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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-05122015-165310


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
SCALISE, FEDERICA
URN
etd-05122015-165310
Titolo
Il sistema della detenzione domiciliare nell'età del sovraffollamento carcerario.
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Gargani, Alberto
Parole chiave
  • detenzione domiciliare
  • misure alternative
  • pena detentiva
  • riforma del sistema sanzionatorio
  • sovraffolamento carcerario
Data inizio appello
19/06/2015
Consultabilità
Completa
Riassunto
Come esprime chiaramente il titolo, oggetto di questo elaborato è il sistema della detenzione domiciliare nell'età del sovraffollamento carcerario.
Punto di partenza è stato il concetto di pena, che è uno dei concetti chiave del diritto penale. Quando parliamo di pena, però, non dobbiamo pensare ad una concezione statica, univoca, bensì ad una concezione che è mutata nel corso del tempo. Costante di tutte le concezioni, che si sono susseguite, è che la pena non è altro che una risposta alla violazione delle regole che ciascuna società ha posto alla base della relazioni umani. Per la società moderna, la principale risposta alla trasgressione delle regole è la detenzione carceraria, che rappresenta la forma più diffusa ed applicata. Per molto tempo, il carcere ha rappresentato la pena più umana, in quanto paragonato alla brutalità dei supplizi e delle pene corporali; quindi, fintanto che è stato considerato come l’ultima tappa di un processo che ha portato al superamento dei supplizi e delle pena corporali, le frustrazione e le privazioni derivanti dalla vita carceraria sembravano la giusta punizione che si poteva infliggere a colui che aveva violato la legge. Con l’introduzione dell’art.27, comma 3, Cost. che stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, il carcere inizia pian piano ad apparire come una mera soluzione afflittiva e niente affatto rieducativa.
Constatata l’inadeguatezza dell’istituzione carceraria e preso atto che bisognava dare attuazione al dettato costituzionale, il legislatore, con la legge 354/1975, introduce nel nostro ordinamento, le c.d. misure alternative alla detenzione, che hanno contribuito a dare carattere concreto alle tanto auspicate esigenze di trattamento, recupero e reinserimento sociale del detenuto. Le misure alternative, qualificate dalla legge come “ benefici”, assolvono sia una funzione di prevenzione generale, sia una di finalità di prevenzione speciale; si sostituiscono alla pena detentiva e, anche se non limitano interamente la libertà personale, comportano, comunque, un certo grado di afflittività.
Dopo aver analizzato, le singole misure alternative, l’indagine si è focalizzata sulla detenzione domiciliare: la misura che consente al condannato di espiare la pena presso la propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, o in un luogo di cura, assistenza ed accoglienza. Partendo da un excursus sull'origine della misura, istituita dalla Legge Gozzini ed analizzando le modifiche ed ampliamenti che si sono succeduti nel corso degli anni, è emersa una misura caratterizzata da una molteplicità di presupposti e prescrizioni, che ci inducono a suddividerla in più tipologie. Distinguiamo tre tipologie di detenzione domiciliare:
1. Detenzione domiciliare ordinaria: art. 47-ter. o.p. riguarda soggetti che versano in particolari condizioni, tali da renderli meritevoli di beneficiare di un’alternativa al carcere;
2. Detenzione domiciliare speciale: art 47-quinquies o.p., riguarda le detenute madri di prole di età inferiore a dieci anni, quando non possono accedere alla detenzione ex art.47-ter o.p.
3. Detenzione domiciliare “svuota carceri” che riguarda i detenuti condannati a pene non superiori a diciotto mesi; essa, si presenta come rimedio temporaneo al sovraffollamento delle carceri, è stata introdotta dalla l.199/2010.
Proprio il sovraffollamento è un problema che, ormai, da molti anni affligge il nostro Paese ed, a causa del quale, l’Italia per ben due volte è stata condannata dalla CEDU (Sent. Sulejmanovic e Sent. Torreggiani) che ha evidenziato una delle tante disfunzioni della nostra giustizia. A fronte di queste condanne, il nostro legislatore ha cercato di porre in essere tutta una serie di tentativi di riforma, per ultimo la l. 28.4.2014 n.67.
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