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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-04282014-014815


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
ROMANO, LUCIA DONATA
URN
etd-04282014-014815
Titolo
L'EVOLUZIONE DELLO IUS NOVORUM E L'ARDUA ESEGESI DELL'ART. 345 C.P.C. TRA APPELLO COMUNE E APPELLO SPECIALE
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Cecchella, Claudio
Parole chiave
  • appello speciale
  • articolo 345 c.p.c.
  • ius novorum
  • riforma 2012
  • appello comune
Data inizio appello
26/05/2014
Consultabilità
Completa
Riassunto
La questione dello ius novorum in appello è uno dei temi maggiormente dibattuti all’interno della dottrina e della giurisprudenza sin dal codice di procedura civile del 1865. Tuttora è oggetto di numerose ed ampie discussioni soprattutto dovute agli innumerevoli interventi da parte del legislatore sulla legge processuale civile, che hanno alterato il tessuto normativo del codice vigente, e che “hanno fatto del codice di procedura civile una tela di Penelope tessuta e disfatta senza posa” . L’ondeggiare nel tempo di contrastanti norme e l’alternanza della disciplina dei nova in appello comprova di per sé l’estrema delicatezza della questione e sottolinea e mette in evidenza di come si tratti di un istituto che implica importanti conseguenze sul piano sia della struttura che della funzione stessa del processo civile. In extrema ratio, la questione che sta alla base dello ius novorum in appello consiste nell’ammettere o meno, e a quali condizioni, l’ampliamento del thema decidendum e del thema probandum nel processo di appello, rispetto al giudizio di prima istanza.
Lo scopo della tesi è quello di operare dapprima una ricostruzione storica della disciplina dell’istituto e, in un secondo momento, di analizzare nello specifico l’interpretazione data attualmente all’art. 345 c.p.c. all’interno della dottrina e della giurisprudenza, per poi concludere con una trattazione relativa al c.d. “Appello speciale” riguardante in particolar modo il diritto fallimentare e il diritto di famiglia, ambiti nei quali si è mantenuta e continua a conservarsi non solo l’idea ma anche la figura e la disciplina concreta e applicativa di un appello configurato come mezzo di gravame e non come mezzo di impugnazione in senso stretto.
Lo ius novorum in appello nasce nel 520 d.C. con la Costituzione di Giustino, che ammise liberamente i nova in appello, affinché la causa <<pleniore subveniatur veritatis lumine>>. Si è poi assistito, nella storia ed anche nei sistemi giuridici comparati, alle formulazioni più varie. Nel ripercorrere le tappe normative e giurisprudenziali più importanti e significative, è stato scelto come punto di partenza della trattazione il codice di procedura civile del 1865, e ne sono state individuate le questioni interpretative che avevano ad oggetto l’art. 490, che disciplinava, per l’appunto, lo ius novorum in appello, seguito dal nuovo codice di rito del 1940, che ha per la prima volta introdotto il principio di preclusione nel nostro ordinamento, sancendo così una netta chiusura ai nova in appello, sino alla completa riapertura con la controriforma operata con la Novella del 1950 (che quel principio aveva cancellato e aveva riaperto così il secondo grado di giudizio alle novità), determinando all’interno del sistema una vera e propria inversione di rotta. Su questo impianto originario si è innescata nel tempo un’evoluzione per un verso legislativa e per un altro verso giurisprudenziale. Il sovrapporsi di normative ha consegnato l’istituto dell’appello a un’intrinseca e invincibile ambiguità, che invano si tenterebbe di risolvere nella nota antitesi tra novum iudicium e revisio prioris istantiae. In tale senso, il primo intervento significativo di riforma del processo civile si è avuto con la legge 533/1973 che ha introdotto il rito del lavoro, sulla cui scia è poi stata emanata la legge 353/1990 che ha disciplinato in maniera innovativa l’appello, intervenendo specificatamente sull’art. 345 c.p.c., e allineandolo così all’art. 437 c.p.c., norma che detta la disciplina dell’appello nel rito del lavoro, e la cui formulazione e interpretazione ha avuto una notevole influenza anche in relazione, per l’appunto, al rito ordinario. Lo stadio conclusivo di tale iter legislativo è attualmente rappresentato dalla Riforma del 2012, attuata mediante legge 7 agosto 2012 n. 134, conversione del Decreto Legge 22 giugno 2012 n. 83, che ha disciplinato e inciso sull’istituto dell’appello così come generalmente inteso. Tra gli interventi che hanno suscitato maggiori riflessioni e polemiche vi è stata l’ eliminazione del requisito della “indispensabilità” come presupposto per l’ammissibilità di una nuova prova in appello, richiamando adesso nel codice, il solo requisito della rimessione in termini.
Ma il legislatore ha veramente cambiato le cose? Sembrerebbe di no. E sembra che egli sia di memoria gattopardiana: come a voler dire, “tutto cambia affinché nulla cambi”. Da una parte, infatti, mentre rimane la regola che, le prove che nel giudizio di appello si impongono per i fatti nuovi o resi necessari dagli sviluppi del processo (di qualunque segno essi siano: costitutivi ovvero impeditivi, modificativi o estintivi), devono essere acquisite all’interno dello stesso, e non possono soffrire o tollerare limitazione probatoria alcuna, che risulterebbe contraria al diritto di azione e di difesa di cui il diritto alla prova è componente e corollario fondamentale, dall’altra il legislatore ha semplicemente fatto trasmigrare il concetto di indispensabilità della prova all’interno dell’art. 702-quater, con la riproposizione dunque di tutti gli interrogativi e le difficoltà interpretative che da sempre hanno impegnato la dottrina e la giurisprudenza in tal senso, e “che rischia, se non sottoposto ad attenta lettura costituzionalmente orientata, di sbilanciare l’intero equilibrio del procedimento di ancor fresco conio” .
Nella trattazione dell’art. 345 c.p.c., ossia del tema dei c.d. nova nel giudizio di appello, che è il tema centrale di questo lavoro, non si può comunque prescindere da un’analisi quanto meno globale, e da considerazioni di carattere generale sul secondo grado di giudizio. L’appello infatti storicamente nasce ed è concepito dal 1942 fino alla fine degli anni ’90 come mezzo di gravame, al contrario del ricorso per Cassazione concepito da sempre come mezzo di impugnazione in senso stretto. Da questo punto di vista, prima la Riforma del 1990-1995, e poi, da ultimo, la Riforma del 2012, sono state di significativo impatto, in quanto l’appello è venuto ad assumere sempre di più i caratteri di una revisio prioris instantiae, ossia di un’impugnazione avente ad oggetto più la sentenza che il rapporto controverso (e che lo avvicina di molto al giudizio di legittimità della Corte di Cassazione), alterandone le caratteristiche di novum iudicium.
Naturalmente il divieto dei nova non può da solo contribuire a modellare il giudizio d’appello come revisio prioris instantiae, ma certo contribuisce a caratterizzarlo maggiormente nel senso di un esame della decisione resa dal giudice di primo grado, piuttosto che nel senso di una prosecuzione della controversia instaurata nel precedente grado di giudizio.



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