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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-04282022-110332


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
FERRINI, JESSICA
URN
etd-04282022-110332
Titolo
Ruolo del beta-blocco nel paziente con shock settico: dati preliminari sull'utilizzo di Landiololo.
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Biancofiore, Giandomenico Luigi
Parole chiave
  • beta-bloccanti
  • beta-blockers
  • Landiobloc
  • Landiolol
  • Landiololo
  • sepsi
  • sepsis
  • septic shock
  • shock settico
Data inizio appello
24/05/2022
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
24/05/2092
Riassunto
La sepsi, secondo la definizione del Third International Consensus del 2016, è una disfunzione d’organo provocata da una risposta infiammatoria eccessiva nei confronti di un agente infettivo. Essa è una patologia tempo dipendente che si manifesta clinicamente con un SOFA score ≥ 2, che conferisce una mortalità intraospedaliera maggiore del 10% e se necessario un supporto rianimatorio avanzato la mortalità è superiore al 40%. Deve essere riconosciuta e trattata il prima possibile perché può evolvere rapidamente verso lo shock settico, condizione clinica in cui il paziente è gravemente ipoteso e necessita della somministrazione di vasopressori per mantenere una pressione arteriosa media di almeno 65mmHg, necessaria per garantire la perfusione degli organi.
Lo stato infiammatorio che si verifica in risposta ad un agente infettivo ha numerose conseguenze soprattutto sull’apparato cardiocircolatorio; a livello cardiaco le citochine infiammatorie riducono l’attività dei miocardiociti mentre a livello endoteliale determinano un incremento della permeabilità vascolare, responsabile della grave ipotensione di questi pazienti che si ripercuote negativamente sulla perfusione degli organi. Nei casi più gravi si può configurare un’insufficienza multiorgano, ossia la disfunzione di più organi come il cervello, il cuore, il rene, il fegato e l’intestino con la compromissione della prognosi del paziente. Il principale meccanismo di compenso che si verifica in risposta alla riduzione della pressione arteriosa durante lo shock settico è la tachicardia, che viene esacerbata anche dalla somministrazione esogena di catecolamine che si effettua al fine di mantenere una pressione arteriosa media che consenta la perfusione degli organi. Una frequenza cardiaca persistentemente elevata è responsabile di un incremento del consumo di ossigeno, inoltre, considerando che la perfusione cardiaca avviene principalmente durante la diastole, nel paziente tachicardico si ha un maggior rischio di ischemia per una conseguente ipoperfusione del miocardio. Alcune indagini hanno evidenziato come una frequenza cardiaca > 95 bpm nel paziente con shock sia associata ad una prognosi sfavorevole con un aumento del rischio di infarto miocardico, fibrillazione atriale e morte cardiaca. Per tutti questi motivi si è ritenuto opportuno ricorrere all’utilizzo di betabloccanti per ridurre la frequenza cardiaca. Tra i molti betabloccanti presenti in commercio si è scelto di utilizzare farmaci con un onset rapido e una breve emivita, in modo tale da effettuare una titolazione rapida e controllare rapidamente eventuali effetti avversi interrompendone la somministrazione. Fino ad oggi la maggior parte degli studi erano stati effettuati sull’esmololo, tuttavia, il più recente landiololo ha dimostrato di avere un profilo farmacocinetico e farmacodinamico più favorevole rispetto all’esmololo, ha infatti un onset più rapido (1 minuto rispetto ai 2 minuti necessari per l’esmololo), un’emivita più breve (4 minuti rispetto ai 9 minuti dell’esmololo) e una maggiore selettività nei confronti dei recettori β1 cardiaci.
Lo studio condotto a Pisa presso la UO di Anestesia e Rianimazione Trapianti fa parte di un progetto più ampio, lo studio di fase IV sull’utilizzo del landiololo nei pazienti con shock settico che confronta il trattamento standard e l’infusione di landiololo cloridrato per via endovenosa.
Nel nostro reparto sono stati arruolati 13 pazienti con shock settico, i quali dopo essere stati sottoposti ad un’ottimizzazione del quadro emodinamico sono stati randomizzati nel gruppo L (composto da 7 pazienti, in cui è stato somministrato landiololo in aggiunta al trattamento standard) e gruppo C (composto da 6 pazienti, in cui è stato somministrato solo il trattamento standard).
Nel campione di pazienti arruolato si è verificata una riduzione statisticamente significativa della frequenza cardiaca nel gruppo L rispetto al gruppo C sin dall’inizio della somministrazione e per tutte le 24 ore dello studio. I valori di pressione arteriosa media dei pazienti trattati con landiololo sono rimasti paragonabili a quelli dei controlli e non si sono verificati episodi di ipotensione nei pazienti del gruppo landiololo, evidenziando che il landiololo è un farmaco sicuro per il rischio di ipotensione. Anche la velocità di infusione della noradrenalina nei pazienti trattati con landiololo è rimasta paragonabile a quella dei pazienti del gruppo controllo e non ci sono state differenze statisticamente significative riguardo al dosaggio di noradrenalina in entrambi i gruppi.
Per quanto riguarda gli obiettivi dello studio, nei pazienti arruolati a Pisa sono stati solo parzialmente raggiunti: l’obiettivo primario era quello di dimostrare il raggiungimento e il mantenimento di una frequenza cardiaca <95 bpm per almeno 24 ore senza incrementare la necessità di noradrenalina; tale obiettivo in questo campione di pazienti è stato raggiunto solo in 2 dei 7 pazienti trattati con landiololo, in cui la frequenza cardiaca è rimasta inferiore a 95 bpm per tutte le 24 ore, mentre non si sono riscontrati incrementi statisticamente significativi del dosaggio della noradrenalina rispetto ai pazienti del gruppo di controllo. L’obiettivo secondario dello studio era invece quello di dimostrare una riduzione nella necessità di vasopressori e tale obiettivo in questo campione di pazienti non è stato raggiunto. È comunque necessario asserire che la numerosità dei pazienti arruolati è piccola e questi risultati dovranno essere confrontati con i risultati dello studio multicentrico internazionale che conta 200 pazienti, il cui arruolamento è stato terminato solo nel mese di febbraio di quest’anno.
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