Tesi etd-05152017-113557 |
Link copiato negli appunti
Tipo di tesi
Tesi di specializzazione (5 anni)
Autore
CEI, ELENA
URN
etd-05152017-113557
Titolo
Studio clinico radiografico e densitometrico sul comportamento della protesi d'anca a stelo conico
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA
Relatori
relatore Prof. Scaglione, Michelangelo
Parole chiave
- densitometria
- protesi anca
- riassorbimento osseo periprotesico
- stelo conico
Data inizio appello
05/07/2017
Consultabilità
Completa
Riassunto
L'artroprotesi totale dell'anca rappresenta una delle procedure più eseguite nella chirurgia ortopedica maggiore in virtù degli incoraggianti risultati ottenuti negli ultimi anni nella gran parte dei pazienti, nei quali determina sia la risoluzione della sintomatologia dolorosa che il recupero dell’autonomia di movimento e, di conseguenza, un sensibile miglioramento della qualità della vita. Più della metà delle artroprotesi d'anca vengono effettuate per un'artrosi primitiva. Il resto degli interventi è effettuato per trattare altre coxopatie quali artriti infiammatorie (artrite reumatoide, lupus eritromatoso sistemico e psoriasi), artrosi post – traumatica, fratture del collo del femore, tumori, vasculopatie (emofilia, anemia falciforme e osteonecrosi) e malattie metaboliche (malattia da deposito di pirofosfato di calcio, emocromatrosi, ocronosi, gotta)
Sir John Charnley è generalmente considerato il padre della ricerca sulla artroprotesi totale dell'anca. Molti dei suoi progressi pionieristici nella comprensione della biomeccanica dell'anca, della lubrificazione, dei biomateriali, del design protesico e dell'ambiente della sala operatoria rimangono ineguagliati. Egli incorporò progressivamente questi concetti nella pratica dell'artroprotesi “a basso momento d'attrito”. Negli ultimi 40 anni sono stati compiuti numerosi miglioramenti tecnici e, grazie alla continua ricerca clinica e bioingegneristica ed all'introduzione di nuovi materiali, numerose sono state le evoluzioni e le innovazioni della protesica dell'anca.
Le indicazioni per questo tipo di intervento, in passato riservato al paziente anziano, si sono estese negli anni ai pazienti più giovani affetti da coxartrosi con protesi non cementata.
Il successo a lungo termine di un impianto protesico è frutto di delicati meccanismi che si creano tra osso e protesi. L’impianto di una protesi determina, infatti, un’alterazione della biomeccanica e della fisiologica distribuzione dei carichi a livello articolare, con conseguente adattamento dell’osso, il quale sarà sottoposto dapprima ad una perdita intraoperatoria acuta e tardivamente ad una perdita cronica, come adattamento morfostrutturale alla nuova biomeccanica.
Quindi, il riassorbimento osseo periprotesico che si realizza a medio-lungo termine dopo l’impianto di una protesi totale d’anca, principalmente concentrato nella porzione prossimale metafisaria del femore, rappresenta l'evento che ne condiziona maggiormente il successo e la longevità.
Tale rimodellamento è il risultato di una complessa interazione tra fattori meccanici intrinseci (caratteristiche meccaniche e qualità dell'osso prima dell'impianto, forma delle componenti scheletriche che dovranno ospitare la protesi e la iper/ipo-reattività individuale), fattori estrinseci (materiali di costruzione specialmente in termini di modulo di elasticità, design, tipo di fissazione e presenza di rivestimenti bioattivi) e fattori fisiologici.
La perdita ossea periprotesica può essere quindi considerata come un evento inevitabile che condiziona la durata dell’impianto ed appare riconducibile principalmente a due meccanismi d’azione distinti ma tra loro connessi: la mobilizzazione asettica per attivazione dei processi infiammatori indotta da piccole particelle derivanti dall’usura dei materiali e l’alterazione del normale trasferimento dei carichi che conduce al fenomeno dello stress-shielding. Pur riconoscendo come distinti tali fenomeni, se ne riconosce il denominatore comune nell’osteolisi indotta dalla stimolazione dell’osteoclastogenesi. Il rimodellamento osseo che si realizza nei primi mesi successivi all’intervento, comunque, risulta fondamentale per la fissazione e la stabilità dell’impianto, rappresentando la base della possibilità di sopravvivenza a lungo termine della protesi [6,7,8]. Nel post-operatorio vengono normalmente eseguiti, proprio per valutarne la stabilità, ma anche la risposta dell’osso circostante, esami radiografici ripetuti, i quali, però, non sono particolarmente sensibili nel rilevare minime variazioni a livello osseo [9]. Lo studio in vivo dei fenomeni di rimodellamento periprotesico vede infatti la Moc DEXA (mineralometria ossea computerizzata con metodica Dual-energy X-ray absorptiometry), e non l’Rx, come la miglior metodica di studio, in quanto permette di rilevare variazioni della densità ossea già in fase precoce. La DEXA normalmente viene utilizzata per determinare la densità di massa ossea nelle regioni maggiormente esposte a rischio fratturativo, ovvero a livello della colonna lombare e del collo femorale, al fine di diagnosticare i disordini metabolici ossei.
Diversamente, nei pazienti protesizzati viene eseguita utilizzando un software di rimozione del metallo, “hip prosthesis metal removal”, per quantificare le variazioni di massa ossea nella zone circostanti l’impianto protesico. Negli studi periprotesici la Dexa si è rivelata l’esame più sensibile e preciso nel quantificare la densità minerale ossea, con un accettabile coefficiente di variabilità, legato alla posizione e alla rotazione dell’anca, inferiore a 3-4%. Questo sta a significare che variazioni di densità ossea superiori, in plus o in minus, al 3-4% sono legate al processo di rimodellamento. Tenendo presente che l’occhio umano riesce ad identificare variazioni di densità radiografica quando queste superano il 30-40% della densità iniziale, fatta salva la perfezione tecnica dell’esecuzione della radiografia, ben si comprende come la Dexa sia la metodica di scelta per valutare il rimodellamento periprotesico.
Scopo di questa tesi sarà quello di riportare l’esperienza della 2° Clinica Ortopedica dell'Università di Pisa nell’impianto dello stelo protesico Acuta® associato alla coppa acetabolare Agilis® (Adler), per valutare l'outcome clinico radiografico e gli effetti a lungo termine che si sono determinati nella regione ossea circostante l’impianto.
Sir John Charnley è generalmente considerato il padre della ricerca sulla artroprotesi totale dell'anca. Molti dei suoi progressi pionieristici nella comprensione della biomeccanica dell'anca, della lubrificazione, dei biomateriali, del design protesico e dell'ambiente della sala operatoria rimangono ineguagliati. Egli incorporò progressivamente questi concetti nella pratica dell'artroprotesi “a basso momento d'attrito”. Negli ultimi 40 anni sono stati compiuti numerosi miglioramenti tecnici e, grazie alla continua ricerca clinica e bioingegneristica ed all'introduzione di nuovi materiali, numerose sono state le evoluzioni e le innovazioni della protesica dell'anca.
Le indicazioni per questo tipo di intervento, in passato riservato al paziente anziano, si sono estese negli anni ai pazienti più giovani affetti da coxartrosi con protesi non cementata.
Il successo a lungo termine di un impianto protesico è frutto di delicati meccanismi che si creano tra osso e protesi. L’impianto di una protesi determina, infatti, un’alterazione della biomeccanica e della fisiologica distribuzione dei carichi a livello articolare, con conseguente adattamento dell’osso, il quale sarà sottoposto dapprima ad una perdita intraoperatoria acuta e tardivamente ad una perdita cronica, come adattamento morfostrutturale alla nuova biomeccanica.
Quindi, il riassorbimento osseo periprotesico che si realizza a medio-lungo termine dopo l’impianto di una protesi totale d’anca, principalmente concentrato nella porzione prossimale metafisaria del femore, rappresenta l'evento che ne condiziona maggiormente il successo e la longevità.
Tale rimodellamento è il risultato di una complessa interazione tra fattori meccanici intrinseci (caratteristiche meccaniche e qualità dell'osso prima dell'impianto, forma delle componenti scheletriche che dovranno ospitare la protesi e la iper/ipo-reattività individuale), fattori estrinseci (materiali di costruzione specialmente in termini di modulo di elasticità, design, tipo di fissazione e presenza di rivestimenti bioattivi) e fattori fisiologici.
La perdita ossea periprotesica può essere quindi considerata come un evento inevitabile che condiziona la durata dell’impianto ed appare riconducibile principalmente a due meccanismi d’azione distinti ma tra loro connessi: la mobilizzazione asettica per attivazione dei processi infiammatori indotta da piccole particelle derivanti dall’usura dei materiali e l’alterazione del normale trasferimento dei carichi che conduce al fenomeno dello stress-shielding. Pur riconoscendo come distinti tali fenomeni, se ne riconosce il denominatore comune nell’osteolisi indotta dalla stimolazione dell’osteoclastogenesi. Il rimodellamento osseo che si realizza nei primi mesi successivi all’intervento, comunque, risulta fondamentale per la fissazione e la stabilità dell’impianto, rappresentando la base della possibilità di sopravvivenza a lungo termine della protesi [6,7,8]. Nel post-operatorio vengono normalmente eseguiti, proprio per valutarne la stabilità, ma anche la risposta dell’osso circostante, esami radiografici ripetuti, i quali, però, non sono particolarmente sensibili nel rilevare minime variazioni a livello osseo [9]. Lo studio in vivo dei fenomeni di rimodellamento periprotesico vede infatti la Moc DEXA (mineralometria ossea computerizzata con metodica Dual-energy X-ray absorptiometry), e non l’Rx, come la miglior metodica di studio, in quanto permette di rilevare variazioni della densità ossea già in fase precoce. La DEXA normalmente viene utilizzata per determinare la densità di massa ossea nelle regioni maggiormente esposte a rischio fratturativo, ovvero a livello della colonna lombare e del collo femorale, al fine di diagnosticare i disordini metabolici ossei.
Diversamente, nei pazienti protesizzati viene eseguita utilizzando un software di rimozione del metallo, “hip prosthesis metal removal”, per quantificare le variazioni di massa ossea nella zone circostanti l’impianto protesico. Negli studi periprotesici la Dexa si è rivelata l’esame più sensibile e preciso nel quantificare la densità minerale ossea, con un accettabile coefficiente di variabilità, legato alla posizione e alla rotazione dell’anca, inferiore a 3-4%. Questo sta a significare che variazioni di densità ossea superiori, in plus o in minus, al 3-4% sono legate al processo di rimodellamento. Tenendo presente che l’occhio umano riesce ad identificare variazioni di densità radiografica quando queste superano il 30-40% della densità iniziale, fatta salva la perfezione tecnica dell’esecuzione della radiografia, ben si comprende come la Dexa sia la metodica di scelta per valutare il rimodellamento periprotesico.
Scopo di questa tesi sarà quello di riportare l’esperienza della 2° Clinica Ortopedica dell'Università di Pisa nell’impianto dello stelo protesico Acuta® associato alla coppa acetabolare Agilis® (Adler), per valutare l'outcome clinico radiografico e gli effetti a lungo termine che si sono determinati nella regione ossea circostante l’impianto.
File
Nome file | Dimensione |
---|---|
00_introduzione.pdf | 70.42 Kb |
bibliografia.pdf | 345.41 Kb |
capitolo1.pdf | 676.50 Kb |
capitolo2.pdf | 1.13 Mb |
capitolo3.pdf | 692.61 Kb |
capitolo4.pdf | 810.34 Kb |
Contatta l’autore |