Tesi etd-05252023-181017 |
Link copiato negli appunti
Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
LIMUTI, GIUSEPPE
URN
etd-05252023-181017
Titolo
Sindrome di Cogan: valutazione degli outcomes clinici, sistemici e oculari in una casistica pisana
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof.ssa Posarelli, Chiara
correlatore Dott.ssa Maglionico, Maria Novella
correlatore Dott.ssa Maglionico, Maria Novella
Parole chiave
- cheratite interstiziale
- ipoacusia neurosensoriale
- sindrome di cogan
- target therapy
- vasculite
Data inizio appello
13/06/2023
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
13/06/2093
Riassunto
La sindrome di Cogan è una rara malattia autoimmune che colpisce principalmente l'apparato uditivo e visivo, ma che spesso coinvolge altri distretti soprattutto sotto forma di vasculite. I sintomi uditivi possono includere vertigini, perdita dell'udito, tinnito e instabilità dell'equilibrio, per tale ragione definita anche sindrome ménièriforme, mentre i sintomi oculari sono di solito rappresentati da una cheratite interstiziale associata o meno a quadri di congiuntivite, episclerite/sclerite, uveite, neurite ottica, retinite o papillite.
L'origine della sindrome di Cogan non è ancora del tutto chiara, e questo pone problemi seri nella diagnosi di certezza. Essa, infatti, è spesso di esclusione o quando la clinica risulti particolarmente suggestiva. Non esistono attualmente markers o test specifici e la sintomatologia è spesso sfumata e difficilmente indirizzabile ad un unico quadro clinico.
L’obiettivo di questo studio è stato quello di effettuare un’analisi retrospettiva delle caratteristiche cliniche, sistemiche e oculari in una coorte di 7 pazienti affetti da sindrome di Cogan, sia essa in forma tipica che atipica giunti alla nostra attenzione tra marzo 2012 e febbraio 2023.
Abbiamo valutato l’età del paziente all’esordio della malattia, Il sesso, il periodo di osservazione, le manifestazioni cliniche oculari, otologiche e sistemiche, l’intervallo medio tra le varie manifestazioni, gli indici di flogosi, gli esami strumentali eseguiti dai pazienti, il numero di riacutizzazioni (per valutare l’efficacia terapeutica e il controllo di malattia), la terapia sistemica e/o locale, la terapia chirurgica (ad esempio l’applicazione di impianto cocleare, interventi cardiochirurgici o chirurgia vascolare).
La raccolta dati è stata eseguita con l'ausilio del Software Excel 2016 (Versione 2304). I dati descrittivi sono stati presentati come valori medi e relative deviazioni standard.
Considerate le difficoltà nella diagnosi e la variabilità delle manifestazioni cliniche è facilmente intuibile che anche il trattamento rappresenta una vera e propria sfida per lo specialista. Attualmente, infatti, per la sindrome di Cogan non è stato ancora trovato un regime terapeutico standard o un farmaco specifico. Le opzioni di trattamento comprendono farmaci immunosoppressori come corticosteroidi, immunomodulatori e farmaci biologici, che mirano a sopprimere la risposta autoimmune e quindi a controllare il processo fisiopatologico di base.
Abbiamo revisionato le cartelle cliniche di 7 pazienti, di cui 4 femmine e 3 maschi, con diagnosi confermata o sospetta di sindrome di Cogan, seguiti nel periodo compreso tra marzo 2012 e febbraio 2023 per una media di osservazione di 40,4 ± 22,5 mesi; l’età media dei soggetti all’esordio della malattia è di 44,7 ± 20,5 anni (min: 22; max: 74).
In base all’analisi dei dati, abbiamo classificato come tipico un solo caso clinico, quattro come variante atipica e gli ultimi due hanno, ad oggi, solo una diagnosi sospetta.
Per ognuno dei pazienti selezionati sono state eseguite numerose visite specialistiche finalizzate all’inquadramento generale e all’esecuzione di una diagnosi.
Tutti i pazienti hanno presentato all’esordio almeno un impegno otologico od oculare: due di loro hanno sviluppato contemporaneamente deficit visivi e uditivi, tre hanno avuto inizialmente impegno otologico e a distanza di tempo variabile (1 mese, 7 mesi e 1 anno) anche sintomi visivi.
In fase attiva di malattia abbiamo registrato anche valori di VES, PCR e fibrinogeno costantemente sopra i valori normali di riferimento, così come anche la presenza di alterazioni alle indagini strumentali nelle sedi di infiammazione (ipersegnale alla RM, fibrosi o stenosi alla TC e iperaccumulo di tracciante alla PET/TC).
Tutti i pazienti al momento del ricovero presentavano una malattia in fase acuta e sei di loro sono stati trattati con Metilprednisolone ad alte dosi per via endovenosa, ovvero da 250 mg a 1 g/die per 3 giorni, poi progressivamente scalata fino a 4mg/die. In tutti loro, questo primo approccio ha avuto un iniziale beneficio. Nonostante questo, il solo steroide non ha garantito un buon controllo di malattia a lungo termine, ad eccezione di un solo paziente in cui si è visto che il Metilprednisolone 4 mg/die aveva permesso la stabilizzazione.
Per questa ragione, la tendenza è quella di associare ai cortisonici (usati in tutti i pazienti) i sDMARDs e/o i farmaci biologici: nella nostra casistica due dei sette pazienti sono stati trattati con la combinazione steroide (Prednisone 6,25 mg/die e Metilprednisolone 4 mg/die) e Azatioprina (50 mg/bid), di questi solo uno ha ottenuto un controllo di malattia con questo regime terapeutico; infatti, al secondo è stato aggiunto anche il Filgotinib 200mg/die; altri immunomodulanti impiegati sono stati: il Metotrexato (15 mg/settimana) impiegato in tre pazienti e solo in uno di loro ha dato beneficio a lungo termine in associazione al Metilprednisolone (4 mg/die); la Ciclofosfamide (a dosaggio variabile), usata anch’essa in tre pazienti (di cui due con il Metotrexato); infine la ciclosporina (200 mg/die) e il Micofenolato mofetile (250 mg/bid fino ad un massimo di 500 mg/bid) sono stati usati rispettivamente solo in uno e in due pazienti con scarsi benefici.
Per quanto riguarda l’uso dei farmaci biologici solo due pazienti non ne hanno fatto uso (uno di loro è il caso con la variante tipica), negli altri cinque pazienti sono stati usati il Tocilizumab, il Filgotinib, il Tofacitinib e l'Infliximab.
In particolare, l’Infliximab, usato sempre come primo farmaco biologico, è stato impiegato in tre di questi cinque, ottenendo buoni risultati solo in uno. Il Tofacitinib (da 5 a 15mg/die) è stato usato solo in due pazienti con scarsi risultati. Il Filgotinib è stato usato in due pazienti ma con ottimi risultati costituendo, in entrambi i casi, un pilastro nel controllo della sintomatologia in associazione allo steroide, in un caso, e in combinazione a steroide e Azatioprina nell’altro. Infine, il Tocilizumab è stato sicuramente quello più usato, seppur con risultati contrastanti: quattro dei cinque pazienti sottoposti a terapia biologica ha assunto questo farmaco, ma solo nella metà dei casi hanno avuto reali benefici; infatti, negli altri due si sono presentate ulteriori riacutizzazioni.
Per aumentare il controllo delle manifestazioni oculari infiammatorie dei nostri pazienti (cheratite interstiziale, episclerite, congiuntivite ed iperemia congiuntivale) si è associata la terapia locale con steroide, con buoni risultati.
Dall’analisi retrospettiva della nostra casistica sembra che la target therapy giochi un ruolo chiave soprattutto nei pazienti più gravi e con interessamento multiorgano: ben 5 dei nostri 7 pazienti (il 71,4%) hanno avuto bisogno dei farmaci biologici per ottenere un controllo di malattia più efficace e duraturo e questo è testimoniato anche dall’andamento delle riacutizzazioni in relazione alla tipologia di trattamento: sei dei nostri pazienti hanno assunto, per un arco temporale medio di 10,3 ± 6,4 mesi, solo steroidi per trattare la patologia con una media di 2,8 ± 1,7 riacutizzazioni; cinque hanno assunto la combinazione steroide + sDMARDs per un periodo medio di 17,6 ± 12,3 mesi con una media di 1,0 ± 0,7 riacutizzazioni; quattro hanno assunto l’associazione steroide + farmaco biologico per 10,8 ± 9,6 mesi con 0,8 ± 1,0 riacutizzazioni; infine, solo tre pazienti si sono sottoposti alle triplici associazioni ottenendo una media di 2,3 ± 0,6 riacutizzazioni per un periodo medio di 30,3 ± 17,9 mesi di trattamento.
Sembrerebbe, quindi, che le associazioni steroide + sDMARDs e steroide + farmaco biologico, a parità di intervallo di trattamento, garantiscano una maggiore protezione dalle riacutizzazioni.
La sindrome di Cogan è una rara malattia autoimmune che può portare a disabilità visiva, sordità e morte. La patogenesi è ancora sconosciuta e la diagnosi è una sfida. Ad oggi, in assenza di studi controllati e a causa della rarità della malattia, non esistono raccomandazioni terapeutiche definitive.
Nonostante ciò, i corticosteroidi costituiscono, al momento, la prima linea di trattamento, ma gli agenti biologici possono rappresentare una terapia aggiuntiva nei casi complicati e non responsivi allo scopo di ottenere un miglior controllo di malattia.
Parole chiave: sindrome di Cogan, cheratite interstiziale, ipoacusia neurosensoriale, vasculite, target therapy.
L'origine della sindrome di Cogan non è ancora del tutto chiara, e questo pone problemi seri nella diagnosi di certezza. Essa, infatti, è spesso di esclusione o quando la clinica risulti particolarmente suggestiva. Non esistono attualmente markers o test specifici e la sintomatologia è spesso sfumata e difficilmente indirizzabile ad un unico quadro clinico.
L’obiettivo di questo studio è stato quello di effettuare un’analisi retrospettiva delle caratteristiche cliniche, sistemiche e oculari in una coorte di 7 pazienti affetti da sindrome di Cogan, sia essa in forma tipica che atipica giunti alla nostra attenzione tra marzo 2012 e febbraio 2023.
Abbiamo valutato l’età del paziente all’esordio della malattia, Il sesso, il periodo di osservazione, le manifestazioni cliniche oculari, otologiche e sistemiche, l’intervallo medio tra le varie manifestazioni, gli indici di flogosi, gli esami strumentali eseguiti dai pazienti, il numero di riacutizzazioni (per valutare l’efficacia terapeutica e il controllo di malattia), la terapia sistemica e/o locale, la terapia chirurgica (ad esempio l’applicazione di impianto cocleare, interventi cardiochirurgici o chirurgia vascolare).
La raccolta dati è stata eseguita con l'ausilio del Software Excel 2016 (Versione 2304). I dati descrittivi sono stati presentati come valori medi e relative deviazioni standard.
Considerate le difficoltà nella diagnosi e la variabilità delle manifestazioni cliniche è facilmente intuibile che anche il trattamento rappresenta una vera e propria sfida per lo specialista. Attualmente, infatti, per la sindrome di Cogan non è stato ancora trovato un regime terapeutico standard o un farmaco specifico. Le opzioni di trattamento comprendono farmaci immunosoppressori come corticosteroidi, immunomodulatori e farmaci biologici, che mirano a sopprimere la risposta autoimmune e quindi a controllare il processo fisiopatologico di base.
Abbiamo revisionato le cartelle cliniche di 7 pazienti, di cui 4 femmine e 3 maschi, con diagnosi confermata o sospetta di sindrome di Cogan, seguiti nel periodo compreso tra marzo 2012 e febbraio 2023 per una media di osservazione di 40,4 ± 22,5 mesi; l’età media dei soggetti all’esordio della malattia è di 44,7 ± 20,5 anni (min: 22; max: 74).
In base all’analisi dei dati, abbiamo classificato come tipico un solo caso clinico, quattro come variante atipica e gli ultimi due hanno, ad oggi, solo una diagnosi sospetta.
Per ognuno dei pazienti selezionati sono state eseguite numerose visite specialistiche finalizzate all’inquadramento generale e all’esecuzione di una diagnosi.
Tutti i pazienti hanno presentato all’esordio almeno un impegno otologico od oculare: due di loro hanno sviluppato contemporaneamente deficit visivi e uditivi, tre hanno avuto inizialmente impegno otologico e a distanza di tempo variabile (1 mese, 7 mesi e 1 anno) anche sintomi visivi.
In fase attiva di malattia abbiamo registrato anche valori di VES, PCR e fibrinogeno costantemente sopra i valori normali di riferimento, così come anche la presenza di alterazioni alle indagini strumentali nelle sedi di infiammazione (ipersegnale alla RM, fibrosi o stenosi alla TC e iperaccumulo di tracciante alla PET/TC).
Tutti i pazienti al momento del ricovero presentavano una malattia in fase acuta e sei di loro sono stati trattati con Metilprednisolone ad alte dosi per via endovenosa, ovvero da 250 mg a 1 g/die per 3 giorni, poi progressivamente scalata fino a 4mg/die. In tutti loro, questo primo approccio ha avuto un iniziale beneficio. Nonostante questo, il solo steroide non ha garantito un buon controllo di malattia a lungo termine, ad eccezione di un solo paziente in cui si è visto che il Metilprednisolone 4 mg/die aveva permesso la stabilizzazione.
Per questa ragione, la tendenza è quella di associare ai cortisonici (usati in tutti i pazienti) i sDMARDs e/o i farmaci biologici: nella nostra casistica due dei sette pazienti sono stati trattati con la combinazione steroide (Prednisone 6,25 mg/die e Metilprednisolone 4 mg/die) e Azatioprina (50 mg/bid), di questi solo uno ha ottenuto un controllo di malattia con questo regime terapeutico; infatti, al secondo è stato aggiunto anche il Filgotinib 200mg/die; altri immunomodulanti impiegati sono stati: il Metotrexato (15 mg/settimana) impiegato in tre pazienti e solo in uno di loro ha dato beneficio a lungo termine in associazione al Metilprednisolone (4 mg/die); la Ciclofosfamide (a dosaggio variabile), usata anch’essa in tre pazienti (di cui due con il Metotrexato); infine la ciclosporina (200 mg/die) e il Micofenolato mofetile (250 mg/bid fino ad un massimo di 500 mg/bid) sono stati usati rispettivamente solo in uno e in due pazienti con scarsi benefici.
Per quanto riguarda l’uso dei farmaci biologici solo due pazienti non ne hanno fatto uso (uno di loro è il caso con la variante tipica), negli altri cinque pazienti sono stati usati il Tocilizumab, il Filgotinib, il Tofacitinib e l'Infliximab.
In particolare, l’Infliximab, usato sempre come primo farmaco biologico, è stato impiegato in tre di questi cinque, ottenendo buoni risultati solo in uno. Il Tofacitinib (da 5 a 15mg/die) è stato usato solo in due pazienti con scarsi risultati. Il Filgotinib è stato usato in due pazienti ma con ottimi risultati costituendo, in entrambi i casi, un pilastro nel controllo della sintomatologia in associazione allo steroide, in un caso, e in combinazione a steroide e Azatioprina nell’altro. Infine, il Tocilizumab è stato sicuramente quello più usato, seppur con risultati contrastanti: quattro dei cinque pazienti sottoposti a terapia biologica ha assunto questo farmaco, ma solo nella metà dei casi hanno avuto reali benefici; infatti, negli altri due si sono presentate ulteriori riacutizzazioni.
Per aumentare il controllo delle manifestazioni oculari infiammatorie dei nostri pazienti (cheratite interstiziale, episclerite, congiuntivite ed iperemia congiuntivale) si è associata la terapia locale con steroide, con buoni risultati.
Dall’analisi retrospettiva della nostra casistica sembra che la target therapy giochi un ruolo chiave soprattutto nei pazienti più gravi e con interessamento multiorgano: ben 5 dei nostri 7 pazienti (il 71,4%) hanno avuto bisogno dei farmaci biologici per ottenere un controllo di malattia più efficace e duraturo e questo è testimoniato anche dall’andamento delle riacutizzazioni in relazione alla tipologia di trattamento: sei dei nostri pazienti hanno assunto, per un arco temporale medio di 10,3 ± 6,4 mesi, solo steroidi per trattare la patologia con una media di 2,8 ± 1,7 riacutizzazioni; cinque hanno assunto la combinazione steroide + sDMARDs per un periodo medio di 17,6 ± 12,3 mesi con una media di 1,0 ± 0,7 riacutizzazioni; quattro hanno assunto l’associazione steroide + farmaco biologico per 10,8 ± 9,6 mesi con 0,8 ± 1,0 riacutizzazioni; infine, solo tre pazienti si sono sottoposti alle triplici associazioni ottenendo una media di 2,3 ± 0,6 riacutizzazioni per un periodo medio di 30,3 ± 17,9 mesi di trattamento.
Sembrerebbe, quindi, che le associazioni steroide + sDMARDs e steroide + farmaco biologico, a parità di intervallo di trattamento, garantiscano una maggiore protezione dalle riacutizzazioni.
La sindrome di Cogan è una rara malattia autoimmune che può portare a disabilità visiva, sordità e morte. La patogenesi è ancora sconosciuta e la diagnosi è una sfida. Ad oggi, in assenza di studi controllati e a causa della rarità della malattia, non esistono raccomandazioni terapeutiche definitive.
Nonostante ciò, i corticosteroidi costituiscono, al momento, la prima linea di trattamento, ma gli agenti biologici possono rappresentare una terapia aggiuntiva nei casi complicati e non responsivi allo scopo di ottenere un miglior controllo di malattia.
Parole chiave: sindrome di Cogan, cheratite interstiziale, ipoacusia neurosensoriale, vasculite, target therapy.
File
Nome file | Dimensione |
---|---|
Tesi non consultabile. |