Tesi etd-05182015-154755 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
FUSARO, ROSSELLA
URN
etd-05182015-154755
Titolo
Derivati carbossilici a nucleo pirazolo (1,5-a) pirimidinico: una nuova classe di inibitori differenziali dell'enzima aldoso reduttasi
Dipartimento
FARMACIA
Corso di studi
CHIMICA E TECNOLOGIA FARMACEUTICHE
Relatori
relatore Prof. La Motta, Concettina
relatore Sartini, Stefania
relatore Dott. Coviello, Vito
relatore Sartini, Stefania
relatore Dott. Coviello, Vito
Parole chiave
- aldoso reduttasi
- inibitori dell'aldoso reduttasi
Data inizio appello
10/06/2015
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
10/06/2085
Riassunto
Il diabete mellito (DM) è una malattia cronica causata da un disordine metabolico ad eziologia multipla caratterizzato da un’ iperglicemia cronica con disturbi del metabolismo dei carboidrati, lipidi e proteine, conseguente ad un’alterazione della secrezione o dell’azione dell’insulina.
La percentuale di popolazione mondiale affetta da tale patologia è pari al 5% e l'OMS stima che nel 2030 le persone malate saranno più di 360 milioni. La prolungata iperglicemia e l’insulinoresistenza espongono il paziente diabetico all’insorgenza di complicanze a lungo termine quali retinopatia, cataratta, neuropatia, nefropatia, aterosclerosi accelerata e malattie cardiovascolari che costituiscono la principale causa di morbilità e mortalità nella popolazione diabetica. È necessaria, pertanto, una terapia che mantenga la glicemia a livelli costanti in modo da evitare fluttuazioni e picchi iperglicemici. La terapia antidiabetica, però, non è sufficiente da sola a contrastare l’evolversi delle complicanze del DM. È stato dimostrato che i danni tissutali indotti dall’iperglicemia sono mediati da diversi meccanismi intracellulari: l’aumentato flusso di glucosio nella cosiddetta via dei polioli gioca un ruolo determinante nella comparsa delle complicanze del diabete.
L’aldoso reduttasi (ALR2) è il primo enzima della via dei polioli e riduce il glucosio a sorbitolo con una reazione NADPH dipendente. Segue, poi, l’ossidazione NAD+-dipendente del sorbitolo a fruttosio ad opera della sorbitolo deidrogenasi.
L’ALR2, in condizioni fisiologiche, è responsabile del metabolismo del solo 3% del glucosio totale, per via della bassa affinità dell’enzima per il substrato stesso. L’enzima è in grado di catalizzare la riduzione NADPH-dipendente di un’ampia varietà di composti carbonilici aromatici ed alifatici, manifestando un’affinità maggiore verso substrati lipofili piuttosto che idrofili. Considerate tali premesse, la funzione fisiologica principale dell’enzima risulta essere la degradazione delle aldeidi tossiche originate dalla perossidazione lipidica come il 4-idrossi-trans-2-nonenale (HNE) e il corrispondente addotto glutationico (GS-HNE). È in condizioni patologiche, invece, che l’enzima converte l’eccesso di glucosio intracellulare in sorbitolo originando una cascata di eventi ossidativi culminanti in danni tissutali e vascolari.1
Sono stati sintetizzati numerosi composti volti ad inibire l’attività catalitica dell’enzima, molti dei quali si sono mostrati attivi in studi preclinici e clinici. Ciò nonostante il loro sviluppo è stato ostacolato da una bassa efficacia in vivo e dalla comparsa di effetti collaterali ascrivibili alla compromissione dell’attività detossificante dell’enzima stesso: tra gli inibitori dell’ALR2 (ARIs) figurano il sorbinil, l’Imirestat, il tolrestat introdotto sul mercato e poi ritirato perché epatotossico. Epalrestat è l’unico ad essere utilizzato attualmente in terapia nei Paesi asiatici.
Il passaggio cruciale nello sviluppo di questi composti risiede nell’individuazione di molecole che siano in grado di inibire efficacemente e selettivamente la riduzione del glucosio da parte dell’ALR2 che, pertanto, manterrebbe pressoché inalterata l’attività fisiologica detossificante.2
Nel mio lavoro di tesi mi sono occupata della sintesi di composti che si sono rivelati capaci di inibire la riduzione del glucosio ALR2 catalizzata molto più efficacemente della riduzione dell’HNE, tanto da considerarli ipotetici “lead compounds” ad attività differenziale nei confronti di ALR2 (ARDIs).
La percentuale di popolazione mondiale affetta da tale patologia è pari al 5% e l'OMS stima che nel 2030 le persone malate saranno più di 360 milioni. La prolungata iperglicemia e l’insulinoresistenza espongono il paziente diabetico all’insorgenza di complicanze a lungo termine quali retinopatia, cataratta, neuropatia, nefropatia, aterosclerosi accelerata e malattie cardiovascolari che costituiscono la principale causa di morbilità e mortalità nella popolazione diabetica. È necessaria, pertanto, una terapia che mantenga la glicemia a livelli costanti in modo da evitare fluttuazioni e picchi iperglicemici. La terapia antidiabetica, però, non è sufficiente da sola a contrastare l’evolversi delle complicanze del DM. È stato dimostrato che i danni tissutali indotti dall’iperglicemia sono mediati da diversi meccanismi intracellulari: l’aumentato flusso di glucosio nella cosiddetta via dei polioli gioca un ruolo determinante nella comparsa delle complicanze del diabete.
L’aldoso reduttasi (ALR2) è il primo enzima della via dei polioli e riduce il glucosio a sorbitolo con una reazione NADPH dipendente. Segue, poi, l’ossidazione NAD+-dipendente del sorbitolo a fruttosio ad opera della sorbitolo deidrogenasi.
L’ALR2, in condizioni fisiologiche, è responsabile del metabolismo del solo 3% del glucosio totale, per via della bassa affinità dell’enzima per il substrato stesso. L’enzima è in grado di catalizzare la riduzione NADPH-dipendente di un’ampia varietà di composti carbonilici aromatici ed alifatici, manifestando un’affinità maggiore verso substrati lipofili piuttosto che idrofili. Considerate tali premesse, la funzione fisiologica principale dell’enzima risulta essere la degradazione delle aldeidi tossiche originate dalla perossidazione lipidica come il 4-idrossi-trans-2-nonenale (HNE) e il corrispondente addotto glutationico (GS-HNE). È in condizioni patologiche, invece, che l’enzima converte l’eccesso di glucosio intracellulare in sorbitolo originando una cascata di eventi ossidativi culminanti in danni tissutali e vascolari.1
Sono stati sintetizzati numerosi composti volti ad inibire l’attività catalitica dell’enzima, molti dei quali si sono mostrati attivi in studi preclinici e clinici. Ciò nonostante il loro sviluppo è stato ostacolato da una bassa efficacia in vivo e dalla comparsa di effetti collaterali ascrivibili alla compromissione dell’attività detossificante dell’enzima stesso: tra gli inibitori dell’ALR2 (ARIs) figurano il sorbinil, l’Imirestat, il tolrestat introdotto sul mercato e poi ritirato perché epatotossico. Epalrestat è l’unico ad essere utilizzato attualmente in terapia nei Paesi asiatici.
Il passaggio cruciale nello sviluppo di questi composti risiede nell’individuazione di molecole che siano in grado di inibire efficacemente e selettivamente la riduzione del glucosio da parte dell’ALR2 che, pertanto, manterrebbe pressoché inalterata l’attività fisiologica detossificante.2
Nel mio lavoro di tesi mi sono occupata della sintesi di composti che si sono rivelati capaci di inibire la riduzione del glucosio ALR2 catalizzata molto più efficacemente della riduzione dell’HNE, tanto da considerarli ipotetici “lead compounds” ad attività differenziale nei confronti di ALR2 (ARDIs).
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