Tesi etd-05022018-164505 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
GIACALONE, FABIO
URN
etd-05022018-164505
Titolo
Identità performate: generi e femminismi nella sperimentazione audiovisiva contemporanea
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE, DELLO SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA
Relatori
relatore Marcheschi, Elena
Parole chiave
- queer
- video
Data inizio appello
28/05/2018
Consultabilità
Completa
Riassunto
Sebbene apparentemente sembri semplice e chiaro, il concetto di identità si struttura in realtà come un elemento più complesso e labirintico rispetto a quanto si intenda comunemente. A cosa ci riferiamo quando parliamo di identità? Identità culturale, sociale, di genere, sessuale?
Un ampio spettro di risposte, ma con denominatore comune: sono tutte caratteristiche che rappresentano e descrivono un individuo. Spesso tali attributi sono però considerati in modo aprioristico: preesistono alla nostra esistenza, siamo a essi associati quando nasciamo e ci definiscono lungo il percorso della nostra vita. Per tali motivi, la questione dell’appartenenza si configura quindi come centrale nel discorso identitario che, negli ultimi anni, è tornato a essere la base di studi e ricerche in ambito socio-antropologico.
Parlare di identità implica pertanto parlare anche di genere. Sebbene le definizioni identitarie riguardino anche cultura, società, razza, religione e molto altro, alla base di tutto ritroviamo proprio il genere.
Perché prima di essere cittadini, prima di appartenere a un certo substrato sociale e culturale, alla nascita siamo considerati come uomini o donne, maschi o femmine. Subito dopo la nascita il controllo dei genitali accerta l’inserimento all’interno di una data categoria. E tale determinazione segna ogni essere umano per il resto della vita: in base all’appartenenza a un sesso o all’altro, prima ancora di essere considerati per caratteristiche estetiche, economiche e intellettive, il nostro sesso farà si che ci siano porte aperte o chiuse, strade avallate o impervie.
Con l’avvento e lo sviluppo degli ormai noti gender e queer studies, a partire dagli anni Sessanta e Settanta del Novecento, si è cercato di far luce e destrutturare numerose pratiche sociali considerate come naturali e biologiche. Nello specifico, il tentativo di tali studi è stato quello di scomporre l’identità col fine di capire quanti e quali siano davvero i fattori biologici che influiscono sulla creazione dell’individuo, e quanti e quali siano invece i fattori derivanti da una costruzione socio-culturale. Ciò che tali studi cercano di contestare è proprio l’assunto, come ricorda Simone De Beauvoir, del determinismo biologico, secondo cui la biologia è destino .
Da quando però il concetto di identità di genere fu introdotto a livello psichiatrico si iniziò a scindere fra quest’ultima e il sesso biologico . Ma furono solamente gli apporti successivi di filosofe femministe come Ann Oakley, Gayle Rubin, Joan Scott e Judith Butler a rivelarsi fondamentali nello sviluppo delle teorie identitarie sul genere. Dalle loro osservazioni emerge il ritratto di una società che ha “naturalizzato” il concetto di femminile e di maschile, rivestendoli di norme e convenzioni ben precise e strutturate. Dalle stesse filosofe è poi rivendicata una cesura netta fra natura e cultura, distruggendo anche l’idea di un genere unico o binario, lasciando piuttosto spazio a molteplici sfumature identitarie.
In che modo dunque video e sperimentazione audiovisiva portano il loro contributo al dibattito sull’identità?
Judith Butler, nel suo Gender Trouble, parla del genere come un atto, una performance ripetuta . Attraverso la decostruzione delle rappresentazioni sociali delle identità, basate sul concetto che il genere è performativo, Butler propone la transitività dei generi e mette in discussione la stabilità dell’identità e delle politiche a essa legate. Se l’identità non è quindi fissa, questa non può più essere ridotta, etichettata o categorizzata. Secondo Butler è possibile disvelare le costruzioni del genere attraverso quelli che chiama gli atti corporei di sovversione, come i travestimenti e le azioni di dragging: tali pratiche sono sovversive in quanto consistono in una imitazione parodistica e consapevole delle norme di genere e, così facendo, rendono visibile il carattere imitativo e performativo del genere stesso. Questo scritto vuole pertanto ovviamente evidenziare il contributo che le arti elettroniche hanno apportato e continuano ad apportare sulle tematiche dell’identità e del genere. Tale obiettivo sarà perseguibile unendo due campi: da un lato attraverso l’apporto della pratica sperimentale audiovisiva, dall’altro analizzando i contributi di teorici e studiosi che hanno affrontato la questione dell’identità di genere. In ultima istanza, questa tesi nasce dalla constatazione di una mancanza di scritti uniformi in materia che unissero le teorie e le pratiche video sperimentali inerenti l’ambito identitario. Nonostante siano numerosissimi gli esempi di sperimentazioni audiovisive sull’identità e il genere, ho sentito l’esigenza di uno scritto unitario che li racchiudesse in sé, correlandoli ai numerosi gender studies. Partendo proprio dai cataloghi INVIDEO e da numerosi altri esempi collezionati nel corso del mio biennio di studi magistrali, ho selezionato dei gruppi di opere e di artisti, da me ritenute più significative, concentrandole in un periodo che si colloca principalmente dagli anni Ottanta/Novanta ai giorni nostri.
Un ampio spettro di risposte, ma con denominatore comune: sono tutte caratteristiche che rappresentano e descrivono un individuo. Spesso tali attributi sono però considerati in modo aprioristico: preesistono alla nostra esistenza, siamo a essi associati quando nasciamo e ci definiscono lungo il percorso della nostra vita. Per tali motivi, la questione dell’appartenenza si configura quindi come centrale nel discorso identitario che, negli ultimi anni, è tornato a essere la base di studi e ricerche in ambito socio-antropologico.
Parlare di identità implica pertanto parlare anche di genere. Sebbene le definizioni identitarie riguardino anche cultura, società, razza, religione e molto altro, alla base di tutto ritroviamo proprio il genere.
Perché prima di essere cittadini, prima di appartenere a un certo substrato sociale e culturale, alla nascita siamo considerati come uomini o donne, maschi o femmine. Subito dopo la nascita il controllo dei genitali accerta l’inserimento all’interno di una data categoria. E tale determinazione segna ogni essere umano per il resto della vita: in base all’appartenenza a un sesso o all’altro, prima ancora di essere considerati per caratteristiche estetiche, economiche e intellettive, il nostro sesso farà si che ci siano porte aperte o chiuse, strade avallate o impervie.
Con l’avvento e lo sviluppo degli ormai noti gender e queer studies, a partire dagli anni Sessanta e Settanta del Novecento, si è cercato di far luce e destrutturare numerose pratiche sociali considerate come naturali e biologiche. Nello specifico, il tentativo di tali studi è stato quello di scomporre l’identità col fine di capire quanti e quali siano davvero i fattori biologici che influiscono sulla creazione dell’individuo, e quanti e quali siano invece i fattori derivanti da una costruzione socio-culturale. Ciò che tali studi cercano di contestare è proprio l’assunto, come ricorda Simone De Beauvoir, del determinismo biologico, secondo cui la biologia è destino .
Da quando però il concetto di identità di genere fu introdotto a livello psichiatrico si iniziò a scindere fra quest’ultima e il sesso biologico . Ma furono solamente gli apporti successivi di filosofe femministe come Ann Oakley, Gayle Rubin, Joan Scott e Judith Butler a rivelarsi fondamentali nello sviluppo delle teorie identitarie sul genere. Dalle loro osservazioni emerge il ritratto di una società che ha “naturalizzato” il concetto di femminile e di maschile, rivestendoli di norme e convenzioni ben precise e strutturate. Dalle stesse filosofe è poi rivendicata una cesura netta fra natura e cultura, distruggendo anche l’idea di un genere unico o binario, lasciando piuttosto spazio a molteplici sfumature identitarie.
In che modo dunque video e sperimentazione audiovisiva portano il loro contributo al dibattito sull’identità?
Judith Butler, nel suo Gender Trouble, parla del genere come un atto, una performance ripetuta . Attraverso la decostruzione delle rappresentazioni sociali delle identità, basate sul concetto che il genere è performativo, Butler propone la transitività dei generi e mette in discussione la stabilità dell’identità e delle politiche a essa legate. Se l’identità non è quindi fissa, questa non può più essere ridotta, etichettata o categorizzata. Secondo Butler è possibile disvelare le costruzioni del genere attraverso quelli che chiama gli atti corporei di sovversione, come i travestimenti e le azioni di dragging: tali pratiche sono sovversive in quanto consistono in una imitazione parodistica e consapevole delle norme di genere e, così facendo, rendono visibile il carattere imitativo e performativo del genere stesso. Questo scritto vuole pertanto ovviamente evidenziare il contributo che le arti elettroniche hanno apportato e continuano ad apportare sulle tematiche dell’identità e del genere. Tale obiettivo sarà perseguibile unendo due campi: da un lato attraverso l’apporto della pratica sperimentale audiovisiva, dall’altro analizzando i contributi di teorici e studiosi che hanno affrontato la questione dell’identità di genere. In ultima istanza, questa tesi nasce dalla constatazione di una mancanza di scritti uniformi in materia che unissero le teorie e le pratiche video sperimentali inerenti l’ambito identitario. Nonostante siano numerosissimi gli esempi di sperimentazioni audiovisive sull’identità e il genere, ho sentito l’esigenza di uno scritto unitario che li racchiudesse in sé, correlandoli ai numerosi gender studies. Partendo proprio dai cataloghi INVIDEO e da numerosi altri esempi collezionati nel corso del mio biennio di studi magistrali, ho selezionato dei gruppi di opere e di artisti, da me ritenute più significative, concentrandole in un periodo che si colloca principalmente dagli anni Ottanta/Novanta ai giorni nostri.
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