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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-05022022-193116


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
NANNINI, ALESSANDRO
Indirizzo email
a.nannini7@studenti.unipi.it, alessandro-nannini@virgilio.it
URN
etd-05022022-193116
Titolo
ADHD nell'adulto: confronto tra pazienti trattati in età infantile e in età adulta
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Perugi, Giulio
Parole chiave
  • ADHD
  • Disattenzione
  • Impulsività
  • Iperattività
  • Trattamento
  • Metilfenidato
  • Diagnosi precoce
  • Comorbidità
Data inizio appello
24/05/2022
Consultabilità
Tesi non consultabile
Riassunto
Il Disturbo da Deficit d'Attenzione/Iperattività (ADHD) è un disturbo del neurosviluppo ad esordio infantile/adolescenziale, caratterizzato da disattenzione, iperattività, impulsività e disregolazione emotiva. L'ADHD può persistere in età adulta con sintomatologia disattentiva più evidente rispetto all'iperattività/impulsività che tendono a diminuire col passare degli anni. L’ADHD nell’adulto si presenta con un quadro clinico più complesso ed eterogeneo rispetto all’età evolutiva, con numerose comorbidità come il disturbo da uso di sostanze, i disturbi dell'umore e i disturbi d'ansia, che complicano sia la diagnosi stessa che il successivo trattamento. Il trattamento dell'ADHD si avvale di un approccio multimodale basato su interventi psicoterapeutici, comportamentali, farmacologici e di supporto; la terapia con stimolanti, in particolare con Metilfenidato, rappresenta la prima linea nel trattamento dei bambini e degli adulti. Lo scopo del nostro studio è valutare le differenze, in termini di sintomatologia, comorbidità e funzionamento generale, tra i pazienti adulti con ADHD non diagnosticati o trattati prima dell’età adulta e i pazienti che in precedenza avevano ricevuto attenzione clinica in età infantile/adolescenziale, avevano ricevuto una diagnosi di ADHD prima dei 18 anni, o avevano effettuato trattamento con Metilfenidato per almeno un anno in età infantile/adolescenziale. Abbiamo quindi reclutato un campione di 100 pazienti adulti con diagnosi di ADHD seguiti presso gli ambulatori dell’U.O di Psichiatria 2 dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, di cui 40 non avevano mai avuto attenzione clinica prima dei 18 anni. Dei 60 già valutati in ambiente specialistico in età infantile/adolescenziale, 26 avevano ricevuto la diagnosi di ADHD, e solo 20 avevano effettuato trattamento con Metilfenidato per almeno un anno. Dalle nostre valutazioni è emerso che i pazienti valutati prima dei 18 anni presentano più spesso una storia di comportamenti dirompenti rispetto ai soggetti mai valutati. Inoltre, i pazienti attenzionati in età infantile/adolescenziale, ma non trattati presentano, all'arrivo in ambiente psichiatrico, una maggior gravità sia in termini di sintomi cardine dell’ADHD che in termini di funzionamento esecutivo rispetto ai pazienti trattati precocemente ma anche rispetto ai pazienti mai valutati in età infantile/adolescenziale. Al contrario, nonostante una storia di sintomi esternalizzanti significativi, i soggetti valutati e trattati nell’infanzia/adolescenza, presentano, al momento della valutazione in età adulta, un più basso tasso di disturbi dell’umore (la metà rispetto agli altri due gruppi), una minore tendenza all’affettività negativa, una minor gravità dei sintomi da ADHD riferiti, e un miglior funzionamento globale. Possiamo quindi concludere che: 1) la presenza di comportamenti dirompenti possa rappresentare uno dei principali motivi di attenzione specialistica nei pazienti con ADHD in età infantile/adolescenziale; 2) l’assenza di trattamento specifico per ADHD possa portare ad un quadro clinico più grave in età adulta, anche rispetto a chi, probabilmente per una minore gravità iniziale, non ha mai ricevuto attenzione clinica in età infantile/adolescenziale; 3) il trattamento con Metilfenidato risulta essere più utilizzato in età infantile/adolescenziale nei pazienti senza una storia di disturbi dell’umore da adulti. Quest’ultima conclusione può essere interpretata in maniera duplice: da un lato la presenza di disturbi dell’umore/problematiche di regolazione emotiva potrebbe aver scoraggiato lo specialista nell’indagare in merito alla diagnosi di ADHD e/o nel proporre un trattamento con Metilfenidato, viceversa il trattamento con Metilfenidato potrebbe aver favorito una migliore traiettoria evolutiva nei pazienti trattati, permettendo lo sviluppo di capacità di regolazione emotiva e di coping tali da prevenire la successiva comparsa di disturbi affettivi.
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