Tesi etd-05052022-200317 |
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Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
CORVASCE, SIMONE
URN
etd-05052022-200317
Titolo
Pur somigliamo in qualche cosa: Pindaro e la teoria antica sul paradigma
Settore scientifico disciplinare
L-FIL-LET/02
Corso di studi
SCIENZE DELL'ANTICHITA' E ARCHEOLOGIA
Relatori
tutor Tulli, Mauro
Parole chiave
- archaic greek lyric
- choral lirik
- lirica arcaica
- lirica corale
- miti
- myths
- paradigmi
- paradigms
- Pindar
- Pindaro
Data inizio appello
16/05/2022
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
16/05/2025
Riassunto
Confrontare il presente con le vicende passate (secondo le nostre categorie, storiche o mitiche) è uno degli strumenti di conoscenza tipici della mentalità greca, per questo abbondantemente utilizzato in oratoria e teorizzato nella trattatistica retorica (soprattutto la Retorica di Aristotele, la Retorica ad Alessandro e Quintiliano). Gli stessi antichi avevo chiaro che una proprietà tipica dei paradigmi era quella di potere essere modulati diversamente a seconda dello scopo, perché due azioni non sono mai del tutto identiche. Questo principio è osservabile in tutta la letteratura greca, a partire Omero, e ha un uso massiccio in lirica e nel teatro. Applicare questa consapevolezza a Pindaro produce principalmente quattro benefici di carattere generale.
Il primo è fornire una proposta di tassonomia dei paradigmi che superi l’eccessiva semplificazione per cui ogni mito in Pindaro ha un valore universale. Se è vero che ogni mito è genericamente paradigmatico, è anche vero che di volta in volta la funzione con cui il mito viene esplicitamente collegato dal poeta è diversa. Perciò, è utile distinguere paradigmi espliciti da potenziali paradigmi impliciti, paradigmi tra due casi particolari e paradigmi tra un mito e una gnome, paradigmi che confrontano le azioni e paradigmi che confrontano la fama che deriva dalle azioni. In altre parole, è utile distingue con attenzione l’interpretazione moderna di significati nascosti con la funzione esplicita di un elemento nell’ode.
Il secondo contributo riguarda la linearità dell’ode. La storia della critica pindarica è caratterizzata da tendenze di lungo corso: l’antica opposizione tra unitari e antiunitari nel tempo si è ridefinita in un approccio performance oriented e uno letterario. Ma entrambi gli orientamenti sono caratterizzati da una sfiducia nella possibilità di analizzare un’ode come un susseguirsi lineare di pensieri. Il principio della modulazione del paradigma permette, al contrario, di evidenziare molto bene e con categorie di pensiero antiche connessioni logiche che sono risultate difficili per la critica.
Un altro tema di grande attualità sono gli scenari di riesecuzione degli epinici. La tesi fondamentale non è tanto che gli epinici furono o non furono rieseguiti, ma che Pindaro abbia retoricamente costruito gli epinici per essere fruibili sia dal pubblico della prima esecuzione sia da un pubblico lontano nello spazio e nel tempo. Ad un’analisi priva di pregiudizio i miti in Pindaro appaiono tutt’altro che locali ma piuttosto generici, per poter essere fruibili ad un pubblico più largo possibile. Anche in questo caso si vede operativa l’adattabilità dei paradigmi. Così come i cosiddetti paradigmi di fama possono essere interpretati come affermazioni autoriali della volontà di riesecuzione.
Per ultimo, la libertà dei paradigmi diviene un serio caveat alla disinvolta ricostruzione del contesto storico di un’ode, perché l’analogia tra il mito e attualità può essere più libera di quanto tendiamo a pensare noi moderni. Questa sfiducia non è arrendevolezza, nel momento in cui è accompagnata dalla consapevolezza che Pindaro deve aver previsto un piano di lettura letterario per i pubblici di riesecuzione.
Se queste sono le conclusioni di carattere generale, un discorso a parte meritano i singoli passi analizzati. I progressi più grandi, a mio avviso, si compiono per l’Olimpica 4, l’Olimpica 13, la Pitica 2, la Pitica 6, la Pitica 8, la Nemea 1 e la Nemea 7 e l’Istmica 4.
Comparing the present with past events (according to our own categories, historical or mythical) is one of the typical means of knowledge of the Greek mindset, which is why it was abundantly used in oratory and theorised in rhetorical treatises (especially Aristotle's Rhetoric, the Rhetoric to Alexander and Quintilian). The ancients themselves had made it clear that a typical property of paradigms was that they could be modulated differently depending on the purpose, because two actions are never completely identical. This principle is observable in all Greek literature, starting with Homer, and is used extensively in the Lyrics and the Theatre. Applying this awareness to Pindar produces four main benefits.
The first is to provide a proposal for a taxonomy of paradigms that overcomes the oversimplification that every myth in Pindar has a universal value. While it is true that every myth is generically paradigmatic, it is also true that the function with which the myth is explicitly connected by the poet is different from case to case. Thus, it is useful to distinguish explicit paradigms from potential implicit paradigms, paradigms between two particular cases and paradigms between a myth and a gnome, paradigms comparing actions and paradigms comparing the fame derived from actions. In other words, it is useful to carefully distinguish the modern interpretation of hidden meanings with the explicit function of an element in the ode.
The second contribution concerns the linearity of the ode. The history of Pindaric criticism is characterised by long-standing trends: the old opposition between unitarians and anti-unitarians over time has been redefined into a performance-oriented and a literary approach. But both trends are characterised by a disbelief in the possibility of analysing an ode as a linear succession of thoughts. On the contrary, the principle of paradigm modulation makes it possible to highlight very well and with ancient categories of thought logical connections that have been difficult for critics.
Another highly topical issue is the re-performance scenarios of the epinician. The fundamental thesis is not so much that the epinicians were or were not re-performed, but that Pindar rhetorically constructed the epinicians to be accessible both to the audience of the first performance and to an audience far away in space and time. To an unprejudiced analysis, the myths in Pindar appear far from local, but rather generic, in order to be enjoyable by the widest possible audience. Here, too, we see the adaptability of paradigms at work. Just as the so-called paradigms of fame can be interpreted as authorial statements of the will of re-performance.
Finally, the freedom of paradigms becomes a serious caveat to the careless reconstruction of the historical context of an ode, because the analogy between myth and actuality can be looser than we moderns would tend to think. This distrust is not surrender, as long as it is complemented by the knowledge that Pindar must have contemplated a literary level of reading for re-performance audiences.
If these are the general conclusions, the individual passages analysed deserve a separate discussion. The greatest achievements, in my opinion, are made in Olympic 4, Olympic 13, Pythian 2, Pythian 6, Pythian 8, Nemean 1 and Nemean 7 and Isthmian 4.
Il primo è fornire una proposta di tassonomia dei paradigmi che superi l’eccessiva semplificazione per cui ogni mito in Pindaro ha un valore universale. Se è vero che ogni mito è genericamente paradigmatico, è anche vero che di volta in volta la funzione con cui il mito viene esplicitamente collegato dal poeta è diversa. Perciò, è utile distinguere paradigmi espliciti da potenziali paradigmi impliciti, paradigmi tra due casi particolari e paradigmi tra un mito e una gnome, paradigmi che confrontano le azioni e paradigmi che confrontano la fama che deriva dalle azioni. In altre parole, è utile distingue con attenzione l’interpretazione moderna di significati nascosti con la funzione esplicita di un elemento nell’ode.
Il secondo contributo riguarda la linearità dell’ode. La storia della critica pindarica è caratterizzata da tendenze di lungo corso: l’antica opposizione tra unitari e antiunitari nel tempo si è ridefinita in un approccio performance oriented e uno letterario. Ma entrambi gli orientamenti sono caratterizzati da una sfiducia nella possibilità di analizzare un’ode come un susseguirsi lineare di pensieri. Il principio della modulazione del paradigma permette, al contrario, di evidenziare molto bene e con categorie di pensiero antiche connessioni logiche che sono risultate difficili per la critica.
Un altro tema di grande attualità sono gli scenari di riesecuzione degli epinici. La tesi fondamentale non è tanto che gli epinici furono o non furono rieseguiti, ma che Pindaro abbia retoricamente costruito gli epinici per essere fruibili sia dal pubblico della prima esecuzione sia da un pubblico lontano nello spazio e nel tempo. Ad un’analisi priva di pregiudizio i miti in Pindaro appaiono tutt’altro che locali ma piuttosto generici, per poter essere fruibili ad un pubblico più largo possibile. Anche in questo caso si vede operativa l’adattabilità dei paradigmi. Così come i cosiddetti paradigmi di fama possono essere interpretati come affermazioni autoriali della volontà di riesecuzione.
Per ultimo, la libertà dei paradigmi diviene un serio caveat alla disinvolta ricostruzione del contesto storico di un’ode, perché l’analogia tra il mito e attualità può essere più libera di quanto tendiamo a pensare noi moderni. Questa sfiducia non è arrendevolezza, nel momento in cui è accompagnata dalla consapevolezza che Pindaro deve aver previsto un piano di lettura letterario per i pubblici di riesecuzione.
Se queste sono le conclusioni di carattere generale, un discorso a parte meritano i singoli passi analizzati. I progressi più grandi, a mio avviso, si compiono per l’Olimpica 4, l’Olimpica 13, la Pitica 2, la Pitica 6, la Pitica 8, la Nemea 1 e la Nemea 7 e l’Istmica 4.
Comparing the present with past events (according to our own categories, historical or mythical) is one of the typical means of knowledge of the Greek mindset, which is why it was abundantly used in oratory and theorised in rhetorical treatises (especially Aristotle's Rhetoric, the Rhetoric to Alexander and Quintilian). The ancients themselves had made it clear that a typical property of paradigms was that they could be modulated differently depending on the purpose, because two actions are never completely identical. This principle is observable in all Greek literature, starting with Homer, and is used extensively in the Lyrics and the Theatre. Applying this awareness to Pindar produces four main benefits.
The first is to provide a proposal for a taxonomy of paradigms that overcomes the oversimplification that every myth in Pindar has a universal value. While it is true that every myth is generically paradigmatic, it is also true that the function with which the myth is explicitly connected by the poet is different from case to case. Thus, it is useful to distinguish explicit paradigms from potential implicit paradigms, paradigms between two particular cases and paradigms between a myth and a gnome, paradigms comparing actions and paradigms comparing the fame derived from actions. In other words, it is useful to carefully distinguish the modern interpretation of hidden meanings with the explicit function of an element in the ode.
The second contribution concerns the linearity of the ode. The history of Pindaric criticism is characterised by long-standing trends: the old opposition between unitarians and anti-unitarians over time has been redefined into a performance-oriented and a literary approach. But both trends are characterised by a disbelief in the possibility of analysing an ode as a linear succession of thoughts. On the contrary, the principle of paradigm modulation makes it possible to highlight very well and with ancient categories of thought logical connections that have been difficult for critics.
Another highly topical issue is the re-performance scenarios of the epinician. The fundamental thesis is not so much that the epinicians were or were not re-performed, but that Pindar rhetorically constructed the epinicians to be accessible both to the audience of the first performance and to an audience far away in space and time. To an unprejudiced analysis, the myths in Pindar appear far from local, but rather generic, in order to be enjoyable by the widest possible audience. Here, too, we see the adaptability of paradigms at work. Just as the so-called paradigms of fame can be interpreted as authorial statements of the will of re-performance.
Finally, the freedom of paradigms becomes a serious caveat to the careless reconstruction of the historical context of an ode, because the analogy between myth and actuality can be looser than we moderns would tend to think. This distrust is not surrender, as long as it is complemented by the knowledge that Pindar must have contemplated a literary level of reading for re-performance audiences.
If these are the general conclusions, the individual passages analysed deserve a separate discussion. The greatest achievements, in my opinion, are made in Olympic 4, Olympic 13, Pythian 2, Pythian 6, Pythian 8, Nemean 1 and Nemean 7 and Isthmian 4.
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