Tesi etd-05162012-231659 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea vecchio ordinamento
Autore
CRISTIANO, STEFANO
URN
etd-05162012-231659
Titolo
Socialismo, rivoluzione e democrazia.
Cronaca di un’esperienza editoriale negli Stati Uniti degli anni 70:
Socialist Revolution (1970-1977)
Dipartimento
LETTERE E FILOSOFIA
Corso di studi
STORIA
Relatori
relatore Prof. Testi, Arnaldo
correlatore Prof. Andreucci, Franco
correlatore Prof. Andreucci, Franco
Parole chiave
- capitalismo
- capitalist
- communist
- comunista
- left
- radical
- review
- rivista
- sinistra
- Weinstein
Data inizio appello
04/06/2012
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
04/06/2052
Riassunto
Introduzione
Nel Marzo del 1970 un’esplosione nel Greenwich Village di New York fece crollare un edificio arrivando a frantumare le finestre fino al sesto piano del palazzo dall’altro lato della strada.
Nel 1970, in quel contesto, gli editori di Socialist Revolution si posero l’obiettivo rilanciare un’organizzazione politica socialista e rivoluzionaria negli Stati Uniti d’America.
Prologo: Studies on the Left
La rivista era figlia di un’altra esperienza editoriale, Studies on the Left, nata grazie ad alcuni giovani laureati alla University of Wisconsin, molti dei quali di orientamento socialista o ex militanti del Partito Comunista o della sua organizzazione giovanile, e altri diventati marxisti o radical proprio nel corso della vita della rivista. Studies on the Left quindi nacque con l’obiettivo di dare una risposta intellettuale e politica alla crisi della sinistra marxista americana.
Questa esperienza è importante per comprendere l’evoluzione della nuova sinistra americana, dalla SDS a Weatherman, negli anni precedenti alla nascita di Socialist Revolution.
Capitolo 1
L'editoriale: il manifesto di un progetto ambizioso
Il titolo del manifesto fornisce già qualche indicazione sugli obiettivi della rivista: The Making of a Socialist Consciousness. L’incapacità da parte della sinistra tradizionale nell’opporsi con efficacia ad una realtà ormai rivelata dalla escalation del conflitto in Vietnam, rappresentò uno degli elementi centrali nell’analisi della redazione di Socialist Revolution. L’obiettivo centrale della rivista fu quello di lavorare alla ricomposizione di una nuova classe operaia divisa ed alienata, all’interno di una strategia e di una prospettiva socialista: il movimento senza l'organizzazione politica può portare all'anarchismo, al ribellismo o anche alla difesa corporativa di piccoli interessi particolari, l'organizzazione politica, il partito senza il movimento e senza il rapporto democratico con le istanze popolari può condurre all'autoreferenzialità, al moderatismo, all'istituzionalismo.
Per la redazione movimenti e organizzazioni liberal saranno inevitabilmente destinati alla sconfitta nella misura in cui, anziché sviluppare una critica al sistema sociale politico ed economico americano, limitassero le proprie rivendicazioni in una logica tutta autoreferenziale e corporativa.
Sin dall’editoriale, e poi nello sviluppo del dibattito su Socialist Revolution, verrà avanzata la necessità di un’organizzazione politica che ponga al centro della propria prospettiva una trasformazione in senso socialista della società americana.
Capitolo 2
James Weinstein
James Weinstein è stato uno storico e saggista conosciuto per i suoi lavori sulla storia della sinistra americana con particolare riferimento alla vicenda politica del Socialist Party of America. Le prime esperienze politiche furono però all’interno del sindacato degli elettrici (International Brotherhood of Electrical Workers - AFL e poi International United Electrical Workers - CIO).
Weinstein periodizza in tre fasi distinte la vicenda politica della sinistra USA: la prima, che va dalla fine dell'Ottocento fino al 1917, nella quale si assiste all’affermarsi del Partito Socialista; la seconda, caratterizzata dalla sostanziale egemonia del Communist Party, dalla rivoluzione d'ottobre fino agli anni 50. La terza legata all’affermazione della nuova sinistra.
Dal suo lavoro traspare come l’esperienza del Partito Socialista, sia considerata la più interessante anche per le analogie, nel bene e nel male, con la situazione degli anni 70.
I primi del ‘900 furono proprio gli anni in cui avvenne un mutamento radicale del capitalismo americano. Gli anni che vanno dal 1929 al 1950 videro un progressivo rafforzamento del CPUSA sia sul piano politico che in termini di influenza all'interno delle strutture sindacali.
Il Partito Comunista degli USA nacque sull’onda della Rivoluzione d’Ottobre in Russia e, secondo Weinstein, anziché sviluppare un’autonoma prospettiva politica, si organizzò sostanzialmente come una sezione distaccata del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica).
I comunisti, preziosi alleati nel contribuire a superare senza grandi conflitti uno dei più profondi periodi di crisi del capitalismo statunitense, furono immediatamente ricacciati in un angolo e perseguitati negli anni del maccartismo e della caccia alle streghe.
La cosiddetta nuova sinistra compare alla fine degli anni ’50 e le due organizzazioni più rappresentative subito dopo. Nel 1960 nasce lo SNCC (Student Nonviolent Coordinating Committee) e nel 1962, con l'incontro di Port Huron, la SDS (Students for a Democratic Society). La matrice comune è una critica radicale sia alla cultura della guerra fredda, che ai compromessi sviluppati negli anni dalla sinistra tradizionale.
Weinstein approfondisce con particolare attenzione la storia della SDS. In questo contesto Weinstein sostiene che il successo della marcia di Washington dell’Aprile del 1965 fortemente voluta dall’SDS, e più o meno apertamente boicottata sia dalle organizzazioni radical che da quelle vicine al Partito Comunista, rappresentò un passaggio determinante nell’acquisizione da parte di quel movimento, di autorevolezza ed autonomia rispetto a quelle aree politiche ritenute ancora interne alle logiche ed al clima della guerra fredda.
Sebbene in termini innovativi quindi, per Weinstein è fondamentale la costruzione di un soggetto politico organizzato. Nella Russia del 1917 si rese necessario che ad assumere il controllo del paese fosse un’avanguardia capeggiata da rivoluzionari di professione e da una élite di intellettuali, alla guida dei lavoratori delle industrie e di un esercito stanco della carneficina rappresentata dalla I guerra mondiale.
La condizione degli USA negli anni 70 era evidentemente diversa sia dal punto di vista economic che da quello sociale e politico. Quello della costruzione di una organizzazione socialista, intorno alla rivista, rimase un problema irrisolto e finì col rappresentare una delle cause principali che condussero alla fine della collaborazione di Weinstein con la rivista che aveva contribuito a fondare.
L’inizio della fine del rapporto fra Weinstein e Socialist Revolution è databile al periodo nel quale egli si avvicinò, divenendone anche uno dei massimi dirigenti, al New American Movement (NAM).
Nel momento in cui Socialist Revolution cesserà di chiedersi How to Put Socialism on the Agenda diventando una palestra delle idee nella quale il confronto culturale prendeva definitivamente il posto della costruzione di una organizzazione politica socialista, anche Weinstein ne prenderà atto percorrendo altre strade. Così pochi anni dopo Socialist Revolution cambierà nome seguendo un nuovo percorso all’interno della sinistra americana e chiudendo la prima fase della propria esistenza.
Capitolo 3
Analisi economica e sociale degli USA
Come è emerso fino ad ora la redazione ha prestato una grande attenzione alla necessità di sviluppare un’analisi aggiornata della condizione economica e sociale degli USA e della struttura della sua classe operaia, con l’obiettivo di costruire un’organizzazione socialista in quel paese senza rischiare di risultare subalterni ad altre esperienze (l’URSS o la Cina) storicamente determinate.
In The Fiscal Crisis of the State James O’Connor affronta il nodo della ricostruzione di una coscienza socialista a partire da un aspetto particolare del corporate liberalism, ovvero le modalità attraverso cui la parte del bilancio destinato a spese sociali, può diventare elemento di conflitto fra diversi settori della società che invece avrebbero dovuto, in una prospettiva socialista, costruire un’alleanza contro il sistema capitalistico. Si evidenzia in questa prima parte della vita di Socialist Revolution, una critica alle tendenze economiciste del marxismo tradizionale.
Come riuscire quindi a contrastare efficacemente l’egemonia culturale della borghesia ritenuta dagli autori così radicata e pervasiva negli USA? Quali gli errori della sinistra? Uno dei primi contributi in tal senso è l’articolo di John Judis, The Triumph of Bourgeois Hegemony in the Face of Nothing that Challenges It nel quale l’autore riflette sui motive per i quali un movimento così vitale quale quello della Nuova Sinistra, non sia stato capace di contrastare efficacemente l’egemonia capitalistica.
Capitolo 4
La classe operaia
Dalle profonde trasformazioni nella struttura della classe operaia americana, gli autori prendono le mosse per rilanciare la necessità di una analisi rinnovata di quel soggetto sociale, il proletariato appunto, decisivo per la costruzione di un nuovo partito socialista sottraendolo a quella che viene considerata una visione ormai astorica e arretrata.
Forte di una serie di dati statistici, Herbert Gintis sottolinea quanto si sia modificato il mondo del lavoro dalla fine dell’800 alla metà degli anni 60.
Andre Gorz parte criticando alla radice la possibilità che si sviluppi una politica socialista basata sui lavoratori dell’industria e incardinata all’interno del movimento sindacale americano.
Robert B. Carson ritiene che il capitale necessiti di creare nuovi sbocchi per produrre beni di largo consumo o immateriali, e devono essere introdotte politiche sociali più estese per prevenire un possibile aumento della disoccupazione.
La questione della ricostruzione di un soggetto di classe, propedeutica al rilancio di una prospettiva rivoluzionaria, rappresenta sin dall’atto di nascita di Socialist Revolution, uno dei nodi fondamentali per la redazione insieme alla necessità di ricostruire una autonoma organizzazione socialista.
Capitolo 5
Scenari internazionali: uno sguardo sull’Italia
Come abbiamo già visto un altro filone, strettamente collegato al dibattito sulla condizione sociale ed economica degli Stati Uniti degli anni 60 e 70, all’analisi sui nuovi movimenti e sull’evoluzione della classe operaia, attraversò le pagine di Socialist Revolution nel corso della sua storia editoriale. Parte consistente del dibattito si orientò verso l’approfondimento di temi quali il rapporto fra socialismo e rivoluzione negli USA e a livello internazionale, la costruzione di un autonomo soggetto politico socialista e la sua relazione con il Partito Democratico, nonché l’attualità, più o meno pronunciata, della teoria economica marxiana in un paese a capitalismo avanzato.
Carl Boggs scrive già sul numero 9 della rivista un articolo sulla sinistra italiana nei primissimi anni 70. L’articolo sviluppa un’analisi sul PCI e sulla galassia dei movimenti, delle organizzazioni politiche extraparlamentari e dei soggetti sociali che caratterizzavano la Nuova sinistra, con particolare attenzione verso l’esperienza de Il Manifesto.
L’attenzione verso l’esperienza della sinistra e dei comunisti in Italia è confermata da una serie di articoli che compaiono in alcuni degli ultimi numeri della rivista. David Plotke ritiene che le radici del compromesso storico siano da riscontrare proprio nella volontà di costruire un’alleanza più ampia con settori del mondo cattolico al fine di eliminare la corruzione, ridurre le disuguaglianze rimuovere gli elementi pro fascisti dallo stato, e avviare politiche per la piena occupazione. Secondo Plotke però il carattere di questa transizione al socialismo appare essere più l’espressione di un desiderio che una attenta valutazione dei rapporti di forza. Anche i movimenti ed i partiti di estrema sinistra non sembrano però in grado, agli occhi dell’autore, di rappresentare una credibile alternativa politica al PCI.
Questo approfondimento sulla sinistra italiana, ed in particolare sul PCI, si conclude nell’ultimo numero, prima del cambio di nome, con un’intervista di Joanne Barkan a Lucio Magri.
Magri contesta l’ipotesi, caldeggiata dal PCI, di sviluppare politiche socialdemocratiche in Italia e lo fa proponendo un’analisi storico-politica sia della fine dell’800 ed i primi del 900, sia del periodo immediatamente successivo al secondo conflitto mondiale.
Secondo Magri però la storia, la caratteristica di massa di quell’organizzazione, l’altissimo livello di consapevolezza e partecipazione della classe lavoratrice a garantire, anche al di la della volontà dei singoli dirigenti, la tenuta del PCI sul terreno dell’anticapitalismo e della prospettiva socialista.
Capitolo 6
Rivoluzione e democrazia
Mi sono dilungato sull’analisi di questa intervista sia perché inserita, ritengo significativamente, nell’ultimo numero della rivista prima del cambio del nome, sia perché affronta temi che, nel corso degli anni, Socialist Revolution ha più volte sviluppato, ovvero quello dell’approfondimento teorico e della costruzione di una strategia per la rivoluzione socialista in occidente.
Boyte e Ackerman propongono il loro punto di vista nell’articolo Revolution and Democracy proponendo l’attualità dell’impianto leninista nell’organizzazione di un nuovo soggetto politico socialista negli USA. Judis prima e il NAM poi, al contrario, ritengono che il modello organizzativo proposto in Revolution and Democracy rischi di essere un ostacolo alla nascita ed allo svilupparsi di un movimento rivoluzionario socialista e di massa.
Ackerman e Boyte rispondono sia al NAM che a Judis affermando che il compito fondamentale di un nuovo partito socialista è quello di creare un nuovo movimento socialista di massa all’interno della classe lavoratrice che proponga una visione del futuro alternativa al capitalismo in ogni ganglio della società.
Judis interviene nuovamente scrivendo che non si debba pensare ad un partito socialista che sia a volte un gruppo di pressione verso l’ala sinistra del Partito Democratico, e a volte una forza morale che proclama la necessità del socialismo, a fronte di una politica corrotta che genera infelicità nei cittadini. L’auspicio è quello di costruire un partito socialista che, senza disconoscere nessuna delle attività che già oggi i socialisti stanno sviluppando in termini di mobilitazioni e movimenti sociali, lavori alla possibilità di concorrere alla conquista del potere attraverso la competizione elettorale.
Sempre sul dibattito relativo al modello di partito necessario per un progetto rivoluzionario, Szymanski sostiene che il centralismo democratico grazie al quale ad un forte dibattito interno corrisponde, una volta assunta la decisione, il rispetto assoluto del volere della maggioranza, risponderebbe meglio di altri modelli alla necessità di coniugare partecipazione e disciplina necessari per un partito rivoluzionario.
Capitolo 7
I socialisti, le elezioni ed il Partito Democratico
In un articolo sul numero 29 di Socialist Revolution, sempre John Judis, a partire dalla campagna per le primarie di Tom Hayden, approfondisce proprio il tema del sistema elettorale, del ruolo delle istituzioni e, all’interno di esse, di un movimento socialista, a partire dalla analisi sulle forze in campo. Judis conclude quindi collegando questa riflessione al nodo più generale del rapporto fra il movimento socialista, le elezioni ed il Partito Democratico.
G. William Domhoff apre il numero con un saggio intitolato Why Socialists Should be Democrats. La tesi che l’autore propone è quella secondo la quale, viste le condizioni politiche e sociali degli USA, l’egemonia culturale esercitata dal capitalismo, e la necessitò quindi di conquistare anche spazi elettorali per rendere credibile un’alternativa a quel modello, visto tutto ciò la tattica migliore per i socialisti americani sarebbe quella di presentarsi alle primarie per le elezioni presidenziali del Partito Democratico, argomentando la sua tesi a partire dall’analisi del sistema elettorale.
David Plotke contesta tale ipotesi negando la possibilità che possa esistere un’autonoma organizzazione socialista all’interno del Partito Democratico, ritenuta una illusione destinata ad infrangersi contro la materialità dei fatti, ovvero che la marginalità alla quale sarebbero costretti i socialisti all’interno del Democratic Party rischierebbe di portare progressivamente alla dissoluzione di un’organizzazione socialista dentro al soggetto più grande.
Conclusioni
Nel 1978, a otto anni dalla sua nascita, Socialist Revolution cambia il proprio nome per diventare Socialist Review. L’evoluzione della rivista non finirà qui e alla fine del 2002 scompare definitivamente qualsiasi riferimento al socialismo e diventa Radical Society, periodico tutt’oggi esistente.
Alla redazione risultò chiaro che l’obiettivo strategico della rivista, l’affermazione negli USA di una prospettiva socialista e democratica, non sarebbe stato possibile, e questa consapevolezza trovò una sua traduzione negli ultimi 10 numeri della rivista a partire dal 1975-76.
La redazione individua nel dibattito fra Gordon e Weinstein, sul n°27 della rivista, relativo al rapporto fra riforme e trasformazione sociale, la prima bozza di una nuova strategia editoriale che porterà al cambio del nome. E’ però interessante vedere quanto la vita ed il dibattito della rivista, siano stati condizionati dall’evoluzione della situazione politica e culturale nella quale essa ha agito.
Probabilmente oggi Werner Sombart intitolerebbe il suo libro “Perché nel mondo non c’è il socialismo?” o addirittura “Perché dovrebbe esserci il socialismo?”. La profondità di una sconfitta storica, plasticamente testimoniata dagli stravolgimenti del 1989, le difficoltà oggettive nel costruire un credibile progetto alternativo a quello capitalistico, l’inadeguatezza delle proposte e dei dirigenti della sinistra marxista, possono aiutarci a capire perché, ancora oggi, il dibattito all’interno delle organizzazioni e dei movimenti socialisti continui ad essere attraversato, senza trovare evidentemente soluzioni convincenti, da quei temi e da quelle riflessioni, alle quali in modo forse un po’ naïve, come scrive Zaretsky, Socialist Revolution tentò di dare una risposta.
Nel Marzo del 1970 un’esplosione nel Greenwich Village di New York fece crollare un edificio arrivando a frantumare le finestre fino al sesto piano del palazzo dall’altro lato della strada.
Nel 1970, in quel contesto, gli editori di Socialist Revolution si posero l’obiettivo rilanciare un’organizzazione politica socialista e rivoluzionaria negli Stati Uniti d’America.
Prologo: Studies on the Left
La rivista era figlia di un’altra esperienza editoriale, Studies on the Left, nata grazie ad alcuni giovani laureati alla University of Wisconsin, molti dei quali di orientamento socialista o ex militanti del Partito Comunista o della sua organizzazione giovanile, e altri diventati marxisti o radical proprio nel corso della vita della rivista. Studies on the Left quindi nacque con l’obiettivo di dare una risposta intellettuale e politica alla crisi della sinistra marxista americana.
Questa esperienza è importante per comprendere l’evoluzione della nuova sinistra americana, dalla SDS a Weatherman, negli anni precedenti alla nascita di Socialist Revolution.
Capitolo 1
L'editoriale: il manifesto di un progetto ambizioso
Il titolo del manifesto fornisce già qualche indicazione sugli obiettivi della rivista: The Making of a Socialist Consciousness. L’incapacità da parte della sinistra tradizionale nell’opporsi con efficacia ad una realtà ormai rivelata dalla escalation del conflitto in Vietnam, rappresentò uno degli elementi centrali nell’analisi della redazione di Socialist Revolution. L’obiettivo centrale della rivista fu quello di lavorare alla ricomposizione di una nuova classe operaia divisa ed alienata, all’interno di una strategia e di una prospettiva socialista: il movimento senza l'organizzazione politica può portare all'anarchismo, al ribellismo o anche alla difesa corporativa di piccoli interessi particolari, l'organizzazione politica, il partito senza il movimento e senza il rapporto democratico con le istanze popolari può condurre all'autoreferenzialità, al moderatismo, all'istituzionalismo.
Per la redazione movimenti e organizzazioni liberal saranno inevitabilmente destinati alla sconfitta nella misura in cui, anziché sviluppare una critica al sistema sociale politico ed economico americano, limitassero le proprie rivendicazioni in una logica tutta autoreferenziale e corporativa.
Sin dall’editoriale, e poi nello sviluppo del dibattito su Socialist Revolution, verrà avanzata la necessità di un’organizzazione politica che ponga al centro della propria prospettiva una trasformazione in senso socialista della società americana.
Capitolo 2
James Weinstein
James Weinstein è stato uno storico e saggista conosciuto per i suoi lavori sulla storia della sinistra americana con particolare riferimento alla vicenda politica del Socialist Party of America. Le prime esperienze politiche furono però all’interno del sindacato degli elettrici (International Brotherhood of Electrical Workers - AFL e poi International United Electrical Workers - CIO).
Weinstein periodizza in tre fasi distinte la vicenda politica della sinistra USA: la prima, che va dalla fine dell'Ottocento fino al 1917, nella quale si assiste all’affermarsi del Partito Socialista; la seconda, caratterizzata dalla sostanziale egemonia del Communist Party, dalla rivoluzione d'ottobre fino agli anni 50. La terza legata all’affermazione della nuova sinistra.
Dal suo lavoro traspare come l’esperienza del Partito Socialista, sia considerata la più interessante anche per le analogie, nel bene e nel male, con la situazione degli anni 70.
I primi del ‘900 furono proprio gli anni in cui avvenne un mutamento radicale del capitalismo americano. Gli anni che vanno dal 1929 al 1950 videro un progressivo rafforzamento del CPUSA sia sul piano politico che in termini di influenza all'interno delle strutture sindacali.
Il Partito Comunista degli USA nacque sull’onda della Rivoluzione d’Ottobre in Russia e, secondo Weinstein, anziché sviluppare un’autonoma prospettiva politica, si organizzò sostanzialmente come una sezione distaccata del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica).
I comunisti, preziosi alleati nel contribuire a superare senza grandi conflitti uno dei più profondi periodi di crisi del capitalismo statunitense, furono immediatamente ricacciati in un angolo e perseguitati negli anni del maccartismo e della caccia alle streghe.
La cosiddetta nuova sinistra compare alla fine degli anni ’50 e le due organizzazioni più rappresentative subito dopo. Nel 1960 nasce lo SNCC (Student Nonviolent Coordinating Committee) e nel 1962, con l'incontro di Port Huron, la SDS (Students for a Democratic Society). La matrice comune è una critica radicale sia alla cultura della guerra fredda, che ai compromessi sviluppati negli anni dalla sinistra tradizionale.
Weinstein approfondisce con particolare attenzione la storia della SDS. In questo contesto Weinstein sostiene che il successo della marcia di Washington dell’Aprile del 1965 fortemente voluta dall’SDS, e più o meno apertamente boicottata sia dalle organizzazioni radical che da quelle vicine al Partito Comunista, rappresentò un passaggio determinante nell’acquisizione da parte di quel movimento, di autorevolezza ed autonomia rispetto a quelle aree politiche ritenute ancora interne alle logiche ed al clima della guerra fredda.
Sebbene in termini innovativi quindi, per Weinstein è fondamentale la costruzione di un soggetto politico organizzato. Nella Russia del 1917 si rese necessario che ad assumere il controllo del paese fosse un’avanguardia capeggiata da rivoluzionari di professione e da una élite di intellettuali, alla guida dei lavoratori delle industrie e di un esercito stanco della carneficina rappresentata dalla I guerra mondiale.
La condizione degli USA negli anni 70 era evidentemente diversa sia dal punto di vista economic che da quello sociale e politico. Quello della costruzione di una organizzazione socialista, intorno alla rivista, rimase un problema irrisolto e finì col rappresentare una delle cause principali che condussero alla fine della collaborazione di Weinstein con la rivista che aveva contribuito a fondare.
L’inizio della fine del rapporto fra Weinstein e Socialist Revolution è databile al periodo nel quale egli si avvicinò, divenendone anche uno dei massimi dirigenti, al New American Movement (NAM).
Nel momento in cui Socialist Revolution cesserà di chiedersi How to Put Socialism on the Agenda diventando una palestra delle idee nella quale il confronto culturale prendeva definitivamente il posto della costruzione di una organizzazione politica socialista, anche Weinstein ne prenderà atto percorrendo altre strade. Così pochi anni dopo Socialist Revolution cambierà nome seguendo un nuovo percorso all’interno della sinistra americana e chiudendo la prima fase della propria esistenza.
Capitolo 3
Analisi economica e sociale degli USA
Come è emerso fino ad ora la redazione ha prestato una grande attenzione alla necessità di sviluppare un’analisi aggiornata della condizione economica e sociale degli USA e della struttura della sua classe operaia, con l’obiettivo di costruire un’organizzazione socialista in quel paese senza rischiare di risultare subalterni ad altre esperienze (l’URSS o la Cina) storicamente determinate.
In The Fiscal Crisis of the State James O’Connor affronta il nodo della ricostruzione di una coscienza socialista a partire da un aspetto particolare del corporate liberalism, ovvero le modalità attraverso cui la parte del bilancio destinato a spese sociali, può diventare elemento di conflitto fra diversi settori della società che invece avrebbero dovuto, in una prospettiva socialista, costruire un’alleanza contro il sistema capitalistico. Si evidenzia in questa prima parte della vita di Socialist Revolution, una critica alle tendenze economiciste del marxismo tradizionale.
Come riuscire quindi a contrastare efficacemente l’egemonia culturale della borghesia ritenuta dagli autori così radicata e pervasiva negli USA? Quali gli errori della sinistra? Uno dei primi contributi in tal senso è l’articolo di John Judis, The Triumph of Bourgeois Hegemony in the Face of Nothing that Challenges It nel quale l’autore riflette sui motive per i quali un movimento così vitale quale quello della Nuova Sinistra, non sia stato capace di contrastare efficacemente l’egemonia capitalistica.
Capitolo 4
La classe operaia
Dalle profonde trasformazioni nella struttura della classe operaia americana, gli autori prendono le mosse per rilanciare la necessità di una analisi rinnovata di quel soggetto sociale, il proletariato appunto, decisivo per la costruzione di un nuovo partito socialista sottraendolo a quella che viene considerata una visione ormai astorica e arretrata.
Forte di una serie di dati statistici, Herbert Gintis sottolinea quanto si sia modificato il mondo del lavoro dalla fine dell’800 alla metà degli anni 60.
Andre Gorz parte criticando alla radice la possibilità che si sviluppi una politica socialista basata sui lavoratori dell’industria e incardinata all’interno del movimento sindacale americano.
Robert B. Carson ritiene che il capitale necessiti di creare nuovi sbocchi per produrre beni di largo consumo o immateriali, e devono essere introdotte politiche sociali più estese per prevenire un possibile aumento della disoccupazione.
La questione della ricostruzione di un soggetto di classe, propedeutica al rilancio di una prospettiva rivoluzionaria, rappresenta sin dall’atto di nascita di Socialist Revolution, uno dei nodi fondamentali per la redazione insieme alla necessità di ricostruire una autonoma organizzazione socialista.
Capitolo 5
Scenari internazionali: uno sguardo sull’Italia
Come abbiamo già visto un altro filone, strettamente collegato al dibattito sulla condizione sociale ed economica degli Stati Uniti degli anni 60 e 70, all’analisi sui nuovi movimenti e sull’evoluzione della classe operaia, attraversò le pagine di Socialist Revolution nel corso della sua storia editoriale. Parte consistente del dibattito si orientò verso l’approfondimento di temi quali il rapporto fra socialismo e rivoluzione negli USA e a livello internazionale, la costruzione di un autonomo soggetto politico socialista e la sua relazione con il Partito Democratico, nonché l’attualità, più o meno pronunciata, della teoria economica marxiana in un paese a capitalismo avanzato.
Carl Boggs scrive già sul numero 9 della rivista un articolo sulla sinistra italiana nei primissimi anni 70. L’articolo sviluppa un’analisi sul PCI e sulla galassia dei movimenti, delle organizzazioni politiche extraparlamentari e dei soggetti sociali che caratterizzavano la Nuova sinistra, con particolare attenzione verso l’esperienza de Il Manifesto.
L’attenzione verso l’esperienza della sinistra e dei comunisti in Italia è confermata da una serie di articoli che compaiono in alcuni degli ultimi numeri della rivista. David Plotke ritiene che le radici del compromesso storico siano da riscontrare proprio nella volontà di costruire un’alleanza più ampia con settori del mondo cattolico al fine di eliminare la corruzione, ridurre le disuguaglianze rimuovere gli elementi pro fascisti dallo stato, e avviare politiche per la piena occupazione. Secondo Plotke però il carattere di questa transizione al socialismo appare essere più l’espressione di un desiderio che una attenta valutazione dei rapporti di forza. Anche i movimenti ed i partiti di estrema sinistra non sembrano però in grado, agli occhi dell’autore, di rappresentare una credibile alternativa politica al PCI.
Questo approfondimento sulla sinistra italiana, ed in particolare sul PCI, si conclude nell’ultimo numero, prima del cambio di nome, con un’intervista di Joanne Barkan a Lucio Magri.
Magri contesta l’ipotesi, caldeggiata dal PCI, di sviluppare politiche socialdemocratiche in Italia e lo fa proponendo un’analisi storico-politica sia della fine dell’800 ed i primi del 900, sia del periodo immediatamente successivo al secondo conflitto mondiale.
Secondo Magri però la storia, la caratteristica di massa di quell’organizzazione, l’altissimo livello di consapevolezza e partecipazione della classe lavoratrice a garantire, anche al di la della volontà dei singoli dirigenti, la tenuta del PCI sul terreno dell’anticapitalismo e della prospettiva socialista.
Capitolo 6
Rivoluzione e democrazia
Mi sono dilungato sull’analisi di questa intervista sia perché inserita, ritengo significativamente, nell’ultimo numero della rivista prima del cambio del nome, sia perché affronta temi che, nel corso degli anni, Socialist Revolution ha più volte sviluppato, ovvero quello dell’approfondimento teorico e della costruzione di una strategia per la rivoluzione socialista in occidente.
Boyte e Ackerman propongono il loro punto di vista nell’articolo Revolution and Democracy proponendo l’attualità dell’impianto leninista nell’organizzazione di un nuovo soggetto politico socialista negli USA. Judis prima e il NAM poi, al contrario, ritengono che il modello organizzativo proposto in Revolution and Democracy rischi di essere un ostacolo alla nascita ed allo svilupparsi di un movimento rivoluzionario socialista e di massa.
Ackerman e Boyte rispondono sia al NAM che a Judis affermando che il compito fondamentale di un nuovo partito socialista è quello di creare un nuovo movimento socialista di massa all’interno della classe lavoratrice che proponga una visione del futuro alternativa al capitalismo in ogni ganglio della società.
Judis interviene nuovamente scrivendo che non si debba pensare ad un partito socialista che sia a volte un gruppo di pressione verso l’ala sinistra del Partito Democratico, e a volte una forza morale che proclama la necessità del socialismo, a fronte di una politica corrotta che genera infelicità nei cittadini. L’auspicio è quello di costruire un partito socialista che, senza disconoscere nessuna delle attività che già oggi i socialisti stanno sviluppando in termini di mobilitazioni e movimenti sociali, lavori alla possibilità di concorrere alla conquista del potere attraverso la competizione elettorale.
Sempre sul dibattito relativo al modello di partito necessario per un progetto rivoluzionario, Szymanski sostiene che il centralismo democratico grazie al quale ad un forte dibattito interno corrisponde, una volta assunta la decisione, il rispetto assoluto del volere della maggioranza, risponderebbe meglio di altri modelli alla necessità di coniugare partecipazione e disciplina necessari per un partito rivoluzionario.
Capitolo 7
I socialisti, le elezioni ed il Partito Democratico
In un articolo sul numero 29 di Socialist Revolution, sempre John Judis, a partire dalla campagna per le primarie di Tom Hayden, approfondisce proprio il tema del sistema elettorale, del ruolo delle istituzioni e, all’interno di esse, di un movimento socialista, a partire dalla analisi sulle forze in campo. Judis conclude quindi collegando questa riflessione al nodo più generale del rapporto fra il movimento socialista, le elezioni ed il Partito Democratico.
G. William Domhoff apre il numero con un saggio intitolato Why Socialists Should be Democrats. La tesi che l’autore propone è quella secondo la quale, viste le condizioni politiche e sociali degli USA, l’egemonia culturale esercitata dal capitalismo, e la necessitò quindi di conquistare anche spazi elettorali per rendere credibile un’alternativa a quel modello, visto tutto ciò la tattica migliore per i socialisti americani sarebbe quella di presentarsi alle primarie per le elezioni presidenziali del Partito Democratico, argomentando la sua tesi a partire dall’analisi del sistema elettorale.
David Plotke contesta tale ipotesi negando la possibilità che possa esistere un’autonoma organizzazione socialista all’interno del Partito Democratico, ritenuta una illusione destinata ad infrangersi contro la materialità dei fatti, ovvero che la marginalità alla quale sarebbero costretti i socialisti all’interno del Democratic Party rischierebbe di portare progressivamente alla dissoluzione di un’organizzazione socialista dentro al soggetto più grande.
Conclusioni
Nel 1978, a otto anni dalla sua nascita, Socialist Revolution cambia il proprio nome per diventare Socialist Review. L’evoluzione della rivista non finirà qui e alla fine del 2002 scompare definitivamente qualsiasi riferimento al socialismo e diventa Radical Society, periodico tutt’oggi esistente.
Alla redazione risultò chiaro che l’obiettivo strategico della rivista, l’affermazione negli USA di una prospettiva socialista e democratica, non sarebbe stato possibile, e questa consapevolezza trovò una sua traduzione negli ultimi 10 numeri della rivista a partire dal 1975-76.
La redazione individua nel dibattito fra Gordon e Weinstein, sul n°27 della rivista, relativo al rapporto fra riforme e trasformazione sociale, la prima bozza di una nuova strategia editoriale che porterà al cambio del nome. E’ però interessante vedere quanto la vita ed il dibattito della rivista, siano stati condizionati dall’evoluzione della situazione politica e culturale nella quale essa ha agito.
Probabilmente oggi Werner Sombart intitolerebbe il suo libro “Perché nel mondo non c’è il socialismo?” o addirittura “Perché dovrebbe esserci il socialismo?”. La profondità di una sconfitta storica, plasticamente testimoniata dagli stravolgimenti del 1989, le difficoltà oggettive nel costruire un credibile progetto alternativo a quello capitalistico, l’inadeguatezza delle proposte e dei dirigenti della sinistra marxista, possono aiutarci a capire perché, ancora oggi, il dibattito all’interno delle organizzazioni e dei movimenti socialisti continui ad essere attraversato, senza trovare evidentemente soluzioni convincenti, da quei temi e da quelle riflessioni, alle quali in modo forse un po’ naïve, come scrive Zaretsky, Socialist Revolution tentò di dare una risposta.
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