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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-05062019-091944


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
PASQUINUCCI, PIETRO
URN
etd-05062019-091944
Titolo
Lo specchio dell'universo. Monade e relazione nella fenomenologia di Husserl.
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE
Relatori
relatore Prof. Ferrarin, Alfredo
correlatore Manca, Danilo
Parole chiave
  • Edmund Husserl
  • intersoggettività
  • monade
  • relazione
Data inizio appello
03/06/2019
Consultabilità
Completa
Riassunto
Analizzeremo, nel primo capitolo, le motivazioni che spinsero Husserl a rielaborare la dottrina leibniziana della monade, mettendo in evidenza i grandi risultati che essa rese accessibili alla fenomenologia e la svolta che tale rielaborazione implicò. In questo contesto confronteremo il concetto di monade con un altro concetto fondamentale delineato dalla fenomenologia del soggetto: l’ego trascendentale, primo e indubitabile prodotto della riduzione. Dal confronto critico tra questi due concetti emergerà una particolare immagine di fenomenologia, che non esclude le differenze e le contraddizioni interne al percorso husserliano, bensì le ricomprende come articolazioni necessarie del suo pensiero, nel nome della radicalità che lo guida. Mostreremo, inoltre, che il passaggio da ego trascendentale a monade è motivato soprattutto dai problemi dell’intersoggettività e dell’alter-ego. Per una filosofia che muove dall’esclusione radicale di ogni presupposto questi due temi occupano un ruolo problematico di rilievo: l’esclusione di ogni igenuità, proprio nella misura in cui giunge ad investire perfino l’ingenuità implicita nel tentativo di esclusione, è anche e soprattutto esclusione dell’alterità e della relazione pre-filosofica ad essa, in tutte le loro declinazioni: dal ben noto problema della giustificazione dell’alter-ego da un punto di vista gnoseologico, alla descrizione del peculiare tipo di relazione all’alterità che si mostra all’interno dell’esperienza resa possibile dalla riduzione e dall’epochè, fino a giungere al tema della cultura e della tradizione dalle quali muove il tentativo filosofico stesso, che lo influenzano elo motivano nel suo sforzo di esclusione, rendendo il suo scopo ancor più arduo da raggiungere.
Nel secondo capitolo ci soffermeremo sulla cosiddetta “svolta genetica” della fenomenologia, avvenuta intorno al 1916-1918, ma anticipata già in numerosi scritti degli anni ’10-’12, soffermandoci sulle motivazioni che vi condussero. Mostreremo come l’idea di genesi trascendentale proceda di pari passo con la rielaborazione husserliana del concetto di monade, e come anche essa sia mossa dal problema, sempre più pressante per Husserl, dell’intersoggettività e dell’alterità. In questo contesto analizzeremo il concetto di “sintesi passiva”, fondamento della fenomenologia genetica, e metteremo in evidenza in che modo le idee di passività e di genesi forniscano a Husserl nuovi strumenti metodologici, rendendo possibile il passaggio definitivo dalla fenomenologia come egologia (il cui centro tematico è l’ego trascendentale e le sue forme di auto-coscienza) alla fenomenologia come monadologia (il cui tema è la genesi monadica, come vita fungente in cui ogni essere si manifesta e trova senso).
Nel terzo capitolo metteremo in luce, attraverso l’analisi della Quinta meditazione cartesiana (1929), i risultati più importanti che la fenomenologia genetica come monadologia permette di raggiungere nell’ambito di una fenomenologia dell’intersoggettività. A questo scopo metteremo in evidenza le ambiguità presenti nel testo e i fraintendimenti cui esse hanno condotto. Tenteremo in tal modo di conferire di nuovo alla Quinta meditazione il ruolo centrale che originariamente le spettava, mostrando come essa sia un anello di congiunzione imprescindibile tra la fenomenologia genetica degli anni ’20 e la fenomenologia della storia e della teleologia degli anni ’30.
Nel quarto ed ultimo capitolo, infine, tenteremo di evidenziare i limiti della fenomenologia e i paradossi che essa produce nel suo passaggio dalla fenomenologia genetica dell’intersoggettività alla fenomenologia della storia. In particolare ci soffermeremo su quello che ci sembra rappresentare l’ingenuo presupposto che ha agito alle spalle del tentativo fenomenologico, e che neppure la riduzione e l’epochè sono riuscite ad escludere: il presupposto di una differenza reale tra trascendentale ed empirico, il cui prodotto più ingombrante è la separazione riduttiva tra genesi e storia. Dopo aver mostrato l’inconsistenza di queste distinzioni tenteremo di reinterpretare la fenomenologia alla luce di una concreta inseparabilità di storia e genesi. Emergerà allora il limite ultimo della riduzione: essa fallisce e si arresta di fronte all’irriducibile singolarità di ogni vita fungente, singolarità che emerge negativamente, all’apice del regresso fenomenologico, con la costatazione dell’irriducibilità ultima di ogni estraneità, nella sua inesauribile fatticità. Mostreremo come Husserl non si sia accorto (o si sia accorto solo in parte) di questo limite, e abbia perciò infine, guidato dal suo ingenuo presupposto, ridotto la fenomenologia ad un idealismo trascendentale assoluto. Mostreremo successivamente, in una interpretazione che tradisce consapevolmente la lettera degli scritti husserliani ma ambisce a rispettarne lo spirito, come la riduzione possa assumere il senso di esercizio introduttivo ad un relazionismo che invera definitivamente la relatività assoluta dell’essere umano, ma nel quale, attraverso una rivoluzione di atteggiamento resa possibile dalla fenomenologia, l’uomo stesso può trovare la chiave della propria razionalità, ribaltare l’apparente sconfitta in vittoria, e distruggere dall’interno lo spettro del relativismo. Nell’ultima parte del capitolo analizzeremo brevemente l’idea di “fenomenologia della fenomenologia” portata avanti da Fink nella Sesta meditazione cartesiana, mostrandone gli scopi e i limiti intrinseci. Concluderemo infine applicando la “fenomenologia della fenomenologia” all’interpretazione della riduzione come introduzione al relazionismo, cercando di mostrarne gli esiti attraverso una riflessione critica della fenomenologia su se stessa e suoi propri risultati.
Il risultato finale che il presente lavoro, muovendo da una interpretazione attenta della fenomenologia husserliana, ambisce a raggiungere, risiede nel mostrare l’originarietà e l’irriducibilità della relazione di ogni uomo all’altro-uomo, di ogni soggetto ai soggetti estranei. Tale relazione si mostrerà da un lato come l’insuperabile ed ineliminabile essenza originaria dell’essere umano, dall’altro lato come quella natura primordiale che, rimanendo per essenza celata e inconsapevole, conduce paradossalmente al suo annichilimento, al suo spegnimento nel teoreticismo moderno. La relazione originaria che vogliamo mettere in luce assume perciò la stessa struttura dinamica che Husserl assegna alla Lebenswelt in Crisi. Essa però rende possibile, attraverso una reinterpretazione del concetto di “mondo della vita”, rinunciare ad ogni tentativo di dimostrare una presunta razionalità originaria dell’essere umano (perfino a quella che risorge in seno alla Lebenswelt con il titolo di “doxa originaria” o di “esperienza ante-predicativa”), senza con ciò rinunciare a far rivivere il senso originario e universale dell’uomo e del mondo culturale che esso costituisce sempre di nuovo.
Emergerà allora che la razionalità dell’uomo, la sua peculiarità, non risiede in una origine smarrita o celata, né in una statica facoltà, bensì nel futuro che ogni singolo uomo, privo nel suo esser-ci di qualsiasi razionalità, apre di fronte a sé attraverso l’irriducibile relazione all’altro. La riduzione del mondo deve togliersi per lasciare spazio alla relazione e alla tensione verso l’universalità del senso che in essa sorge e si sviluppa da sempre, mache, nell’atteggiamento naturale, conduce inevitabilmente all’egoismo e all’egocentrismo, alla affermazione della propria visione del mondo, dei propri valori e delle proprie verità come assolute.La razionalità non è un privilegio che la teoria filosofica deve mostrare, bensì un compito che l’esercizio filosofico sempre ripetuto deve rendere evidente. L’uomo non è animale razionale, bensì animale che può e deve divenir-razionale sempre di nuovo, sempre diversamente, comandato da se stesso ad un infinito sforzo di perfezionamento.
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