Tesi etd-04292013-195035 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
POLETTI, CLAUDIA
URN
etd-04292013-195035
Titolo
Cittadinanza dell’UE e diritti elettorali a livello nazionale: un aspetto poco noto del c.d. deficit democratico
Dipartimento
SCIENZE POLITICHE
Corso di studi
STUDI INTERNAZIONALI
Relatori
relatore Prof. Di Filippo, Marcello
Parole chiave
- cittadinanza dell'UE
- deficit democratico
- democrazia
- elezioni nazionali
- libertà di movimento
- nazionalità
- rappresentanza politica
Data inizio appello
20/05/2013
Consultabilità
Completa
Riassunto
Esercitare i diritti legati al possesso della cittadinanza dell’Unione Europea non dovrebbe privare i cittadini europei della possibilità di partecipazione politica a livello statale. Secondo l’articolo 22 TFUE i cittadini europei che risiedono in uno Stato membro diverso da quello di cittadinanza hanno il diritto di votare alle elezioni locali e europee che si svolgono nel Paese membro di residenza ma non alle elezioni nazionali.
Alcuni cittadini europei che beneficiano del diritto di muoversi liberamente e risiedere sul territorio dell’Unione perdono il loro diritto alla partecipazione politica alle elezioni nazionali del loro Stato di cittadinanza se lo Stato membro di nazionalità revoca o limita il voto degli espatriati. Secondo una ricerca da me condotta sulle legislazioni nazionali inerenti alle pratiche del voto esterno nell’Unione Europa, e riportata nella presente trattazione, dei 27 Paesi membri dell'Unione Europea (28 se considerata la Croazia prossima ad entrare), almeno 8 revocano o impongono limitazioni al voto degli espatriati. Allo stesso tempo questi soggetti non hanno il diritto di votare per il livello nazionale di rappresentanza politica nello Stato di residenza.
La revoca del diritto di voto a livello nazionale nello Stato di cittadinanza ha ripercussioni a livello europeo. In primis può essere vista come un ostacolo alla libertà di movimento dei cittadini europei e dunque legislazioni nazionali inerenti al voto dall’estero così strutturate possono avere un effetto deterrente. Inoltre i cittadini europei che perdono il diritto di voto alle elezioni nazionali nello Stato di cittadinanza risultano non avere 1) una rappresentanza diretta nei Parlamenti nazionali (il ruolo dei quali è stato reso più incisivo in alcuni settori conseguentemente alle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona); 2) una rappresentanza indiretta nel Consiglio dei Ministri, ovvero nella legislazione europea, tramite il voto dei loro Governi nazionali nel Consiglio (da sempre uno degli organi decisionali fondamentali nel processo legislativo europeo).
Tutto questo può essere visto come uno specifico aspetto del cosiddetto deficit democratico europeo che è stato a lungo sottostimato e poco tenuto in considerazione dalle Istituzioni europee stesse. L’Unione, conscia del problema, riconosciuto in diversi documenti istituzionali, non ha intrapreso alcuna azione volta a risolverlo se non enunciazioni di intenti riguardanti l’apertura di un dialogo politico tra gli Stati che non permettono o limitano il voto dall’estero degli espatriati.
Questa trattazione ha almeno tre scopi principali. In primis non esistendo né un inventario mondiale né europeo che faccia il punto sui diritti di voto dei cittadini residenti all’estero ed essendo poche le ricerche comparative sul tema del voto esterno, scopo di questa tesi è colmare il gap che consiste in un’assenza generale di informazioni sistematiche sulle rilevanti previsioni giuridiche dei diversi Paesi europei in materia. Vuole inoltre indagare la legalità delle legislazioni nazionali in questione alla luce del diritto dell’UE e avanzare soluzioni al problema esposto.
Alla luce delle resistenze che gli Stati membri hanno mostrato negli anni quando si è cercato di regolare temi di carattere altamente politico come si configura essere il diritto di voto per i parlamenti nazionali, risulta improbabile che si accordino per una modifica dei Trattati volta a permettere la piena partecipazione politica dei cittadini europei a livello nazionale nello Stato di residenza. Per gli stessi motivi ogni soluzione al problema che richiede per la sua approvazione il comune accordo di tutti gli Stati membri è irrealistico che possa essere approvata.
Per tutti questi motivi l’unica via per garantire una soluzione plausibile e realistica al problema è tramite la cosiddetta integrazione negativa che coinvolge la Corte di giustizia europea. La Corte ha infatti mostrato negli anni un crescente coinvolgimento in temi riguardanti la cittadinanza europea come il diritto alla libertà di movimento, impegnandosi, tramite le sue sentenze, a rimuovere le restrizioni ingiustificate che le diverse legislazioni nazionali ponevano al suo esercizio. Alla luce dell’evoluzione della sua giurisprudenza in questo campo, la Corte dovrebbe indagare a fondo l’effetto deterrente delle legislazioni nazionali che revocano o limitano il voto degli espatriati e concludere che queste, configurandosi come restrizioni ingiustificate alla libertà di movimento, scoraggiano i cittadini europei da un suo esercizio. Agendo in tal senso la Corte assicurerebbe ai cittadini europei che decidono di esercitare la libertà di movimento il mantenimento del diritto di voto nelle elezioni nazionali che hanno luogo nel Paese di origine e allo stesso tempo annullerebbe le ripercussioni a livello europeo delle legislazioni nazionali che vietano o limitano il voto dall’estero.
Alcuni cittadini europei che beneficiano del diritto di muoversi liberamente e risiedere sul territorio dell’Unione perdono il loro diritto alla partecipazione politica alle elezioni nazionali del loro Stato di cittadinanza se lo Stato membro di nazionalità revoca o limita il voto degli espatriati. Secondo una ricerca da me condotta sulle legislazioni nazionali inerenti alle pratiche del voto esterno nell’Unione Europa, e riportata nella presente trattazione, dei 27 Paesi membri dell'Unione Europea (28 se considerata la Croazia prossima ad entrare), almeno 8 revocano o impongono limitazioni al voto degli espatriati. Allo stesso tempo questi soggetti non hanno il diritto di votare per il livello nazionale di rappresentanza politica nello Stato di residenza.
La revoca del diritto di voto a livello nazionale nello Stato di cittadinanza ha ripercussioni a livello europeo. In primis può essere vista come un ostacolo alla libertà di movimento dei cittadini europei e dunque legislazioni nazionali inerenti al voto dall’estero così strutturate possono avere un effetto deterrente. Inoltre i cittadini europei che perdono il diritto di voto alle elezioni nazionali nello Stato di cittadinanza risultano non avere 1) una rappresentanza diretta nei Parlamenti nazionali (il ruolo dei quali è stato reso più incisivo in alcuni settori conseguentemente alle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona); 2) una rappresentanza indiretta nel Consiglio dei Ministri, ovvero nella legislazione europea, tramite il voto dei loro Governi nazionali nel Consiglio (da sempre uno degli organi decisionali fondamentali nel processo legislativo europeo).
Tutto questo può essere visto come uno specifico aspetto del cosiddetto deficit democratico europeo che è stato a lungo sottostimato e poco tenuto in considerazione dalle Istituzioni europee stesse. L’Unione, conscia del problema, riconosciuto in diversi documenti istituzionali, non ha intrapreso alcuna azione volta a risolverlo se non enunciazioni di intenti riguardanti l’apertura di un dialogo politico tra gli Stati che non permettono o limitano il voto dall’estero degli espatriati.
Questa trattazione ha almeno tre scopi principali. In primis non esistendo né un inventario mondiale né europeo che faccia il punto sui diritti di voto dei cittadini residenti all’estero ed essendo poche le ricerche comparative sul tema del voto esterno, scopo di questa tesi è colmare il gap che consiste in un’assenza generale di informazioni sistematiche sulle rilevanti previsioni giuridiche dei diversi Paesi europei in materia. Vuole inoltre indagare la legalità delle legislazioni nazionali in questione alla luce del diritto dell’UE e avanzare soluzioni al problema esposto.
Alla luce delle resistenze che gli Stati membri hanno mostrato negli anni quando si è cercato di regolare temi di carattere altamente politico come si configura essere il diritto di voto per i parlamenti nazionali, risulta improbabile che si accordino per una modifica dei Trattati volta a permettere la piena partecipazione politica dei cittadini europei a livello nazionale nello Stato di residenza. Per gli stessi motivi ogni soluzione al problema che richiede per la sua approvazione il comune accordo di tutti gli Stati membri è irrealistico che possa essere approvata.
Per tutti questi motivi l’unica via per garantire una soluzione plausibile e realistica al problema è tramite la cosiddetta integrazione negativa che coinvolge la Corte di giustizia europea. La Corte ha infatti mostrato negli anni un crescente coinvolgimento in temi riguardanti la cittadinanza europea come il diritto alla libertà di movimento, impegnandosi, tramite le sue sentenze, a rimuovere le restrizioni ingiustificate che le diverse legislazioni nazionali ponevano al suo esercizio. Alla luce dell’evoluzione della sua giurisprudenza in questo campo, la Corte dovrebbe indagare a fondo l’effetto deterrente delle legislazioni nazionali che revocano o limitano il voto degli espatriati e concludere che queste, configurandosi come restrizioni ingiustificate alla libertà di movimento, scoraggiano i cittadini europei da un suo esercizio. Agendo in tal senso la Corte assicurerebbe ai cittadini europei che decidono di esercitare la libertà di movimento il mantenimento del diritto di voto nelle elezioni nazionali che hanno luogo nel Paese di origine e allo stesso tempo annullerebbe le ripercussioni a livello europeo delle legislazioni nazionali che vietano o limitano il voto dall’estero.
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