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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-04282023-192234


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
CAVALLINI, MATTIA
URN
etd-04282023-192234
Titolo
La Pedofilia: aspetti clinici e giuridici.
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Venafro, Emma
Parole chiave
  • pedofilia
Data inizio appello
22/05/2023
Consultabilità
Tesi non consultabile
Riassunto
Nello svolgimento della tesi ho trattato la pedofilia secondo un punto di vista multisettoriale, indagando sulle caratteristiche e peculiarità dei soggetti affetti dal disturbo pedofilo e illustrando come tale problematica è stata affrontata a livello sovranazionale e interno.
Quando ci riferiamo al pedofilo dobbiamo inizialmente approfondire l’indagine sulla sua sfera soggettiva, ciò che ne emerge è un panorama molto dettagliato e variegato che non permette di poter trattare la casistica in modo omogeneo. Tutt’al più è possibile distingue il malato per le sue diverse caratteristiche.
La differenzazione è molto importante per l’indagine del fenomeno perché riflette differenze sia per quanto riguarda la natura del disturbo, la percezione del pedofilo di sé, del mondo esteriore e soprattutto, del bambino cui rivolge i propri desideri. Conseguentemente questo si riflette anche nella macchinazione e realizzazione dei reati a sfondo pedofilo.
Dal mio punto di vista conoscere appieno il pedofilo da un punto di vista soggettivo, permette di rispondere alla necessità di controllo di tale fenomeno, soddisfando quindi il fine general-preventivo con maggior efficienza rispetto alla mera sanzione per il fatto oggettivo commesso. Difatti non dobbiamo dimenticare che seppur il pedofilo sia, in caso di commissione di una violenza su minore, un criminale, è ancor prima un soggetto affetto da un disturbo riconosciuto dalla comunità scientifica. Considerare il pedofilo semplicemente come “mostro” da espellere dalla comunità rischia di spingere la volontà della società, e conseguentemente le scelte politico-criminali, verso una repressione di questi soggetti mediante strumenti sanzionatori sproporzionati.
Dobbiamo invece avere coscienza del fatto che questo fenomeno è non solo presente fin dagli arbori della storia dell’uomo, ma era anche socialmente accettato. Nella Grecia del V secolo a.C. parliamo di “pederastia”, che altro non era il modello pedagogico principale che consisteva in un rapporto sessuale tra il maestro adulto ed il bambino ultradodicenne, così che quest’ultimo potesse ottenere un proprio ruolo all’interno della società. Oppure pensiamo alla Francia del 1600, in cui vi era la convinzione che masturbare i bambini potenziasse il loro sviluppo sessuale. In realtà non importa andare tanto lontani nel tempo per conoscere contesti in cui la pedofilia non esiste come reato. In diverse zone africane come nel Malawi, Mozambico e Zambia, esistono comunità in cui vengono posti in essere “riti di passaggio” dall’infanzia all’età adulta che prevedono rapporti sessuali tra la bambina e un adulto. Di conseguenza dobbiamo comprendere, allontanandoci dal sentimento di ripudio per tali condotte che è concettualmente collegato al costume della società, come mai un adulto muove le proprie pulsioni sessuali verso un bambino.
Inquadrare il pedofilo dal duplice punto di vista criminologico di criminale e malato riflette la necessarietà di affiancare alla mera sanzione, un trattamento efficace. Difatti a livello di normativa internazionale, oltre alla volontà di estendere la sfera di tutela dei minori a causa della caratterizzazione sempre più internazionale dei fenomeni di sfruttamento sessuale minorile, si è ravvisata la volontà di agire sul reo in chiave risocializzante. Il nostro ordinamento, adeguandosi alla normativa sovranazionale ha predisposto dei piani trattamentali per i child sex offenders al fine di dotarli di strumenti idonei a prevenire la recidiva.
Il punto focale della tesi da me trattata si basa sul concetto che, essendo i reati a sfondo pedofilo commessi per concretizzare una pulsione sessuale deviante, la sola sanzione perderebbe di qualsiasi efficacia, soprattutto dal punto di vista deterrente. Viceversa, agire sul disturbo stesso predisponendo un trattamento idoneo permette di rispondere, con maggior efficienza, sia all’esigenza sia special-preventiva di risocializzazione del reo, sia general-preventiva di tutela della comunità dalla recidiva di tali condotte.
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