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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-05052008-184739


Tipo di tesi
Tesi di laurea vecchio ordinamento
Autore
SILVATICI, COSTANZA
URN
etd-05052008-184739
Titolo
Origine e sviluppo della prospettiva narrativa in psicologia
Dipartimento
LETTERE E FILOSOFIA
Corso di studi
FILOSOFIA
Relatori
Relatore Prof.ssa Calamari, Elena
Parole chiave
  • Nessuna parola chiave trovata
Data inizio appello
03/06/2008
Consultabilità
Completa
Riassunto
La psicologia ha affrontato al suo interno vari cambiamenti, uno dei quali è stato la “rivoluzione cognitiva”, che ha segnato la fine del primato del comportamentismo. L’impostazione della psicologia cognitivistica degli anni che seguirono la pubblicazione del libro di Bruner, è stata sintetizzata nel libro di Neisser del 1967, Psicologia cognitivista, che ha stabilito il nome della nuova corrente. In Neisser il concetto di “schema” rappresenta il cardine della teoria del ciclo percettivo. Grazie all’importante contributo offerto da Neisser (1976) alla svolta ermeneutica della psicologia, è stato possibile che lo studio dei processi cognitivi si sia collegato a quello della narrativa.
Lo studio della grammatica delle storie, compiuto dagli studiosi di narratologia, si è unito all’analisi della struttura mentale che soggiace alle storie.
Nelle opere della seconda fase del pensiero di questo filosofo sono contenuti dei concetti chiave riguardanti la spiegazione psicologica. Dunque, Wittgenstein (1966) sostiene che la logica delle ragioni non coincide con la logica delle cause.
Wittgenstein sostiene che i concetti mentali appartengono alla categoria di proprietà della sostanza, poiché essi sono proprietà che attribuiamo alle persone. In ultima analisi, Wittgenstein fornisce un contributo alla svolta ermeneutica della psicologia proprio perché difende una concezione interpretativa del mentale, contro una concezione causale del pensiero.
All’interno della corrente ermeneutica uno dei maggiori filosofi che ha contribuito allo sviluppo del concetto di narrazione in psicoanalisi è stato Habermas (1971).
La psicologia narrativa si riferisce a un punto di vista all’interno della psicologia interessato al racconto della vita umana, e quindi a come gli esseri umani costruiscono storie e ascoltano le storie degli altri. Successivamente un altro studioso, Polkinghorne (1988), ha offerto un’introduzione alla nozione generale di narrazione, incluso il suo studio all’interno della psicologia. Inoltre, in questo clima di rinnovamento, la metafora narrativa è andata collegandosi alla psicologia culturale, e in particolare a quegli orientamenti teorici sviluppatisi negli anni Novanta che basano lo studio della mente umana sulla valorizzazione del ruolo del sociale, del linguaggio e delle relazioni interpersonali.
La psicologia culturale sostiene che esista una relazione isomorfa tra mente e cultura, cioè la cultura sarebbe un processo di trasformazione e riduzione della realtà alla mente umana, un prodotto mentale umano.
Il costruttivismo considera la realtà come una costruzione generata dalla mente umana e dalle credenze tramandate storicamente; inoltre, all’interno della cultura gli uomini condividono le versioni della realtà create singolarmente. Secondo questa prospettiva non esiste una cultura al di fuori delle interpretazioni degli individui.
Nonostante le varie differenze di prospettive, all’interno della psicologia culturale si riscontrano molte idee in comune.
Innanzitutto nella psicologia culturale è presente una particolare importanza attribuita al concetto di soggettività. Questo approccio psicologico pone particolare attenzione alla spiegazione del comportamento e della soggettività individuale. Attraverso il linguaggio la persona condivide e diventa consapevole della storia e della cultura della sua comunità.
Attualmente esistono vari orientamenti teorici che impostano lo studio della mente sull’importanza del linguaggio, delle relazioni interpersonali e del sociale.
Nella psicologia discorsiva i processi discorsivi interpersonali producono il pensiero, che viene considerato come «l’attività e l’essenza della mente» (ivi, pag. 56). La vita mentale è dunque concepita come un’attività dinamica, in cui i contenuti della coscienza e della percezione rappresentano il nucleo della soggettività.
La psicologia culturale fa parte della produzione di Bruner che va dalla seconda metà degli anni Ottanta fino ai giorni nostri. Questo studioso, attualmente, è considerato uno dei massimi esponenti della psicologia culturale.
Infatti, la psicologia culturale di Bruner è una ricerca del significato il cui oggetto di indagine è l’analisi dei processi con cui i soggetti danno senso al mondo e alla loro vita.
Bruner (1983, 1986) afferma che i processi di costruzione del significato portano alla costituzione del linguaggio, che è il mezzo fondamentale attraverso cui gli uomini interpretano la realtà.
In Bruner il concetto di cultura sta alla base della psicologia culturale. Secondo Bruner (1990) la cultura contribuisce alla formazione della mente, poiché assegna un significato alle azioni e permette di interpretare gli stati intenzionali. Bruner mette in evidenza alcune ragioni che portano a considerare la cultura come centro della psicologia:
La prima ragione riguarda il valore formativo della cultura. Come afferma Bruner «sono la partecipazione dell’uomo alla cultura e la realizzazione delle potenzialità della sua mente attraverso la cultura che rendono impossibile la costruzione di una psicologia umana su base puramente individuale» (ivi, pag. 28).
La psicologia culturale deve tener conto anche della psicologia popolare.
La psicologia popolare concepisce l’esistenza di un contesto, che è il mondo esterno, «nel quale si situano le nostre azioni, e gli stati del mondo possono essere alla base dei nostri desideri e delle nostre credenze» (ivi, pag. 52).
La creazione della cultura avviene proprio tramite la narrazione. Per mezzo della narrazione le persone comunicano e condividono i significati che sono stati rielaborati attraverso la loro personale visione e interpretazione della realtà. Bruner delinea, allora, una “biologia del significato”.
Il linguaggio viene acquisito mediante l’uso. L’acquisizione del linguaggio dipende dal contesto: il bambino progredisce nell’acquisizione se già afferra in modo prelinguistico il significato dell’argomento trattato o della situazione del discorso.
Il discorso sulla biologia del significato porta Bruner ad affrontare poi, più specificamente, il tema dello sviluppo della competenza narrativa da parte del bambino. A questo proposito egli parla «delle modalità con cui gli esseri umani in tenera età cominciano a “entrare nel significato”, come imparano ad assegnare un senso, in particolare un senso narrativo, al mondo attorno a sé» (ivi, pag. 74).
Inoltre, Bruner ha analizzato lo sviluppo del soggetto legato al concetto di rappresentazione. In particolare come abbiamo visto, la narrazione è diventata il punto centrale della rinnovata visione della psicologia in Bruner (1986, 1990, 2002), secondo il quale noi usiamo la forma del racconto per spiegare gli eventi della vita quotidiana. All’interno di questa concezione, la narrazione è vista come l’espressione della propria visione della realtà, del proprio punto di vista, delle proprie credenze e delle proprie intenzioni, che diventano interpretabili. La convenzionalizzazione della narrativa converte l’esperienza individuale in un’esperienza collettiva.
Bruner afferma che la funzione del racconto è quella di aiutare a trovare i problemi e di fornire modelli del mondo. Fornendo solo la “rappresentazione del significato”, i testi coinvolgono il lettore a partecipare, insieme a essi, alla ricerca dei possibili significati. Le trasformazioni congiuntivizzanti proprie del linguaggio della narrazione mettono in risalto gli stati soggettivi e intenzionali, e le possibilità alternative. In ultima analisi, per Bruner (2002) il principale strumento del discorso narrativo è il linguaggio verbale, che esplora le situazioni umane attraverso l’immaginazione, trasportandoci nel regno del possibile. La storia è la sequenza temporale degli eventi (il contenuto), mentre il discorso è il tempo della presentazione degli eventi (il significato del contenuto). Come afferma Bruner la fabula rappresenta «la materia prima del racconto, gli eventi da travasare nel racconto stesso» (ivi, pag. 25). Brooks parla del modo in cui vengono strutturate le trame, della dinamica della narrativa, e di ciò che ci spinge a cercare un significato in una trama. In ultima analisi, la trama è il risultato sia del nostro rifiuto verso l’insignificante scorrere del tempo, sia del nostro bisogno di attribuire un senso alla vita e al mondo. Infine, deve essere presente la conclusione della storia che, attraverso una “coda”, porta «l’“allora” e il “là” del racconto che è stato raccontato nel “qui” e “ora” del raccontare» (ivi, pag. 114). Questo tipo di pensiero opera una costruzione scientifica della realtà. Un’altra caratteristica del pensiero paradigmatico è il procedimento di analisi del testo che va dall’ “alto verso il basso” (usato dagli psicologi della letteratura).
Questa modalità di pensiero è tipica del ragionamento quotidiano, ed è applicata principalmente al mondo sociale. La creazione narrativa della realtà non è sottoposta all’obbligo di dimostrazione formale, ma risponde al criterio della verosimiglianza.
Proprio del pensiero narrativo è il procedimento di analisi del testo (usato dagli psicologi della letteratura) che va dal basso verso l’alto.
lo scenario della coscienza: considera i sentimenti e i pensieri dei personaggi e del narratore. La logica del pensiero narrativo è meno formalizzata, ma più adatta a trattare azioni umane di quella del pensiero paradigmatico, grazie sia all’esistenza di soggetti svincolati da schemi di risposta, sia alla presenza di contesti sociali non definibili.
Come afferma Bruner (1996) «il processo del fare scienza è narrativo.
Abbiamo visto che Bruner attribuisce al pensiero narrativo un ruolo fondamentale, dato dalla sua funzione di attribuzione e costruzione di un ordine significativo nel mondo e nelle esperienze.
Bruner ha cercato di delineare le principali caratteristiche della narrazione che costituiscono i modi in cui i racconti danno forma alla realtà. Nel 1986 Bruner aveva elencato tre caratteristiche dei testi narrativi:
Una narrazione può essere reale o immaginaria
Appartenenza a un genere
Coniugazione della realtà al congiuntivo
Nel 1990 Bruner modifica queste caratteristiche e ne aggiunge altre:
Sequenzialità
La caratteristica secondo cui la narrazione può essere reale o immaginaria diventa “indifferenza ai fatti” o “opacità referenziale”
Sensibilità verso il canonico o ciò che viola la canonicità nelle interazioni umane
Intenzionalità
Composizione pentadica e incertezza
Doppio scenario
La caratteristica della coniugazione della realtà al congiuntivo diventa “congiuntivizzazione”, e viene affiancata alle caratteristiche della negoziabilità e della prospettiva della voce narrante
Strutturazione dell’esperienza
Particolarità e concretezza, sensibilità al contesto
Appartenenza a un genere
Si può notare che già in quest’opera del 1990 sono state sviluppate, seppur in forma embrionale, le idee fondamentali circa tali caratteristiche, anche se è presente una certa confusione tra forme narrative del pensiero e modo narrativo del discorso. In queste proprietà Bruner conferisce particolare risalto al ruolo degli eventi e degli stati d’animo del soggetto che interpreta la narrazione.
Nel saggio del 1991 le caratteristiche della narrazione vengono modificate ancora. Inoltre, risultano problematiche anche le caratteristiche della diacronicità, dell’intenzionalità, della referenzialità in riferimento al problema della verità storica e narrativa. Circa queste proprietà sembra che Bruner rischi di confondere fra prospettiva del soggetto e prospettiva della narrazione, e tra ordine lineare degli eventi e sequenzialità della narrazione.
Il senso di queste componenti emerge dalla loro ubicazione all’interno della trama.
In queste caratteristiche emerge l’importanza che Bruner conferisce all’intenzionalità e al tempo nella narrazione. Secondo Bruner (1996) infatti «anche l’esperienza delle cose umane finisce per assumere la forma delle narrazioni che usiamo per parlarne» (ivi, pag. 147).
Da tutto ciò è evidente che lo schema di storia è focalizzato sull’elaborazione della sintassi della narrazione, e comporta il concetto di “problema”. I copioni organizzano anche i racconti sulle violazioni della canonicità che rappresentano l’occasione della narrazione. In questa seconda soluzione lo schema guida verso la ricerca della coerenza, nel rispetto del noto e dell’usuale. La realtà viene trasformata in rapporto alle caratteristiche dello schema. In ogni caso, le soluzioni portano a trasformare le storie del secondo tipo in storie del primo tipo.
Storie del quarto tipo: queste si chiamano storie-ipotesi che servono per interpretare e risolvere la vicenda discrepante delle storie del terzo tipo. Questo quarto tipo di storie sono costruite trasformando le storie del terzo tipo in storie del primo o del secondo tipo. Allora, il pensiero narrativo deve coordinare tra loro il livello della successione delle azioni e quello della coscienza.
Altri autori oltre a Bruner si sono interessati del problema della discrepanza. Il processo di soluzione della discrepanza rappresenta il principio motivazionale che struttura lo sviluppo epigenetico della grammatica narrativa. La ricerca degli antecedenti porta alla produzione di ipotesi sulla scoperta delle cause: alcuni eventi presentano delle correlazioni. Tramite l’analisi delle intenzioni di un attore sociale, il soggetto usa una propria teoria della mente. Attraverso una teoria della mente il soggetto costruisce e arricchisce le proprie narrazioni in modo da articolare il livello delle azioni con quello delle intenzioni, elaborando sia rappresentazioni che metarappresentazioni sulla vita dei personaggi. Nell’elaborazione da parte del soggetto di una teoria della mente il pensiero narrativo può ricorrere all’uso di meccanismi paradigmatici. Metonimia: essa «permette una trasformazione del senso lungo l’asse […] della non similarità.
Questo concetto introduce la nozione di “mondo possibile” (Goodman, 1978) di notevole importante per la comprensione del funzionamento del pensiero narrativo. In questa opera ci troviamo di fronte a un monologo interiore in cui l’aspirazione autobiografica è tesa verso la dimostrazione del funzionamento della mente del suo scrittore concepita in piena autonomia rispetto a Dio e alla comunità umana.
Nel Settecento, dunque, è collocato uno degli eventi principali della modernità, la privatizzazione del soggetto: si afferma una soggettività moderna, razionale, libera e autonoma, artefice di se stessa, protagonista della natura e della società. Un altro cambiamento che si può riscontrare nelle autobiografie della seconda metà del Settecento è la considerazione del tempo.
L’inquietudine della fine dell’Ottocento apre le porte alla crisi del soggetto che caratterizzerà tutto il Novecento. Il problema della soggettività trova proprio nell’autobiografia il segnale del suo statuto problematico. Attraverso il processo della scrittura autobiografica, quando dalla narrazione si passa alla scrittura, avviene un passaggio dalla linearità alla circolarità, al ruotare intorno alla memoria e all’introspezione.
Dunque, l’autobiografia secondo questo studioso è un racconto in prosa retrospettivo della vita e della formazione della personalità del narratore.
Inoltre, la prospettiva del resoconto autobiografico è retrospettiva: l’autobiografia dà prova di uno sforzo di sintesi della storia della personalità dell’autore. Lo statuto narrativo del soggetto mostra come esso si costituisce nella sua identità sostanziale. L’autobiografia produce identità e senso del soggetto, poiché la narrazione dà ordine.
All’interno del costruttivismo si inseriscono le teorizzazioni della psicologia culturale. Come afferma Bruner (1990) «una psicologia culturale è una psicologia interpretativa» (ivi, p. 115).
Della psicologia culturale, inoltre, abbiamo visto essere fondamentale esponente Jerome Bruner, il cui interesse dagli anni novanta in poi è stato rivolto soprattutto alla comprensione della mente umana in relazione al pensiero narrativo tramite cui le persone raccontano storie e spiegazioni sulla realtà. Alla luce di queste nuove concezioni, Bruner (1990) dimostra che il sé è un prodotto del processo di costruzione del significato, e che è “distribuito” in senso interpersonale.
Dunque Bruner si rende conto dell’importanza che riveste la narrazione autobiografica nella formazione del sé, poiché il soggetto autonarrandosi dà significato alle sue azioni. All’interno di questo processo si verifica una continua ricostruzione della nostra identità e una co-costruzione della realtà circostante. Secondo Bruner il resoconto autobiografico poggia sulla capacità innata della mente di interpretare l’esperienza narrativamente. Il processo interpretativo sottostante al resoconto autobiografico è ciò che forma la “mente nella cultura”.
Come abbiamo visto, la psicologia culturale di Bruner rappresenta una delle prospettive teoriche che ha messo maggiormente in luce l’importanza della narrazione autobiografica in rapporto agli aspetti di costruzione e interpretazione.
La creazione del sé, dunque, è un’arte narrativa ed è vincolata dalla memoria. La particolarità della creazione del sé sta nel suo avvenire sia dall’interno che dall’esterno. La sua parte interiore è costituita dalla memoria, dai sentimenti, dalle idee, dalle credenze, dalla soggettività; inoltre, parte della sua interiorità è probabilmente innata e specifica della nostra specie. Il concetto di sé sociale esprime lo stretto legame tra individuo e contesto di cui fa parte, e il sé è legato alla costruzione del significato. Bruner (1990) vuole evidenziare che l’interpretazione è uno stato soggettivo riferibile, e l’individualità e la cultura si incontrano nel processo della ricerca del significato. Questa dimensione deriverebbe dalla circolarità dinamica tra natura del sé, costruzione del significato e contesto culturale di riferimento.
Bruner nel suo lavoro del 1995 intitolato Self Reconsidered: Five Conjectures, ha mostrato alcune ipotesi sul collegamento esistente tra sé e narrazione, esaminato sotto il punto di vista della psicologia culturale, cioè muovendo dalla considerazione che la relazione tra pensiero narrativo e costruzione del sé avviene all’interno di una negoziazione di significati. L’autore propone varie congetture sulla natura, lo sviluppo e la costruzione del sé, che sono:
Differenziazione dinamica: la funzione iniziale della costruzione del sé è quella di differenziarlo dal mondo.
Metacognizione: per la costruzione del sé necessario un processo in cui si compiono riflessioni sul funzionamento della propria e dell’altrui mente. Ingresso nella cultura: il sé deve inserirsi progressivamente nel sistema simbolico della propria cultura di appartenenza. La dimensione narrativa del sé ci collega alla cultura e ci permette di dare un’interpretazione ‘culturale’ del nostro sé.
Questi elementi rappresentano l’espressione della circolarità esistente tra costruzione del sé e sistema simbolico culturale.
L’autobiografia ha come oggetto il racconto della storia della propria vita, così come si è plasmata nel tempo.
A causa, però, del fatto che nelle narrazioni autobiografiche si segue uno sviluppo verso uno scopo, e dunque nel passaggio dal flusso della vita al flusso della necessità, viene persa una fondamentale dimensione della vita umana, che è il caso.
Tutte le narrazioni combinano il tempo della storia con il tempo del discorso. Quando raccontiamo la storia della nostra vita lo facciamo nel presente, e ciò rappresenta il momento di fusione del tempo narrato con il tempo narrativo.
L’analisi della narrazione autobiografica, allora, conduce Bruner a dare una spiegazione di quali sono i segnali che possono caratterizzare il sé del narratore. Indicatori di coerenza (coherence): riguardano la coerenza degli atti, degli impegni e degli investimenti di risorse, ed è un aspetto strettamente legato al problema della canonicità e della sua violazione.
Dunque, nella concezione di Bruner (1998a), gli indicatori del sé rappresentano delle categorie generali di segnali della presenza di identità culturali e individuate. Lo studio dell’autobiografia comporta inevitabilmente il riferimento al concetto di memoria autobiografica (Bruner 1993, 1994).

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