'ordine e le stesse divinità sono si, certamente, ammesse, ma con precipue funzioni tutte dedicate al medesimo scopo: mantenere ordine e equilibrio nello stato. Il principio razionale, dunque è la luce che illumina il cammino della realizzazione dello stato platonico e l'ideale armonico apollineo, possiamo spingerci ad affermare, che si costituisce come una delle sue inesauribili fonti, senza ordine e misura la costruzione politica e filosofica della Repubblica non sussisterebbe. Nel quinto capitolo vengono esaminate le Leggi, nel dialogo, oltre ai riti è la tradizione che riveste una grande importanza. Sia che il discorso tratti di argomenti religiosi, di argomenti politici o di qualsiasi altro genere di problemi, è sempre chiaro che Platone ha alta considerazione per ogni genere di tradizione, soprattutto per ciò che è consacrato da un'antica origine e dalla credenza comune o collettiva. Le divinità regolano in generale i rapporti tra gli uomini a partire da quelli sociali fino ad arrivare a quelli economici; sono gli dei, infatti, a dare agli uomini le leggi, li puniscono, a volte, durante la loro esistenza terrena come anche nell'Ade. Se molte volte nelle Leggi si parla del dio o degli dei in forma impersonale, senza designarne specificatamente qualcuno, è anche vero che in parecchi luoghi le divinità della religione tradizionale sono espressamente designate per nome e viene ribadita, senza possibilità di fraintendimento, l'adesione alla religione concretamente esistente che è nelle Leggi una delle isitituzioni fondamentali, anzi, il perno essenziale di tutto l'ordine sociale e politico. In questo quadro, Apollo compare in modo ricorrente, quasi in ognuno dei dodici libri dell'opera. Apollo compare spesso nelle Leggi come ancilla della musica (mousikè)disciplina posta al vertice della piramide educativa dei fanciulli dello stato,Apollo dunque è foriero di ritmo ordinatore funzionale all'assetto statale,contrapposto al furore bacchico dionisiaco, e Platone, citandolo a proposito delle discipline a lui consacrate, sottolinea il suo equilibrio e misura. Nell'occasione della votazione del supremo magistrato preposto all'educazione, la quale avviene nel tempio di Apollo, ambito sacro e polis si intersecano, infatti nel libro XII i nuovi “revisori” dello stato ricoprono anche un ruolo semi-sacrale.
Interessante è anche l'uso che il filosofo compie di Apollo chiamandolo molte volte Helios;sembra che ne faccia (di Apollo), nell'ecomia generale del discorso a proposito delle Leggi, un vero e proprio culto da osservare con devozione(i nuovi “revisori”diverranno essi stessi sacerdoti di Apollo) e, Platone, fa derivare la legislazione politica della polis, direttamente dalla divinità: l'Apollo patrio tanto caro agli abitanti della antica Grecia.Il libro X è ritenuto particolarmente importante per la tematica affrontata sulla empietà: l'ateismo nelle Leggi viene considerato un'infrazione alla connessione sussitente tra ordine cosmico e ordine politico ed in esso viene anche sviluppata l'idea di religiosità cosmica. Apollo è, in questa opera, colui che disciplina mediante le materie educative da lui incarnate il nuovo e vecchio cittadino, mettendolo su un cammino non oscuro ed incentro ma, su di una strada armonica e volta al rispetto delle norme vigenti lo Stato. L'uso che il filosofo fa in questa sede di Apollo è sostanzialmente di due tipi: regolativo, perchè guida l'individuo all'interno della legislazione statale ed educativo, in quanto, le discipline a lui corrispondenti formano il carattere del futuro cittadino.
Il capitolo VI dedicato alle Espistole è il penultimo dell'elaborato, contiene in primo luogo una riflessione a proposito della loro autenticità (le lettere ad eccezione della VII e, con più dubbi, dell'VIII sono ritenute spurie), tuttavvia, la Lettera XIII anche se spuria, contiene un interessante riferimento ad Apollo, o meglio ad un kuros, una statuetta votiva della raffigurante un giovane ed in questo caso Apollo, commissionata da Dionisi di Siracusa a Platone: Apollo incarna l'ideale estetico di bellezza della classicità e le sue state sono una presenza costante in questa epoca e nei templi della antica Grecia, utilizzate dalla popolazione per invocare la divinità e concedergli preghiere.
L'ultimo capitolo si occupa della aneddotica, in effetti, molto interessanti risultano gli aneddoti a proposito di Platone, celebri quelli che hanno a che fare con la sua nascita proposti da Giamblico e Diogene Laerzio: riuniscono Platone insieme a suo figlio Asclepio, sotto il segno di Apollo, il quale sembra egli stesso essere padre di Platone. Ampliando l'indagine con l'analisi di altri fonti e non solo, il capitolo stabilisce inoltre legame anche tra i due e Pitagora, altra figura posta sotto il segno di Apollo.
Al termine di questa analisi potremo affermare da un lato che Apollo è presente in modo diffuso nelle opere di Platone, che riflettono la ricchezza e la complessità della sua figura, dall’altro che l'apollineo, inteso come spirito razionale e ordinatore, riflette la volontà platonica di marginalizzare in vari ambiti della sua riflessione tutto ciò che è asimmetrico e mancante di proporzioni. In fondo, la stessa forma del Dialogo come strumento filosofico rappresenta il tentativo di unificare un universo colmo di idee e concetti senza abolirne la complessità, anzi facendola fluire in una forma peculiare di comunicazione filosofica, quella dialogica. Si tratta, nei contenuti, di un progetto ambizioso, che va dal tentativo di utilizzare l'apollineo per ordinare una nuova vita comunitaria al programma di cogliere l’ordine divino e astrale: l'apollineo ordina, crea armonia, è luce (Helios). Quella luce che risplende, diffusa, in tutta la opera di Platone.
Il fine di questa ricerca è quello di individuare i luoghi in cui Apollo viene chiamato in causa e la funzione filosofica che questi richiami al dio assumono. Apollo, benchè in modo complesso e plurivoco, incarna un preciso tipo di ideale che non solo ha avuto una decisiva risonanza nella filosofia antica, ma rappresenta ed ha rappresentao un modello, un riferimentoper la divinazione e la sapienza oracolare, un paradigma di saggezza. Dunque, il mio intento è quello di individuare nel contesto platonico in che modo questa plurivocità di aspetti sia impegnata come strumento filosofico da Platone ogniqualvolta Apollo sia richiamato nei dialoghi.
Emergerà che, benchè in modo complesso, Platone sembra isolare e impiegare maggiormente una dimensione dell'apollineo, quella forse più pura, legata all'ordine, alla razionalità, e a ciò che non a caso oggi si definisce “apollineo” di individuare nel contesto letterario, ogni qual volta l'apollineo si manifesta, dimostrando il modo in cui lo stesso strumento filosofico-letterario del dialogo utilizzato da Platone, corrisponda alla stessa concezione ordinata e razionale che si incarna nell'apollineo. Chiarezza e forma sono due elementi che hanno pienamente a che fare con l'intento di quella parte di grecità che ha abbandonato l'ebrezza dionisiaca per aspirare al raggiungimento di un equilibrio.
Un primo passo necessario di questa idagine consiste nello stabilire alcune linee guida che gettino luce sul ruolo che Apollo ha nella cultura greca. Essa, in effetti, è permeata in innumerevoli aspetti - dalla musica, all'arte, alla poesia, alla scultura,- da caratteristiche proprie dell'ideale apollineo. Più nello specifico il capitolo primo riassume brevemente la leggenda mitologica della nascita di Apollo sull'Isola di Delo, avvenuta dopo i vagabondaggi della madre Latona perseguitata da Era, gelosa di Zeus e della sua permanenza nella terra degli Iperborei. Apollo è inoltre legato a varie figure mitologiche come Helios, Marsia ed anche Pitone, il serpente da lui sconfitto, a lui fanno capo differenti appellativi a seconda delle sue qualità via via attribuitegli nel tempo: il “raggiante”, il “soccorritore dei mali”. Apollo è inoltre il dio della musica, della danza, colui che soccorre dalle sventure, ma ne è anche foriero: la duplicità è un elemento di forte fascino, che colpisce colui il quale, scoprendo questa divinità, non potrà fare a meno di imbattersi in questa sua caratteristica. Il canto cultuale di Apollo è il Peana, canto risanatore intonato per la prima volta a Delo per celebrare la vittoria del Dio sul mostro mitologico, Pitone. Apollo è il kuros, il giovane bello e scolpito nelle sculture classiche, la sapienza a lui consacrata è una delle più antiche nella nostra cultura: la fondazione del tempio di Delfi a lui consacrato risale al 1400 a.C e nello stadio a fianco si svolgevano i famosi Giochi Pitici, che seguivano tre anni l'Olimpiade e prendevano il nome dalla Pizia, la sacerdotessa che pronunciava gli oracoli in nome di Apollo. Apollo è il più bell'esempio di un dio che esercitò per lungo tempo la massima influenza sulla vita religiosa della Grecia, pur senza far uso del suo potere per opprimere gli altri. Le due sezioni conclusive del primo capitolo sono dedicate rispettivamente: la prima agli edifici sacri e la seconda ad Asclepio, mitologico figlio di Apollo e divinità medica, legato al padre da molti aneddoti. Tali aneddoti in maniera interessante, anche per questo nostro elaborato, individuano una più ampia paternità apollinea: Apollo avrebbe creato Platone per curare i mali dell'anima con la sua filosofia e Asclepio, medico del corpo, per alleviare la sofferenza fisica all'umanità.
Il secondo capitolo è dedicato alle fonti, in particolare ai poeti di età arcaica, le cui opere sono ausilio importante per rintracciare la storia di questa divinità e l'influenza che essa ebbe all'interno della cultura scritta e orale greca. La prima fonte ad essere presa in considerazione sono alcune sezioni dell'Iliade, dalla quale deriva la maggior parte delle nostre conoscenze letterarie sulla mitologia greca e nelle quali l'intervento di Apollo si fa importante permettendo di riflette su quello che abbiamo già detto essere il duplice volto della divinità. Esaminando Gli Inni Omerici, in particolare due che sono dedicati ad Apollo: l'Inno III e XXI insieme a l'Inno Alle Muse, notiamo che essi comprendono alcune tra le pagine più belle della letteratura greca e corporazioni di poeti (soprattuto i cosiddetti Omeridi) li andarono recitando per secoli in Asia Minore, e in Grecia, per rallegrare le feste dove si radunavano i greci. Passando alla lirica corale, faremo riferimento a Pindaro (Tebe 518 a.C circa, Argo 438 a.C). Le sue opere, Olimpiche, Pitiche (dedicate ai giochi per Apollo), Inni e Peani, sono ricche di riferimenti ad Apollo, divinità spesso al centro di espisodi mitologici al centro dei componimenti poetici di Pindaro. Da Omero a Pindaro erano fiorite intense stagioni di poesia e insieme discussioni radicali sui “generi”: se in Pindaro ritroviamo una mistione di epos e lirica, di attualità e mito, in Omero si assisteva ad una pura ed estensiva narrazione mitologica, come anche negli Inni è presente l'invocazione al nume e l'evocazione delle sue gesta che si avvicendavano naturalmente. Spesso, infatti, Pindaro tocca un motivo epico al volo, ci ritorna a volte con impegno più profondo e lo sviluppa ariosamente. Tuttavia, non verrà trascurata la storiografia, in particolare Erodoto (Alicarnasso 484 a.C- Turi 430 a.C): storico greco fondamentale per la lettura della storia dei popoli esaminati nelle sue Storie, è indubbiamente utile per rintracciare l'importanza di Apollo e soprattutto della sapienza filosofico-oracolare a lui consacrata.
Conclusi questi due capitoli, i quali hanno una funzione introduttiva dal punto di vista della tematica, si entra nel vivo della argomentazione che ritengo centrale: l'analisi delle sezioni dei Dialoghi platonici nei quali entra a fare parte Apollo. Il capitolo III “Apollo all'interno dei dialoghi platonici”, sarà un breve excursus tra i Dialoghi, tra quelli in cui Apollo si manifesta, ed il suo mostrarsi noteremo che non avverrà in maniera casuale bensì in maniera strategica, a seconda della tematica affrontata nel dialogo. Si comincia con l'Apologia , nella quale, quasi all'inizio, il dio enigmatico di Delfi rivela a Socrate, tramite l'oracolo, che proprio lui, il più sapiente degli uomini, in quanto, il filosofo, “sapendo di non sapere”, è consapevole che la vera sapienza sia solo raggiungibile pienamente dalla divinità e all'uomo è dato sperimentarla solo in parte, cercando di raggiugerla con l'esercizio filosofico. Nel Protagora, si cerca di dimostrare che la prassi educativa utilizzata dai cosiddetti sofisti sia inconsistente. Apollo qui non compare ma, Socrate, cita il tempio Delfico e la celebre massima del “conosci te stesso” incisa su la sua parete. All'interno dell'Eutidemo, il dialogo che si occupa della critica dell'eristica (arte di “battagliare” con le parole) Apollo compare in primo luogo, in maniera indiretta, venendo nominata la sua statua crisoelefantina di Delfi ed in secondo luogo è definito patrio da Socrate: secondo gli ateniesi infatti Apollo era ritenuto padre di Ione, antenato degli ateniesi, dunque capostipite degli Ioni, una delle quattro popolazioni elleniche dell'antica Grecia del II millennio. Nel Cratilo, il dialogo dedicato al tema della correttezza dei nomi, viene analizzata l'etimologia del nome delle divinità tra le quali anche Apollo, essa mostra al lettore il suo volto variopinto e nuovamente duplice: distruttore e purificatore (“colui che lava e scioglie”). Così facendo, Apollo è un ausilio che conferma la tesi della concezione naturalistica del linguaggio evinta dal dialogo, ovvero l'identità (di significato) tra nome e cosa nominata.
Fedone, racconta le ultime ore della vita di Socrate e porta con sè il celebre tema dell'immortalità dell'anima, in questo dialogo, numerosi sono i riferimenti ad Apollo e al figlio Asclepio: si comincia con il ritorno delle navi recatesi a Delo per celebrare la vittoria della divinità sul Minotauro che fanno rientro ad Atene, ritardando così la morte del filosofo; nel corso del dialogo assisitiamo al discorso di Socrate, il quale si mostra sereno dinanzi alla morte grazie al conforto fornitogli da Apollo, ancilla di una musica altissima (filosofia). Nel Fedone si nota il modo in cui Socrate si assimili ai cigni, animali sacri ad Apollo, che alla fine della loro vita emettono un suono di gioia; questo comportamento è il medesimo del filosofo, che prima della morte appare disteso e sereno come testimoniano coloro che siedono intorno al maestro condividendo con lui le ultime ore della sua vita. Mentre, all'interno del celebre discorso sull'amore, il Simposio, Apollo è introdotto dal “Mito di Aristofane” nel quale si racconta la modalità con la quale avvenne la divisione nell'uomo che provocò in lui una perpetua ricerca della propria metà. La nostra divinità si inserisce nella argomentazione aristofanea come risanatore delle “cicatrici” provocate da suo padre Zeus, nel corpo umano: egli ricuce il ventre dell'uomo con la maestria di un artigiano. Apollo ritorna in seguito come discepolo di Amore il quale, guidandolo, gli ha permesso di esercitare quelle discipline che sono passate alla storia come sue proprie quali: medicina, musica e tiro con l'arco. Nel Fedro, si prende in esame un particolare tipo di sapienza mistica: la mantica. Essa appartiene senza dubbio ad Apollo, egli rende capace i suoi medium (la Pizia, profetessa di Delfi) di “vedere oltre” e lo scopo di Platone, per bocca di Socrate, è andare alla ricerca di questa “sapienza”. Ma ciò è possibile solo solo mediante la guida delle Muse, le nove divinità della religione greca che hanno come guida proprio Apollo. Il Timeo, è il dialogo dedicato alla creazione del cosmo ed Apollo è qui personificato con Helios, il sole; si narra infatti che Fetonte sia figlio del sole e che, mal conducendo il suo carro bruciò una parte del cielo, cosicchè si creò la Via Lattea. L'ultimo dialogo che viene affrontato nel Capitolo III è il Crizia, in cui è presente una invocazione ad Apollo e alle nove Muse a lui consacrate per bocca di Ermocrate all'interno di una argomentazione da lui condotta. La modalità con la quale Apollo viene inserito in questo dialogo consente di far luce sulla maniera con la quale il culto apollineo era entrato a far parte a tutti gli effetti della vita degli abitanti della antica Grecia. Nell' Assioco (dialogo pseudo-platonico) Apollo ricorre ben due volte. In primo luogo, nel momento in cui si parla dei due fratelli Agamede e Trofonio, dei quali la leggenda narra avessero edificato il tempio di Apollo Pizio; in secondo luogo, un altro personaggio della mitologia che viene nominato nel dialogo è Anfiarao, indovino protetto da Zues e Apollo. Da questa ampia ricognizione si evince che ad Apollo è attribuito sicuramente un ruolo, che sia secondario o primario, all'interno delle varie tematiche (soprattutto richiami mitologici) dei dialoghi. Tuttavia l'elemento da sottolineare è che Platone ne fa comunque un uso molto ampio e lo fa soprattutto per richiamare l'ideale apollineo, il quale, rappresentando ordine e armonia, diviene lo stesso strumento ordinatore delle tematiche e dei dialoghi stessi.
Il quarto, ed il quinto capitolo, si occupano degli scritti politici del filosofo, con particolare attenzione, ancora una volta, nei confronti del ruolo che Apollo svolge all'interno di essi, ma anche in relazione allo statuto della religione all'interno dei due grandi progetti politici della Repubblica e delle Leggi.
Il quarto capitolo tratta del grande dialogo politico della Repubblica. Il ruolo che svolgerà la religione è funzionale all'assetto statale e di controllo in quanto, Platone, condanna ogni forma di religiosità misterica (soprattutto nel libro IV) o ispirata ed il cittadino dovrà osservare, al di là del culto per una particolare divinità, un grande rispetto per il sacro. Gli dei e le divinità in primis, tra le quali Apollo, saranno rispettate dal cittadino, insieme ai templi sacri a lui consacrati. Nel secondo libro della Repubblica Platone compie una critica della mitologia: i miti sono pericolosi perchè, pur costituendo il nucleo principale dell'educazione, falsificano l'idea delle divinità che sono le protagoniste dei racconti. Apollo ricorre spesso in altri passi della Repubblica che riportano racconti mitologici ma in ogni caso sarà raffigurato come una divinità positiva in quanto al fanciullo deve sempre essere consegnata dai miti ammessi all'interno della educazione statale, una immagine benevola della divinità. I libri VI e VII della Repubblica si occupano di analizzare due miti importanti il cosiddetto “mito della caverna” nel quale Helios svolge un ruolo fondamentale e Apollo è tirato in causa dai dialoganti alla stregua di una esclamazione ma, la sua apparizione, insieme alla metafora del sole, impone una riflessione: egli, grande divintà solare, assume sempre di più, a partire dall'epoca arcaica fino ad oggi, il carattere del dio della luce, purificatore e guaritore, Apollo sembra quasi che abbia una funzione ancillare in questo snodo dell'opera, nel quale Platone per bocca di Socrate spiega la sua teoria della conoscenza; la divinità, quindi, accompagnerebbe il lettore intento a cercare quel fascio di luce nella argomentazione della “teoria della conoscenza” platonica. Notiamo, dunque, tornando al principio della nostra riflessione, la quale è partita dalla concezione della religione nella Repubblica, che lo spirito apollineo, in questa opera ricorre spesso e la pervade tutta.
La religione nel nuovo Stato rappresenta un ausilio alla norma generica della giustizia e del mantenimento dell'ordine e le stesse divinità sono si, certamente, ammesse, ma con precipue funzioni tutte dedicate al medesimo scopo: mantenere ordine e equilibrio nello stato. Il principio razionale, dunque è la luce che illumina il cammino della realizzazione dello stato platonico e l'ideale armonico apollineo, possiamo spingerci ad affermare, che si costituisce come una delle sue inesauribili fonti, senza ordine e misura la costruzione politica e filosofica della Repubblica non sussisterebbe. Nel quinto capitolo vengono esaminate le Leggi, nel dialogo, oltre ai riti è la tradizione che riveste una grande importanza. Sia che il discorso tratti di argomenti religiosi, di argomenti politici o di qualsiasi altro genere di problemi, è sempre chiaro che Platone ha alta considerazione per ogni genere di tradizione, soprattutto per ciò che è consacrato da un'antica origine e dalla credenza comune o collettiva. Le divinità regolano in generale i rapporti tra gli uomini a partire da quelli sociali fino ad arrivare a quelli economici; sono gli dei, infatti, a dare agli uomini le leggi, li puniscono, a volte, durante la loro esistenza terrena come anche nell'Ade. Se molte volte nelle Leggi si parla del dio o degli dei in forma impersonale, senza designarne specificatamente qualcuno, è anche vero che in parecchi luoghi le divinità della religione tradizionale sono espressamente designate per nome e viene ribadita, senza possibilità di fraintendimento, l'adesione alla religione concretamente esistente che è nelle Leggi una delle isitituzioni fondamentali, anzi, il perno essenziale di tutto l'ordine sociale e politico. In questo quadro, Apollo compare in modo ricorrente, quasi in ognuno dei dodici libri dell'opera. Apollo compare spesso nelle Leggi come ancilla della musica (mousikè)disciplina posta al vertice della piramide educativa dei fanciulli dello stato,Apollo dunque è foriero di ritmo ordinatore funzionale all'assetto statale,contrapposto al furore bacchico dionisiaco, e Platone, citandolo a proposito delle discipline a lui consacrate, sottolinea il suo equilibrio e misura. Nell'occasione della votazione del supremo magistrato preposto all'educazione, la quale avviene nel tempio di Apollo, ambito sacro e polis si intersecano, infatti nel libro XII i nuovi “revisori” dello stato ricoprono anche un ruolo semi-sacrale.
Interessante è anche l'uso che il filosofo compie di Apollo chiamandolo molte volte Helios;sembra che ne faccia (di Apollo), nell'ecomia generale del discorso a proposito delle Leggi, un vero e proprio culto da osservare con devozione(i nuovi “revisori”diverranno essi stessi sacerdoti di Apollo) e, Platone, fa derivare la legislazione politica della polis, direttamente dalla divinità: l'Apollo patrio tanto caro agli abitanti della antica Grecia.Il libro X è ritenuto particolarmente importante per la tematica affrontata sulla empietà: l'ateismo nelle Leggi viene considerato un'infrazione alla connessione sussitente tra ordine cosmico e ordine politico ed in esso viene anche sviluppata l'idea di religiosità cosmica. Apollo è, in questa opera, colui che disciplina mediante le materie educative da lui incarnate il nuovo e vecchio cittadino, mettendolo su un cammino non oscuro ed incentro ma, su di una strada armonica e volta al rispetto delle norme vigenti lo Stato. L'uso che il filosofo fa in questa sede di Apollo è sostanzialmente di due tipi: regolativo, perchè guida l'individuo all'interno della legislazione statale ed educativo, in quanto, le discipline a lui corrispondenti formano il carattere del futuro cittadino.
Il capitolo VI dedicato alle Espistole è il penultimo dell'elaborato, contiene in primo luogo una riflessione a proposito della loro autenticità (le lettere ad eccezione della VII e, con più dubbi, dell'VIII sono ritenute spurie), tuttavvia, la Lettera XIII anche se spuria, contiene un interessante riferimento ad Apollo, o meglio ad un kuros, una statuetta votiva della raffigurante un giovane ed in questo caso Apollo, commissionata da Dionisi di Siracusa a Platone: Apollo incarna l'ideale estetico di bellezza della classicità e le sue state sono una presenza costante in questa epoca e nei templi della antica Grecia, utilizzate dalla popolazione per invocare la divinità e concedergli preghiere.
L'ultimo capitolo si occupa della aneddotica, in effetti, molto interessanti risultano gli aneddoti a proposito di Platone, celebri quelli che hanno a che fare con la sua nascita proposti da Giamblico e Diogene Laerzio: riuniscono Platone insieme a suo figlio Asclepio, sotto il segno di Apollo, il quale sembra egli stesso essere padre di Platone. Ampliando l'indagine con l'analisi di altri fonti e non solo, il capitolo stabilisce inoltre legame anche tra i due e Pitagora, altra figura posta sotto il segno di Apollo.
Al termine di questa analisi potremo affermare da un lato che Apollo è presente in modo diffuso nelle opere di Platone, che riflettono la ricchezza e la complessità della sua figura, dall’altro che l'apollineo, inteso come spirito razionale e ordinatore, riflette la volontà platonica di marginalizzare in vari ambiti della sua riflessione tutto ciò che è asimmetrico e mancante di proporzioni. In fondo, la stessa forma del Dialogo come strumento filosofico rappresenta il tentativo di unificare un universo colmo di idee e concetti senza abolirne la complessità, anzi facendola fluire in una forma peculiare di comunicazione filosofica, quella dialogica. Si tratta, nei contenuti, di un progetto ambizioso, che va dal tentativo di utilizzare l'apollineo per ordinare una nuova vita comunitaria al programma di cogliere l’ordine divino e astrale: l'apollineo ordina, crea armonia, è luce (Helios). Quella luce che risplende, diffusa, in tutta la opera di Platone.
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