Tesi etd-05112010-112022 |
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Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
PASQUALI, LIVIA
URN
etd-05112010-112022
Titolo
IMPIEGO DI G-CSF DOPO MITOXANTRONE NELLA SCLEROSI MULTIPLA SECONDARIA PROGRESSIVA
Settore scientifico disciplinare
MED/26
Corso di studi
ESPLORAZIONE MOLECOLARE, METABOLICA E FUNZIONALE DEL SISTEMA NERVOSO E DEGLI ORGANI DI SENSO
Relatori
tutor Prof. Murri, Luigi
Parole chiave
- citochine.
- G-CSF
- immunomodulanti
- immunosoppressori
- mitoxantrone
- Sclerosi multipla
Data inizio appello
20/12/2007
Consultabilità
Completa
Riassunto
La sclerosi multipla (SM) è una malattia infiammatoria autoimmune del sistema nervoso centrale, caratterizzata da un processo demielinizzante che comporta anche degenerazione assonale e gliosi. La SM viene classificata in recidivante-remittente (circa 85% dei casi), primariamente progressiva (15% dei casi), secondariamente progressiva e secondariamente progressiva con ricadute. La forma secondariamente progressiva si sviluppa nella metà dei soggetti con SM recidivante-remittente dopo circa dieci anni dall’esordio. Le forme progressive si accompagnano ad un crescente accumulo di disabilità, che tende a divenire irreversibile. Ad oggi il trattamento della SM secondariamente progressiva è rappresentato da farmaci immunosoppressori, quali il mitoxantrone. Anche se il mitoxantrone è uno dei farmaci più efficaci nel trattamento della SM e determina un rallentamento della progressione di malattia nei pazienti non rispondenti alle terapie immunomodulanti, molti pazienti con SM particolarmente aggressiva non traggono benefici dal trattamento.
In tali circostanze sono necessari ulteriori e più incisivi interventi terapeutici, che possano potenziare l’effetto del mitoxantrone. Il “granulocyte colony stimulating factor” (GCS-F) è un fattore di crescita che determina la mobilizzazione dal midollo osseo di cellule staminali ematopoietiche. Per tale motivo è stato utilizzato nella procedura di mobilizzazione precedente il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche in pazienti affetti da malattie autoimmuni, tra cui la SM. Il trapianto in pazienti con SM è tuttavia una terapia ad alto rischio di morbilità e di mortalità, per cui tale trattamento è al momento utilizzato in maniera limitata. Il G-CSF determina inoltre la mobilizzazione dal midollo osseo di cellule mesenchimali staminali, che hanno un effetto immunosoppressivo e presenta inoltre proprietà immunoregolatrici, che si esplicano attraverso la modulazione delle citochine e dell’attività dei linfociti T. Il G-CSF, potrebbe quindi essere utilizzato in associazione al mitoxantrone ed agire in sinergia con quest’ultimo nella regolazione del sistema immunitario nei pazienti affetti da SM.
Lo scopo del presente studio è stato quindi quello di valutare l’effetto terapeutico del G-CSF in aggiunta al mitoxantrone, in pazienti affetti da sclerosi multipla refrattaria al trattamento convenzionale rispetto a pazienti trattati con il solo mitoxantrone.
Sono state valutate la risposta clinica (EDSS, Ambulation Index, SNRS), la risonanza magnetica encefalica ed il profilo citochinico, in due gruppi di pazienti con SM secondaria progressiva comparabili per età (t-test, p=0.29) e sesso: quello in trattamento con solo mitoxantrone (6 M/1 F; età: 42,1 ± 10,5) e quello in trattamento con mitoxantrone e G-CSF (5 M/2 F; età: 45,3 ± 8,6). L’analisi statistica dei dati clinici non ha mostrato differenze significative tra i due gruppi, indicando tuttavia una tendenza alla stabilizzazione del decorso della malattia dopo G-CSF.
I pazienti che hanno assunto il G-CSF hanno presentato una stabilizzazione del quadro di risonanza magnetica per i parametri valutati (carico lesionale e numero di lesioni attive). Un paziente ha inoltre presentato una diminuzione del carico lesionale durante la terapia con G-CSF che si è mantenuta nei follow-up successivi. Nel gruppo trattato con solo mitoxantrone invece un paziente ha presentato un incremento del carico lesionale, mentre negli altri è stata riscontrata una stabilizzazione delle lesioni. Per quanto riguarda i valori delle citochine, l’analisi statistica con ANOVA per misure ripetute ha evidenziato una tendenza alla significatività per il fattore di crescita tumorale beta 1. Il test di Wilcoxon ha rivelato una significatività (P<0.062) per la interleuchina 12. Il dosaggio citofluorimetrico delle cellule CD34+ nei giorni successivi alla somministrazione del G-CSF ha mostrato che i pazienti non hanno raggiunto valori tali da indicare un’avvenuta mobilizzazione.
Il trattamento sequenziale con G-CSF dopo mitoxantrone è stato ben tollerato in tutti i pazienti, con l’assenza pressoché completa di manifestazioni avverse.
In conclusione i dati analizzati non hanno rilevato variazioni statisticamente significative degli indicatori clinici di malattia dopo trattamento con il G-CSF, anche per osservazioni cliniche con follow-up prolungato. La relativa modesta dimensione del campione esaminato può essere un fattore responsabile della mancata osservazione di significatività statistica. L’analisi di gruppi più numerosi di pazienti potrebbe in futuro dare maggiori indicazioni sul piano della riposta clinica al trattamento. Riguardo al trattamento con G-CSF, la bassa percentuale di linfociti T CD34+, rilevata dopo la somministrazione del farmaco, dimostra la mancata efficacia della procedura di mobilizzazione delle cellule staminali ematopoietiche. Ciò può essere dovuto al fatto che il mitoxantrone non presenta buone proprietà come mobilizzatore di cellule staminali in associazione al G-CSF. Sulla base delle indicazioni rilevate dall’analisi delle citochine, si può inoltre ipotizzare che per una risposta clinica significativa sarebbe stato utile arruolare i pazienti in una diversa fase della malattia, quando cioè l’attività infiammatoria è ancora preponderante. Ciò consentirebbe al G-CSF di esplicare a pieno la sua attività immunomodulante. I pazienti inclusi nello studio erano invece consistentemente in una fase di progressione di malattia, in assenza di attività infiammatoria, caratteristica irrinunciabile per il rispetto della eticità per un trattamento sperimentale.
In tali circostanze sono necessari ulteriori e più incisivi interventi terapeutici, che possano potenziare l’effetto del mitoxantrone. Il “granulocyte colony stimulating factor” (GCS-F) è un fattore di crescita che determina la mobilizzazione dal midollo osseo di cellule staminali ematopoietiche. Per tale motivo è stato utilizzato nella procedura di mobilizzazione precedente il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche in pazienti affetti da malattie autoimmuni, tra cui la SM. Il trapianto in pazienti con SM è tuttavia una terapia ad alto rischio di morbilità e di mortalità, per cui tale trattamento è al momento utilizzato in maniera limitata. Il G-CSF determina inoltre la mobilizzazione dal midollo osseo di cellule mesenchimali staminali, che hanno un effetto immunosoppressivo e presenta inoltre proprietà immunoregolatrici, che si esplicano attraverso la modulazione delle citochine e dell’attività dei linfociti T. Il G-CSF, potrebbe quindi essere utilizzato in associazione al mitoxantrone ed agire in sinergia con quest’ultimo nella regolazione del sistema immunitario nei pazienti affetti da SM.
Lo scopo del presente studio è stato quindi quello di valutare l’effetto terapeutico del G-CSF in aggiunta al mitoxantrone, in pazienti affetti da sclerosi multipla refrattaria al trattamento convenzionale rispetto a pazienti trattati con il solo mitoxantrone.
Sono state valutate la risposta clinica (EDSS, Ambulation Index, SNRS), la risonanza magnetica encefalica ed il profilo citochinico, in due gruppi di pazienti con SM secondaria progressiva comparabili per età (t-test, p=0.29) e sesso: quello in trattamento con solo mitoxantrone (6 M/1 F; età: 42,1 ± 10,5) e quello in trattamento con mitoxantrone e G-CSF (5 M/2 F; età: 45,3 ± 8,6). L’analisi statistica dei dati clinici non ha mostrato differenze significative tra i due gruppi, indicando tuttavia una tendenza alla stabilizzazione del decorso della malattia dopo G-CSF.
I pazienti che hanno assunto il G-CSF hanno presentato una stabilizzazione del quadro di risonanza magnetica per i parametri valutati (carico lesionale e numero di lesioni attive). Un paziente ha inoltre presentato una diminuzione del carico lesionale durante la terapia con G-CSF che si è mantenuta nei follow-up successivi. Nel gruppo trattato con solo mitoxantrone invece un paziente ha presentato un incremento del carico lesionale, mentre negli altri è stata riscontrata una stabilizzazione delle lesioni. Per quanto riguarda i valori delle citochine, l’analisi statistica con ANOVA per misure ripetute ha evidenziato una tendenza alla significatività per il fattore di crescita tumorale beta 1. Il test di Wilcoxon ha rivelato una significatività (P<0.062) per la interleuchina 12. Il dosaggio citofluorimetrico delle cellule CD34+ nei giorni successivi alla somministrazione del G-CSF ha mostrato che i pazienti non hanno raggiunto valori tali da indicare un’avvenuta mobilizzazione.
Il trattamento sequenziale con G-CSF dopo mitoxantrone è stato ben tollerato in tutti i pazienti, con l’assenza pressoché completa di manifestazioni avverse.
In conclusione i dati analizzati non hanno rilevato variazioni statisticamente significative degli indicatori clinici di malattia dopo trattamento con il G-CSF, anche per osservazioni cliniche con follow-up prolungato. La relativa modesta dimensione del campione esaminato può essere un fattore responsabile della mancata osservazione di significatività statistica. L’analisi di gruppi più numerosi di pazienti potrebbe in futuro dare maggiori indicazioni sul piano della riposta clinica al trattamento. Riguardo al trattamento con G-CSF, la bassa percentuale di linfociti T CD34+, rilevata dopo la somministrazione del farmaco, dimostra la mancata efficacia della procedura di mobilizzazione delle cellule staminali ematopoietiche. Ciò può essere dovuto al fatto che il mitoxantrone non presenta buone proprietà come mobilizzatore di cellule staminali in associazione al G-CSF. Sulla base delle indicazioni rilevate dall’analisi delle citochine, si può inoltre ipotizzare che per una risposta clinica significativa sarebbe stato utile arruolare i pazienti in una diversa fase della malattia, quando cioè l’attività infiammatoria è ancora preponderante. Ciò consentirebbe al G-CSF di esplicare a pieno la sua attività immunomodulante. I pazienti inclusi nello studio erano invece consistentemente in una fase di progressione di malattia, in assenza di attività infiammatoria, caratteristica irrinunciabile per il rispetto della eticità per un trattamento sperimentale.
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